ULTIMISSIME DAL MEDIOEVO. VI. LA FAMIGERATA VARIANTE 30, 1991 – 2000 – 2009.
«And Brutus is an honourable man» *
di FRANCESCO CORRENTI ♦
La premessa
Diversi fattori, tra cui l’esaurimento di aree libere edificabili in zone centrali ed il maggiore valore economico conferito agli immobili dalla prossimità al centro cittadino, hanno innescato da qualche tempo la tendenza degli operatori del settore edilizio a rivolgere la loro attenzione su interventi che comportano, in diversa misura, la trasformazione di preesistenze o addirittura la loro demolizione. Esiste, inoltre, da tempo, una forte domanda per la ristrutturazione e l’ammodernamento di edifici risalenti a epoche passate, situati sia nel centro storico sia in diverse parti del territorio, come i numerosi e tipici casali che un tempo punteggiavano la campagna circostante la città e sono oggi in parte inglobati nelle zone dell’avvenuta o prossima espansione dell’abitato e delle aree produttive attrezzate, con la conseguenza di snaturarne il contesto ambientale.
L’Amministrazione comunale ha, di recente, approvato ii piano di recupero della zona U/CS,
Centro storico, stabilendo normative rigorose per la salvaguardia degli antichi immobili in essa compresi, per cui si deve ritenere scongiurato il pericolo di ulteriori interventi squalificati, come quelli che hanno alterato e deturpato molte parti caratteristiche del tessuto urbanistico del nucleo originario.
Al di fuori dell’ambito predetto e delle zone disciplinate da altri strumenti attuativi, dove la tutela delle preesistenze è posta a base di specifiche disposizioni dettagliate, la situazione normativa è molto carente, non offrendo agli uffici comunali mezzi efficaci per contrastare i tentativi, come si è detto sempre più frequenti, di utilizzare ambiti, anche di elevato valore storico, ambientale e paesistico, per trasformazioni edificatorie che ne comprometterebbero
irreparabilmente le caratteristiche.
A questo fine, il sottoscritto ha provveduto a redigere l’allegato regolamento, che ha anche lo scopo di offrire all’Amministrazione dei criteri per promuovere le necessarie iniziative di recupero che le competono e di fornire, sia ai tecnici interni o consulenti dell’Amministrazione sia alla generalità dei cittadini interessati, una normativa univoca cui attenersi, eliminando le incertezze interpretative e le possibili disparità di trattamento derivanti dalla attuale mancanza di normative.
Civitavecchia, 2 aprile 1991
IL DIRIGENTE DEL SERVIZIO URBANISTICO
Dott. Arch. Francesco Correnti
Con queste parole, ho illustrato all’amministrazione comunale i motivi d’un necessario, urgente ed improcrastinabile provvedimento per porre fine ai fraintendimenti, agli equivoci ed alle incertezze che rendevano arduo il controllo dell’attività edilizia da parte dell’ufficio ed altrettanto complessa la formulazione di progetti d’intervento da parte dei cittadini, dei professionisti e degli imprenditori. Il precedente 4 febbraio, lunedì, era stato eletto sindaco Valentino Carluccio, a capo d’una giunta “bicolore” DC-PSI, che vedeva assessore all’urbanistica Marino Angeloni ed assessore ai lavori pubblici Claudio Paesani.
Proprio la sera del giorno dopo, era iniziata su Roma e buona parte del Lazio una nevicata, proseguita anche per qualche ora nella mattinata di mercoledì, con un’ondata di gelo estesa a tutta l’Italia settentrionale e centrale. A parte il freddo, è un momento particolare, in generale ed anche soggettivamente. Il 2 febbraio ho compiuto 52 anni. I figli crescono, ma accanto alle soddisfazioni di padre, in quell’anno, mi aspettano il dolore del figlio che, dopo il proprio padre ormai da anni, perde anche la madre, la mamma, un dolore immenso, anzi in pochi giorni scompaiono anche altri affetti famigliari e ci si scopre senza più “maggiori”, le persone care della nostra infanzia a cui ricorrere nei momenti di dubbio, di insicurezza. Ho scritto il Regolamento in quattro giorni, poche ore di tranquillità in casa a Roma, intervallate dalle convulse mattinate in ufficio a Civitavecchia, tra riunioni con l’assessore (sulla zona 7 di PRG), incontri per definire alcune soluzioni editoriali (atti del convegno XY di Perugia e di quello su Gregorio Magno, entrambi dell’89, ed il libro su padre Labat con Giovanni Insolera), il sopralluogo ai lavori del podio del Monumento ai Caduti sul Lavoro, varie questioni organizzative con altri uffici, problemi con le FS, accordi per una conferenza stampa dell’assessore.
Due giorni prima della relazione sul Regolamento, il 31 marzo, giorno di Pasqua, avevo redatto un questionario per gli abitanti della “Zona 7” di cui sopra e quasi finito l’articolo su Centumcellae per il numero di settembre della rivista “Palladio”, sollecitato in quei giorni dal professor Guglielmo De Angelis d’Ossat. Mi ero anche interessato, con Paola, delle varie preoccupanti situazioni famigliari del momento e degli esami che mio figlio, la fidanzata e mia figlia, studenti di architettura, stavano preparando.
Ma oltre a scrivere, leggevo. Avevo appena iniziato Siamo spiacenti di, scritto nel ’60 da Dino Buzzati, ed avevo finito, nei giorni precedenti, La vendetta di Archimede di Paul Hoffman ed il recentissimo Era di maggio, di Cesare de Seta. Lo avevo letto, quest’ultimo, con curiosità e coinvolgimento, anche perché l’autore, giusto un anno prima, mi aveva scritto una bellissima lettera di commento alle mie ricerche sulla storia urbanistica di Civitavecchia e, quale direttore della collana “Le città nella storia d’Italia” (“Grandi opere”), mi aveva presentato a Vito Laterza, con cui avevo iniziato una serie di simpaticissimi incontri per programmare la pubblicazione del mio volume.
Per il Regolamento, oltre agli organi istituzionali, avevo confrontato le mie idee con quelle di alcune personalità, già miei docenti in Facoltà, che mi onoravano del loro apprezzamento e della loro amicizia: Vittoria Calzolari, Mario Ghio, Renato Amaturo, Arnaldo Bruschi. Localmente, m’ero consultato con Marco Censasorte, Nello Crostella, Rossella Foschi.
Il problema da risolvere presentava due aspetti. Per quanto riguardava la mia formazione di architetto, la mia attenzione per “le bellezze naturali” e per “le cose che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico” e le mie responsabilità di urbanista comunale, convinto del proprio dovere di proteggere e valorizzare il patrimonio collettivo, trovavo gravissime carenze nello strumento urbanistico comunale, redatto in un momento storico ancora condizionato dalla tragedia delle distruzioni belliche.
Per quanto riguardava il settore edilizio, si doveva rilevare una forte presenza di piccole e medie imprese di costruzione, molto aumentate di numero negli ultimi anni e – a parte le tante con tradizioni di eccellenza – in diversi casi ancorate a livelli qualitativi non eccessivamente elevati, che vedevano ridursi gli spazi d’azione dalla reciproca concorrenza e che, nella progressiva carenza di aree libere e di zone di espansione, iniziavano a rivolgersi alle zone centrali dove la forte differenza tra il volume delle costruzioni preesistenti e le potenzialità offerte dagli indici di piano rendevano oltremodo vantaggiosa la demolizione e la sostituzione edilizia. Purtroppo, la maggior parte di quelle preesistenze era costituita da edifici
aggraziati, anzi di notevole dignità architettonica, costruiti tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Mentre gli indici di piano regolatore erano stati stabiliti nell’ottica degli ormai lontani anni immediatamente successivi a quelli drammatici del dopoguerra, con lo scopo piuttosto utopistico di realizzare un centro direzionale costituito da edifici molto alti, in linea o a torre, per attività terziarie e per uffici pubblici e privati che sembravano all’epoca è un segno di grande modernità. Gli esempi di Torino e le previsioni del PRG di Roma sembravano riproponibili anche alla più modesta scala di Civitavecchia.
Alcuni tentativi di mediare tra le tendenze e le esigenze dei costruttori e quelle di una nascente consapevolezza sulle esigenze di tutela e conservazione mi avevano visto aperto a verificare le possibili soluzioni in alcuni casi proposti dal giovane collega Angelo Porchetti in Via Terme di Traiano, a Via Roma ed in Viale della Vittoria, dove si era tentato l’esperimento di innestare nuove volumetrie di forme attuali su architetture d’epoca, mantenendone a testimonianza storica gli elementi stilistici e decorativi.
I risultati, senza dubbio interessanti, avevano tuttavia dimostrato i limiti del metodo, non applicabile ai tanti casi in cui l’unità formale, la compiutezza volumetrica, la qualità architettonica e il valore documentario del fabbricato nel contesto urbano ne rendevano possibile solo la conservazione integrale.
Si presentava, pertanto, necessario un accurato lavoro di ricognizione in tutto il territorio comunale e la selezione delle opere che presentavano motivi di interesse, per giungere alla loro catalogazione, opportunamente supportata da rilievi fotografici e architettonici, da analisi storiche e da valutazioni formali. Anticipando di oltre due anni l’iniziativa di catalogazione del Consiglio nazionale di Italia Nostra sull’architettura dei quartieri di Roma, ho quindi provveduto, con la piena adesione e collaborazione dei cultori della materia, degli studiosi e delle associazioni culturali cittadine, ad avviare il lavoro del Settore Urbanistico in tale direzione.
Completato il quadro conoscitivo del patrimonio monumentale dei secoli d’oro della Civitavecchia pontificia, abbiamo portato la nostra attenzione alle più modeste realizzazioni dei decenni finali dell’Ottocento e di quelli iniziali del Novecento, scoprendo numerose quanto trascurate realizzazioni di ottimo livello, spingendo poi l’indagine anche all’epoca contemporanea, con diverse pregevoli edifici anche di autori viventi, ed ampliando la schedatura agli altri settori delle arti e dei beni culturali. In questa ampia ricerca, abbiamo ricevuto una immediata e preziosa collaborazione dalla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, dalla Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, dalla Soprintendenza ai Beni Storico-Artistici, dai Musei Vaticani, dal Centro Regionale per la Documentazione dei Beni Culturali e Ambientali dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, dagli Uffici della Provincia di Roma, dall’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime, dal Consorzio Autonomo per il porto e, dopo la sua istituzione, dall’Autorità Portuale di Civitavecchia. Un raro esempio di sinergia e di buone pratiche.
II “Regolamento” ê stato approvato con deliberazione del Consiglio comunale n° 108 del 15 dicembre 1992, è stato affisso in seconda pubblicazione all’Albo Pretorio dal 6 al 21 febbraio 1993 ed è entrato in vigore il 1° marzo 1993.
Vicende successive, abbastanza note per renderne superflua la descrizione dettagliata, lasciando alle immagini il compito di suggerirne il ricordo, hanno portato molti anni dopo ad integrare il “Regolamento” con una vera e propria variante al PRG (le disquisizioni giuridiche troppo sottili hanno, per definizione, poco spessore e conducono, a volte, a complicazioni non necessarie), adottata con molta convinzione e voti unanimi dal Consiglio nella sua ultima seduta dell’anno 2000, prima dello scioglimento per la tornata elettorale.
Comunque, come si può agevolmente costatare, la Variante n° 30 rappresentava il puntuale adeguamento dello strumento urbanistico vigente alle disposizioni regionali e si atteneva scrupolosamente alle categorie e alle definizioni della legislazione statale e regionale in materia, con procedure perfettamente consone alle esigenze culturali e di tutela prescritte da tale legislazione e, nello stesso tempo, rigorosamente conformi a quelle previste dalla legislazione urbanistico-edilizia.
Ulteriori vicende successive, movimentate da numerosi episodi di contorno, hanno portato ad una originale soluzione finale, che, nel privare il Comune di Civitavecchia ed i suoi cittadini dello strumento per consentire la conoscenza del loro patrimonio collettivo, ne impedisce anche la tutela e la valorizzazione.
Ampliando però la nostra possibilità di valutazione dei vari settori dei beni culturali anche al campo demo-etno-antropologico. Il che rappresenta un ottimo modo per attuare l’insegnamento dantesco e “seguir virtute e canoscenza” (fatti non foste a viver come bruto).
FRANCESCO CORRENTI
Pingback: RUBRICA “BENI COMUNI”, 37. TERME E PROGETTI DI ALFIERO: IPOTESI D’ISTRUTTORIA | SpazioLiberoBlog