RUBRICA “BENI COMUNI”, 37. TERME E PROGETTI DI ALFIERO: IPOTESI D’ISTRUTTORIA

di FRANCESCO CORRENTI ♦

“Se insisti e resisti… raggiungi e conquisti!” La notissima frase di Trilussa, che mi sentivo spesso ripetere da ragazzo, mi torna utile oggi per iniziare questa puntata della rubrica in cui finalmente sembra si sia aperto un dialogo, invece dei vari monologhi. Infatti, mi accingo a commentare un intervento del collega architetto Alfiero Antonini, scritto su invito di Fabrizio Barbaranelli, dopo aver decisamente forzato le cose. Per il lettore ignaro dei retroscena riassumo i fatti. Le precedenti puntate della rubrica hanno riguardato: quella del 10 marzo scorso un invito “a tutti” a proporre iniziative “corali” per commemorare, il 14 maggio prossimo, l’80° anniversario del Primo Bombardamento della città (e della sua Seconda Distruzione); quella del 16 marzo una descrizione delle iniziative “nell’aria” per ricostituire il Museo Civico. Anche questa con diverse “provocazioni” per sollecitare commenti, controproposte e nuove idee. Ma mercoledì 15, come ho detto, tra i messaggi della chat di SpazioLiberoBlog, pochi minuti dopo le 8, Marina Antonini ha scritto:

“Alfiero si è sognato le Terme ormai perdute di Civitavecchia, è così ve le presenta, avendo fiducia che le esamineremo con attenzione, avendo cura di memorizzarle e facendole conoscere a tanta gente che potrebbe essere interessata. Le prime due fotografie riguardano il sontuoso passato cittadino, mentre non dice nemmeno una parola il rudere posizionato vicino alle fonti, che sembra un residuo bellico. La terza fotografia è il luogo di sogno che Alfiero ha sognato per noi: il suo complesso termale sulla spiaggia.”

Ho letto queste parole circa un’ora dopo e ho colto al volo l’occasione per rilanciare:

“Anche questo, come la pubblicazione di un articolo, è un modo di far partecipare gli amici del blog ad una propria illustrazione di un certo argomento. Alfiero, tramite Marina, ci propone una sua ipotesi di realizzazione di uno stabilimento termale. Quando si opera sul territorio la prima cosa da fare è controllare se vi sono strumenti urbanistici e cosa dicono. Nel nostro caso gli strumenti urbanistici c’erano e li abbiamo anche potuti esaminare di recente sulla rubrica dei Beni comuni, ma al momento la normativa vigente dopo alcune varianti poco chiare è vaga e limitata. Forse occorre operare, quindi, ancora a livello di pianificazione. Anche per verificare il pensiero dell’amministrazione in carica e quello della opposizione. Però il dibattito a livello architettonico sarebbe molto interessante se vi potessero partecipare effettivamente i cittadini. Ecco, questo è quello che sento mancare molto a Civitavecchia attualmente e mi chiedo se SpazioLiberoBlog può prendere qualche iniziativa in proposito. Infatti il discorso è lo stesso del tentativo di coordinare le iniziative per la commemorazione degli ottant’anni dai bombardamenti. Ruolo che il Comune sembra intenda assumere, lasciando libere le eventuali iniziative particolari sul modo di procedere, concordando però una regia. Domani pomeriggio ci sarà, infatti, in Comune una riunione al riguardo.”

Ed ecco la puntualissima replica di Fabrizio: “Avevo già scritto a Marina di sollecitare Alfiero a mandarci una presentazione del suo lavoro per il blog che potremmo pubblicare corredata dalle foto che ha inviato alla chat.”

La mattina dopo, giovedì 16 alle 8, Fabrizio ha annunciato l’uscita della 36ma puntata della rubrica e subito ne ho approfittato scrivendo, dopo i consueti ringraziamenti a lui ed a Marcello, un chiarimento che voleva anche essere la classica “esca”, senza alcuna intenzione maligna ma solo e proprio per provocare e indirizzare le risposte auspicate:

“La rubrica di oggi è in fondo una prosecuzione di quella precedente e di altre nella misura in cui (scusate, avevo giurato anni fa di non utilizzare più questo modo di dire) si inserisce nel tentativo di allargare la discussione su alcuni temi importanti per la città al maggior numero di voci possibile. Anche il tema introdotto dalle foto inviateci da Marina Antonini ieri marcia nella stessa direzione e dopo i 45 minuti di colloquio telefonico con Alfiero e con Marina ieri pomeriggio, credo che sarà utile e anche divertente sviluppare l’argomento in seguito, coinvolgendo proprio i non addetti ai lavori, in quella materia, qual è l’architettura, che a Civitavecchia ha trovato nel corso dei secoli e trova oggi grandi espressioni e altrettanto grandi assenze.”

Il 17, venerdì, il settimo compleanno di SpazioLiberoBlog cade a proposito per una riflessione di Barbaranelli che, riportati i numeri, molto evidenti, dei risultati raggiunti da blog – “oltre 1900 articoli pubblicati ad oggi ad opera di 120 collaboratori, 4323 commenti agli articoli, una chat in permanente ebollizione… ed altro ancora” – riprende le tante constatazioni sulla troppo lunga assenza di vitalità della realtà culturale cittadina nel suo complesso e sulla deludente mancanza di dialogo, di confronto, ma pure di scontro democratico, in uno scenario sociale e politico stanco e silenzioso, per stimolare un cambiamento:

“Le ragioni e gli obiettivi della nostra nascita sette anni fa furono subito chiari: creare un luogo di libertà in cui si possano confrontare diversi soggetti culturali, senza pregiudizi, senza arroganza, senza verità e pretese dogmatiche e soprattutto senza intolleranza.  Tentare inoltre di creare le condizioni per mettere in relazione tra di loro le realtà troppo frastagliate del variegato mondo della cultura cittadina e non solo. Senza avere pretese egemoniche, consapevoli che le egemonie si creano sulla forza delle idee, non sulle rivendicazioni e i proclami.

“La realtà cittadina si muoveva e si muove in direzione antitetica. Si caratterizza per la frammentazione, l’esasperato individualismo e l’esistenza di gruppi che somigliano troppo spesso a tribù in preda a forme parossistiche di autarchia. È un fenomeno generalizzato su cui i social esercitano una potente pressione. In troppi tendono a chiudersi nel loro gruppo, con le loro verità assolute, indisponibili ad ogni contaminazione e al confronto. Tante isole separate, così ci appare la realtà odierna, ciascuna con un suo pubblico di riferimento. Spazioliberoblog è nato anche pensando alla necessità di luoghi comuni di riflessione in cui le diverse realtà possano incontrarsi e confrontarsi.

“E occorrerebbe un coordinamento anche in rapporto alla utilizzazione degli spazi e ai programmi, per evitare sovrapposizioni e conflittualità. Sarebbe nella sostanza utile un progetto complessivo che non leda in alcun modo le autonomie e l’assoluta libertà delle singole associazioni, ma che sia capace di coinvolgere la città intera e di valorizzare i momenti comuni, i personaggi significativi, le eccellenze che abbiamo in vari campi. Si pensi a titolo di esempio all’imminente commemorazione dell’anniversario del bombardamento e ad altri significativi appuntamenti cittadini. Non dovrebbe essere un momento corale, di partecipazione? Questo è certo il compito di chi amministra e credo anche che dovrebbe e potrebbe essere l’obiettivo più stimolante e appassionante per far crescere la nostra città sul piano civile e culturale. Di qui una forte sollecitazione in primis al nuovo assessore alla cultura. Malgrado queste insufficienze, crescono in città iniziative dei singoli o di gruppi, lodevolissime testimonianze di vivacità e passione nelle più diverse discipline.”

E siamo alle premesse di questa puntata. Alfiero Antonini ha inviato con immediatezza il suo scritto dal titolo eloquente, Alla ricerca dei valori perduti, in cui racconta il suo “sogno termale”, con una affettuosa aggiunta diretta a me ed alla mia richiesta di iniziare un colloquio, esponendo sinceramente il nostro pensiero sui temi della nostra professione e cercando di farvi partecipare altri, magari giovani architetti e non solo, ma soprattutto cittadini in quanto tali. A questo punto non posso che rispondere e dare la mia voce al dialogo.

Alfiero esprime un pensiero comune a quanti, come noi, hanno raggiunto “l’età della pensione” e molto di più, ma non hanno abbandonato la volontà disinteressata e non egoistica di partecipare con il proprio bagaglio di conoscenze e di esperienze alla vita “collettiva” della città e dei luoghi in cui abbiamo operato per ben oltre sei decenni. Ma qui devo precisare di essere stato “collocato a riposo” (contro la mia volontà, a 67 anni di età e 37 di servizio) dal ruolo di architetto urbanista del Comune, ma di essere tuttora in servizio in almeno cinque settori di attività connesse alle mie specializzazioni. Concordo con Alfiero: abbiamo cercato, nei nostri limiti umani, di dare una risposta corretta e seria ai nostri doveri professionali e, proprio per il mestiere scelto, ci sentiamo tenuti oggi a fornire altri spunti ai cittadini che, in modo diverso ma simile, sono stati gli interlocutori di tutta la nostra vita. Alfiero Antonini ed io siamo stati a lungo i soli due giovani architetti, presenti sulla scena professionale di Civitavecchia, dell’albo degli architetti di Roma e del Lazio di quegli anni, che allora contava poco più di 2100 iscritti, rispetto agli oltre 18.100 attuali del solo Ordine provinciale.

Lui, libero professionista da subito molto attivo, con importanti lavori privati, anche attraverso l’impresa dei fratelli Passeri, indubbiamente la più seria e preparata, che addirittura pubblicava un periodico, con un programma chiaro fin dal titolo, “Civitavecchia nuova”, sempre polemico e in dissenso con l’amministrazione comunale.

Io, invece, dopo una breve ma intensa ed appagante esperienza di libero professionista, anche in collaborazione con i miei docenti universitari (Quaroni, Maestro, Calzolari, Ghio, Lugli), vincitore di due concorsi pubblici per ruoli dirigenziali dello Stato e del Comune, iscritto per altro concorso all’Albo degli esperti in materia di Pianificazione Territoriale del Ministero dei Lavori Pubblici, dal 1969 molto attivo a mia volta quale capo della Ripartizione Urbanistica del Comune di Civitavecchia, da organizzare per le numerose incombenze di formazione e attuazione degli strumenti urbanistici e di controllo dell’edilizia privata, con precisi indirizzi e orientamenti nella proposizione all’amministrazione di ricerche e programmi che mi porteranno dopo pochi anni a ricevere, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, il “Diploma di Benemerenza con medaglia d’oro” dell’Ente Provinciale per il Turismo di Roma “per gli studi storico-urbanistici sul territorio di Civitavecchia”. Indirizzi e orientamenti rimasti immutati.

Con questa premessa, provo a esprimere qualche doverosa considerazione sull’articolo di Alfiero, nell’unico modo che credo corretto e plausibile. Mettendo da parte quei pensieri, che mi sembra di cogliere in qualche sua frase, venati da un certo sconforto, e che naturalmente aleggiano – un termine davvero “alato” e d’altri tempi (ahimè, i nostri) – anche nella mia mente, per forza di cose. Alfiero – ci ha detto Marina – ci propone un suo progetto architettonico. I progetti di architettura sono pensieri, idee, di tipo opposto a quegli altri di cui dicevo, cupi e rattristati dal pessimismo. Sono espressioni di volontà positive, di certezze, di desiderio creativo, per dare forma e colore ai luoghi della vita. Certo ognuno di noi – e tanto più di noi architetti, vorrebbe dare a quei luoghi delle proprie forme, secondo la propria personalità, e così i suoi colori, modellare gli spazi, usare la materia, immaginare l’effetto della luce (il “gioco sapiente delle forme sotto la luce”), secondo il gusto, il carattere, le convinzioni che ci distinguono. Ma sarebbe inconcepibile se guardassi il progetto delle terme di Alfiero con occhi condizionati dalle mie convinzioni, dal mio carattere, dal mio gusto. Pronunciando poi pareri e giudizi viziati da queste sovrastrutture mentali e pertanto non obiettivi. Volendo, quindi, non sottrarmi a questo gioco che – a ben vedere – è la vera sostanza della provocazione di Alfiero, forse consapevole e forse no, cioè di mettersi in gioco e di scendere in gioco, in un campo da gioco, come una partita, non posso che rimettermi i panni indossati per tanti anni quale direttore dell’ufficio comunale addetto all’istruttoria dei progetti pubblici e privati. Istruttoria fatta alla luce di regole scritte e note, che compongono il quadro della disciplina generale e particolare “vigente” (altro termine obbligatorio in una istruttoria!) per garantire il rispetto di tutti i parametri stabiliti dalle leggi.

Per questo, fin da subito, ho detto che la prima cosa da fare, prima di presentare un progetto, è quella di verificare l’aspetto urbanistico, ossia la normativa, appunto, vigente in quell’area, e formulare il progetto in assoluta conformità a quella. Avendo una certa pratica, a colpo d’occhio, devo dire che ho avuto l’impressione che nel progetto di Alfiero questa conformità, almeno per certi aspetti o requisiti, fosse carente. Senza nulla togliere alla qualità del progetto dal punto di vista architettonico o del suo valore artistico.

Probabilmente, molti capolavori celebratissimi dell’architettura moderna – penso, tanto per far qualche esempio, a Fallingwater, la celebre “Casa sulla cascata” dei Kaufmann del 1936-39, che ha praticamente gli stessi anni, più o meno, di Alfiero e miei, o al Guggenheim Museum del 1937-43, entrambi di Frank  Lloyd Wright – qui da noi in Italia non si sarebbero potuti realizzare, almeno fino a non molti anni fa, perché in contrasto con norme ambientali, con regolamenti edilizi, per questioni di distanza dai corsi d’acqua o di distacchi, di destinazioni d’uso o semplicemente per la mentalità rigidamente limitata di alcuni organismi. Sappiamo bene, infatti, che non si è realizzato il progetto di Wright per il “Masieri Memorial” sul Canal Grande a Venezia (del 1937, respinto definitivamente dopo infinite diatribe dalla Municipalità nel 1955) e nemmeno, per fermarci in laguna, quello di Le Corbusier del 1964-70 per l’ineccepibile ospedale previsto a Cannaregio al posto del vecchio macello, nonostante l’incarico formale e le pressioni di tanti estimatori, tra i quali Carlo Scarpa e Bruno Zevi, per l’ottusità degli amministratori comunali: “par la foute des imbéciles”, come aveva sentenziato senza mezzi termini quel sant’uomo di padre Couturier nel 1953, a proposito delle occasioni perdute degli ammirevoli progetti di LC rimasti irrealizzati (vedi qui, in questa rubrica, la puntata n° 26 del 30 novembre 2022).

Posso dire, ne sono compiaciuto, d’aver avuto lo stesso entusiasmo di Scarpa e di Zevi per quel progetto “di Papà”, apparso sulle riviste di architettura proprio quando, con Paola, avevamo iniziato i nostri studi per la tesi di laurea su Civitavecchia. Tanto da prendere a modello spaziale quel complesso di unità funzionali simili a zattere, sostenute sopra il livello del mare da un sistema di pilotis nella tradizione delle antiche palafitte, per la mia idea del centro direzionale dei servizi ed uffici sovraccomunali (decentrati dalla capitale con la imminente istituzione dell’ente Regione Lazio e degli altri, nel 1970), che immagino spingersi in mare davanti alla “Marina”. È un reticolo a due piani sul livello dei percorsi di collegamento e distribuzione, organizzato secondo le tante competenze regionali delegate dallo Stato, che si inoltra in acqua – come pure le strutture del nuovo Municipio – davanti alla fronte urbana tra Piazza degli Eroi e Largo Caprera (oggi intitolato a Marco Galli), partendo a terra dai vuoti al tempo ancora lasciati dallo sgombero delle macerie, come la vasta area del Grand Hôtel delle Terme. Perché io penso che in una città di mare – quale è la “mia” Civitavecchia – molti collegamenti con le altre località marine (e balneari) della costa debba avvenire via mare, con mezzi veloci, battelli di linea e vaporetti turistici, che arrivano a Santa Marinella, Santa Severa, Ladispoli e così via, fino ad Ostia e Porto e addirittura a Ripa Grande e al porto clementino di Ripetta, sulle “orme” (lasciate sulla plancia) di Rutilio Namaziano e di padre Labat (e non solo via terra come tanti pellegrini romei, il gruppo nipponico di Hasekura Tsunenaga e le feroci bande saracene). E penso, in ogni caso, che – oltre ai percorsi con marciapiedi a tapis roulant e scale mobili – il sindaco, gli assessori, i consiglieri, gli impiegati e i cittadini possano raggiungere i vari uffici e le aule delle sedute in motoscafo o in barca, anzi in “feluca”, come s’andava a bordo delle navi o se ne sbarcava nel porto pontificio, ovvero, tanto per attenersi a “chome lo doge avrebbe voluto” ed aumentare così il folclore locale a beneficio dei croceristi, in gondola!

Inizio adesso la mia istruttoria, tenendo presenti le disposizioni dell’articolo 20 del DPR 380/2001, il cosiddetto “Testo Unico per l’Edilizia”, e quelle specifiche regionali e locali. Sicuramente, date le caratteristiche dell’opera in progetto, la stessa richiede il rilascio del permesso di costruire attraverso l’iter prescritto. Tale “iter” deve rispondere anche alle previsioni contenute nella legge 241/1990 sul procedimento amministrativo. Trattandosi di una istruttoria teorica e virtuale, così come è al momento teorica e virtuale la presentazione del progetto di Alfiero, posso permettermi di saltare qualche passaggio o, meglio, darli per espletati. Un insieme di edifici del tipo proposto in quegli accuratissimi “rendering” rientra a pieno titolo tra gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia”. Sono tali, infatti, quelli “di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica e di ristrutturazione edilizia”, che si direbbero tutti e tre presenti nel progetto in esame.

Chiaramente, in tale progetto, l’architetto Antonini prevede di costruire un “organismo edilizio in tutto diverso dal precedente” (vedremo presto cos’era) e che “comporta aumento di unità immobiliari, modifiche al volume e sagoma e, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A (tale dovrebbe essere, in una classificazione territoriale aggiornata, l’insediamento di Punta del Pecoraro), un mutamento della destinazione d’uso”.

Su altri aspetti (disponibilità dell’area o assenso della proprietà, titolarità dell’incarico, regolarità e completezza degli elaborati progettuali, asseverata conformità alle norme relative all’efficienza energetica), mi permetto arbitrariamente – quale RUP (responsabile del procedimento) – di farne a meno, sicuro di non incorrere in trasgressioni e omissioni perseguibili ai sensi di legge. Ma qui sono costretto a fermarmi, perché siamo probabilmente in presenza di un’opera pubblica o almeno d’interesse pubblico (l’area è pubblica) e – pur rinviando al futuro la necessaria approvazione attraverso formali deliberazioni dell’organo competente, che nel caso è il Consiglio comunale – non posso ignorare che “il progetto va accompagnato da una dichiarazione del progettista asseverante la conformità del progetto agli strumenti urbanistici vigenti, ai regolamenti edilizi e alle altre normative di settore (norme antisismiche, requisiti igienico sanitari, sicurezza antincendio, ecc.)”, non presenti nella documentazione ricevuta.

Pur avendo un ampio margine temporale (60 giorni) “per acquisire tutta la documentazione necessaria all’istruttoria attraverso lo Sportello Unico per l’Edilizia”, l’impegno preso con SpazioLiberoBlog e i suoi amministratori e lettori, con Marina ed Alfiero e con me stesso, mi sento in dovere, per quanto premesso, di integrare virtualmente gli “anelli mancanti” e pervenire in breve, in tempo per l’uscita settimanale della rubrica, a “valutare la conformità del progetto alla normativa vigente”, formulando una ipotesi “di provvedimento corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento”, in rispettoso adempimento di questo mio compito o ruolo nel “campo da gioco”.

Con la dovuta serietà e correttezza ma anche con l’opportuno spirito ed una certa autoironia, presupponendo che proprio l’obiettivo di parlare serenamente di “Beni comuni” ideali, ma comunque concretamente realizzabili, implichi un forte buon senso nella definizione della meta da raggiungere. Con l’animo – da parte di tutti – disposto ad un notevole buonumore, per mantenere la conversazione, il dialogo o un futuro dibattito aperto alla partecipazione di molti, nei binari della convergenza (siamo quasi alle storiche “convergenze parallele” di una rimpianta buona politica) verso un “comune sentire” (e così le ho dette tutte).

Vengo alla sostanza. La planimetria di progetto indica con grande chiarezza quello che altrettanto chiaramente l’autore descrive:

“Alla città e al sindaco che non se ne è neppure accorto, è stato regalato dal sottoscritto, insieme ad altri progetti, quello di un impianto termale che da chi lo ha veduto è stato giudicato fantastico. Occuperebbe lo spazio del vecchio campo sportivo Fattori, attualmente inutilizzato, che potrebbe trovare la sua localizzazione in un sito nei pressi della autostrada Roma-Civitavecchia, così da non intralciare il resto della città. La posizione sul mare, con la realizzazione di una spiaggia dotata di barriere frangiflutti, mentre faranno bella vista di sé pale eoliche che illumineranno la notte… ‘non sarebbero male’. Il progetto di massima è tuttora in attesa di essere visionato, ma è passato più di un anno da quando è stato visionato da molti cittadini di questa città. Le terme sono importanti per Civitavecchia, dato che l’acqua ‘santa’ della Ficoncella verrà trasportata in riva al mare con il sistema del ‘microtulling’, facendo passare sotto le strade con circa un mese di lavoro che sarebbe sufficiente per portare, salvando tutte le caratteristiche, le acque sante della Ficoncella.”

Per la mia istruttoria non ho bisogno di altro. E quindi scrivo la seguente “declaratoria” con quel minimo di tono burocratico che, per stare al gioco, voglio dare al documento, anzi all’ipotesi d’istruttoria (che è assonante ma non vuole essere “distruttoria”) ed è ipotetica tanto quanto la proposta progettuale:

“Il progetto è ubicato in area destinata dal PRG per la maggior parte a “Zona sportiva” disciplinata dall’art. 26 delle NTA, che recita:

Nelle zone sportive potranno sorgere soltanto edifici ed impianti destinati all’attività sportiva, quali campi sportivi, stadi, piscine, palazzo dello sport. Parte dell’area deve comunque essere destinata a verde pubblico e parcheggi.

“In parte minore, il progetto interessa aree destinate a “Zone balneari” disciplinate dall’art. 26 delle NTA, che recita:

In esse sono concesse esclusivamente costruzioni balneari (cabine, spogliatoi, rimesse per battelli, ristoranti, caffè ecc.) purché di un solo piano, imponendo in ogni caso alla costruzione il vincolo di precarietà.

“Inoltre l’area della zona sportiva in questione vede la presenza di un’attrezzatura sportiva pubblica preesistente, lo Stadio “Giovanni M. Fattori”, funzionante ed oggetto di interventi, recenti e ancora in corso, deliberati dall’Amministrazione comunale per la fruizione da parte di diverse società sportive. L’opera, dotata di una tribuna coperta e d’una scoperta e comprendente allora una pista per motocicli, fu progettata nel 1935-36 dall’ingegner Mario Castaldi (autore nel 1930 con la progettista Anna Piccolomini e l’architetto Luigi Brunati della celebrata città giardino Aurelia e annesso stabilimento SPCN). Lo stadio è vincolato ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio’ in quanto “cosa immobile appartenente ad ente pubblico territoriale che presenta notevole interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico’ in sé e quale testimonianza di un particolare periodo della storia urbanistica cittadina.

“In definitiva, visto quanto sopra specificato, l’opera in progetto risulta non conforme agli strumenti urbanistici generali ed a quelli attuativi e, pertanto, in contrasto con la disciplina di zona in vigore, nonché con il piano del Settore Sud di cui alla Variante n° 24, adottata con deliberazione CC n° 475 del 30 novembre 1987 e approvata con deliberazione GR 13 luglio 1989, n° 6073, per cui si ritiene di dover esprimere…”

E qui sospendo l’ipotesi di istruttoria perché non voglio giungere alla frase finale di un parere che sarebbe tecnicamente veritiero, freddamente esatto, ma che, proprio per questo, riterrei assolutamente “impertinente” nel senso etimologico della parola. Le idee dello spirito, le creazioni della fantasia e dell’arte non vanno misurate col metro astratto del contabile, ma con le emozioni che provocano. E poi, dato che il nostro era un gioco, beh, ogni bel gioco, si sa, “dura poco”.

Ma non vorrei che gli amici lettori interpretassero come espressioni d’un sentimento nostalgico i miei articoli di documentazione su fatti del passato. Parlando di “quando la sera andavamo in via Trento”, rievocando le “Ultimissime dal Medioevo” o le “Notizie dalla Preistoria”, ho voluto far conoscere a quanti le ignoravano per motivi anagrafici o di altro genere, quegli episodi, avvenimenti, provvedimenti di cui sono stato testimone diretto e le cui conseguenze hanno influito sullo stato attuale della città e del territorio, ma non sono comprensibili né utilizzabili o modificabili senza conoscerne le origini, le cause, le ragioni. Così, ora, l’appello di Alfiero “alla ricerca di valori perduti, atti a risvegliare la vitalità che sembra svanita, come perduta e spenta” (parole sue), non voglio interpretarlo come un rimpianto per tutto quello “che fu”, l’epoca “trascorsa”, gli anni della giovinezza “fuggita”. Proprio per queste rievocazioni, per le memorie e i ricordi di un passato che ci sembra utile tener presente per il futuro (scusate l’abusata mescolanza di tempi), voglio dire ad Alfiero, fuor di metafora e di gioco, di voler ripensare il luogo dove localizzare il suo “sogno”.

Più opportuno, a mio parere, anche per i problemi trascurati eppure fondamentali del trasporto, del riscaldamento, del trattamento e della stabilità dei componenti dell’acqua (qualità organolettiche, caratteristiche microbiologiche, forme di erogazione e cura) potrebbe essere l’ubicazione del progetto nelle “Zone turistiche e termali” disciplinate dall’art. 28 delle NTA, e precisamente in quelle di “Tipo A” così definite dal PRG:

Questa zona si estende intorno alle cosiddette “Terme Taurine” e comprende alcune sorgenti che presentano caratteristiche di utilizzazione turistico-termale, zone archeologiche con resti monumentali di edifici romani e medioevali e preesistenze di epoche più antiche, documentate dalle fonti, da individuare e portare alla luce. Nelle aree di uso pubblico potranno sorgere stabilimenti termali e attrezzature analoghe.

Se vogliamo fare delle “Grandi Terme”, discutiamo e valutiamo (non dimenticando che la letteratura già disponibile sui tanti studi, convegni, programmi e piani è assai ampia) se ricreare esattamente quel Grand Hôtel distrutto dalla guerra (e che di problemi ne aveva tanti, così lontano dalle sorgenti), se pensarlo ancor più lontano (tra la Ficoncella e lo Stadio Fattori sono 5,5 km in linea d’aria e circa 8 seguendo la viabilità esistente), o se non sia più logico e pratico situarlo dove la natura idrogeologica dei luoghi, la storia antica, le intuizioni settecentesche e la pianificazione moderna hanno indicato in modo univoco. Torniamo dove le preesistenze note e le recenti scoperte offrono un contesto archeologico (dai siti preistorici alle necropoli etrusche, dagli impianti romani tra repubblica e impero alla fase bizantina di papa Gregorio, dai templari a Innocenzo IV, fino ai cavalieri di Rodi e il dopo) di straordinario richiamo. Un contesto che coniuga le cure termali con i vari giochi nell’acqua e con gli sport connessi, che ricuce il turismo ricreativo con quello tematico e culturale, che ripropone soggiorni di relax con campagne di scavo e con corsi formativi e didattici (dove istituzioni pubbliche e associazioni collaborino tra loro) nei diversificati campi della tutela dei Beni comuni e del Patrimonio della Nazione e dell’Umanità (UNESCO).

Rendiamo finalmente felice Luigi Maria Manzi, in attesa dal 1885 di una risposta positiva alla sua idea (vedi la rubrica n° 13 del 26 maggio 2022), e magari, questi nuovi Bagni, queste nuove Terme, possibilmente più “democratiche” e meno “imperiali”, meno impattanti e invadenti, costruiamole proprio al posto del “rudere indecoroso vicino alle fonti”, quello sì da distruggere senza rimpianti.

Un intervento, quello da ripensare (come era stato già pensato nel 1990), che inserisca armonicamente vicino alle strutture del passato, vicino ai casali delle tenute camerali da restaurare (già riconoscibili nelle vedute seicentesche di Claude Lorrain e di Carlo Fontana), le attrezzature discrete di “servizio e benessere” ai cittadini e ai turisti. Che esprima l’essenza profonda di questi territori della nostra Etruria, di questa nostra Tuscia una e indivisibile, già dal 1999 (ricordiamolo!) associati nell’Ufficio Consortile Interregionale della Tuscia, cento Comuni ed enti pubblici di quattro Province e tre Regioni, Lazio, Toscana e Umbria (ma d’intesa anche con la Sardegna), che ha anticipato di anni e di risultati il distretto turistico della Etruria Meridionale e della Soprintendenza omonima.

Utilizziamo quegli accordi e quelle intese che hanno portato alla gestione esemplare di centinaia di attuazioni delle “buone pratiche” e di migliaia di interventi pubblici e privati, in un clima di affiatamento, collaborazione, sinergia, con continuità nel tempo e senza distinzioni di schieramenti. Un intervento che dialoghi pacatamente col paesaggio, con la macchia mediterranea, con le ferle e gli asfodeli, in modo che le forme architettoniche siano l’espressione di una orchestra dove il suono di violini e dei flauti non sia sovrastato dal rullo dei tamburi e dai colpi di grancassa.

Un paesaggio da cui partono, arrivano e si incrociano i tanti Cammini delle vie etrusche e romane, di Rutilio Namaziano, di San Giulio e Sant’Egidio o San Gilles, di padre Labat, di Hasekura, ed i collegamenti della Variante Cimina alla via Francigena e altro ancora, sui quali si sono impresse tante, tantissime orme di ogni specie e ne abbiamo già detto.

Ma per non inventare ogni volta cose diverse, seguiamo quelle “orme”, riprendiamo le strade già aperte e applichiamo il Manifesto sull’ambiente della regione etrusca (“Carta di Manturanum”) adottato all’unanimità dalla Conferenza dei Sindaci della Tuscia (UCITuscia, Primavera 2007) ampiamente illustrata in questa rubrica (vedi allegato alla rubrica n° 7 del 24 febbraio 2022, Persone. Vittoria Calzolari: il senso del paesaggio). Il Programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio (PRUSST) “Patrimonio di San Pietro in Tuscia ovvero il Territorio degli Etruschi” è ancora valido: “vigente” o “in vigore”, come abbiamo detto prima, quindi con quella “vitalità” tanto invocata da Alfiero e tutt’altro che “svanita, perduta e spenta”. Quella strada consente di superare molti ostacoli, di semplificare molte procedure, purché “sostenibili”, “conformi” ai requisiti ambientali ed alle disposizioni delle leggi regionali e statali.

Ho assolto così al mio “dovere d’ufficio”. Mi sento obbligato però ad aggiungere una annotazione finale, in coerenza con le mie convinzioni più costanti e irremovibili (lo dimostrano le mie scelte di vita e di lavoro, compresa la cura di questa rubrica), con le iniziative intraprese e con i ruoli rivestiti. In particolare, con l’incarico di Ispettore onorario del Ministero della Cultura, dal 1992, e con l’attività svolta in relazione a tale incarico, unito a quello di urbanista “condotto” del Comune, per la individuazione e catalogazione dei “Beni comuni”. Ne è scaturito, infatti, il “Regolamento per la tutela del patrimonio architettonico e dei beni culturali ambientali”, fatto approvare dal Consiglio comunale proprio nel 1992 e la Variante n° 30 al PRG, proposta e fatta approvare nel 2001. Essa rappresentava il puntuale adeguamento dello strumento urbanistico alle disposizioni della legge regionale 22 dicembre 1999, n° 38, Norme sul governo del territorio, e costituiva l’inventario completo del patrimonio architettonico (immobili, complessi edilizi, isolati, aree ed edifici) e di altri beni culturali e storico-artistici da tutelare, comprese opere d’epoca contemporanea, tra le quali una villa unifamiliare in via Attilio Bandiera che deve a questa inclusione la sua incolumità.

Come ho raccontato nell’articolo di SpazioLiberoBlog “Ultimissime dal Medioevo, VI. La famigerata variante 30, 1991 – 2000 – 2009” del 13 novembre 2020, ulteriori vicende successive, nonostante le rimostranze degli esponenti delle principali associazioni culturali e dell’intera opposizione, hanno portato ad una originale soluzione finale, che, nel privare il Comune di Civitavecchia ed i suoi cittadini dello strumento per consentire la conoscenza del loro patrimonio collettivo, ne impedisce anche la tutela e la valorizzazione. Prescindendo da queste considerazioni, in una città come Civitavecchia, dove la ricostruzione (sembrerebbe una contraddizione in termini) fu caratterizzata prevalentemente da demolizioni e quindi da una distruzione di picconi e ruspe, proprio in termini di patrimonio architettonico e non solo, che ha prodotto danni quasi peggiori dei bombardamenti, mi sembrerebbe proprio un errore iniziare una nuova opera con la demolizione di una vecchia opera. Tanto più quando si tratta di un bene pubblico. I nostri grandi “colleghi” del passato non hanno mai demolito nulla: da Bernardo Rossellino  in poi, tutti i grandi artisti chiamati dai pontefici ad operare a Roma, si occupano anche della ricostruzione e del completamento del nostro porto, rispettandone l’impianto antico attraverso interventi di esemplare coerenza, benché attuati nell’arco di circa tre secoli, con una sostanziale fedeltà al progetto iniziale, all’idea guida: l’immagine classica della città portuale ideale, formata sulla base di descrizioni letterarie e ricerche teoriche, di volta in volta interpretata in chiave rinascimentale e umanistica, manierista, barocca o neoclassica. Prototipo ispiratore di studi, ricostruzioni archeologiche e progetti di città sul mare e di porti fino ad assumere un significato simbolico, di portus et refugium nationum, che culmina col prestar forma nel colonnato petriano – e Alfiero ne sa qualcosa! – alla interpretazione berniniana della Chiesa, portus salutis, l’immagine di Civitavecchia subisce a sua volta, nella trasposizione grafica della percezione visiva, un processo d’idealizzazione e trasfigurazione, che spesso non tiene conto neppure dell’evidenza. È l’ultima delle tante contraddizioni che abbiamo rilevato e, come le altre, ci aiuta a comprendere meglio la storia della città ed a tentarne una rilettura sotto luci diverse da quelle sinora seguite.

FRANCESCO CORRENTI

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