RUBRICA “BENI COMUNI”, 23. ALMANACCHI, CALENDARI, LUNARI, STRENNE (TERZA PARTE)

a cura di FRANCESCO CORRENTI

(continua dalla puntata precedente)

In quest’ultima puntata della rubrica sui “Beni comuni” dedicata ad almanacchi e calendari, non posso continuare a scantonare, a deviare, cambiare percorso e discorso, sperando di allontanarmi non visto, senza dar nell’occhio, e non affrontare così le questioni che avevo vagamente annunciato. Ho detto, ripetutamente, di voler esprimere qualche idea, solo per il Blog, prendendo spunto dal ritrovarmi tra le mani quella piccola collezione famigliare di almanacchi, calendari, lunari, appartenuta – lo vedo da vari indizi – a Nonno Francesco, il nonno siciliano, e dal fatto che uno degli almanacchi è dell’anno 1922. Da qui, la costatazione del secolo trascorso da quando Nonno ha avuto tra le sue mani quel libricino, i miei pensieri su quali potrebbero essere stati i suoi pensieri all’epoca, per saltare di punto in bianco – per dirla con espressione presa a prestito dagli artiglieri della “piazza bassa” sulla Bocca della Darsena di Civita Vecchia – a reminiscenze appunto secolari, mettendo “nero su bianco”, per accennare all’ottobre della “Marcia su Roma” delle camice nere («della rivoluzione e delle legioni»). Mi vengono in mente altri capi di abbigliamento citati per i loro colori: le camicie rosse o le varie giubbe rosse, i colletti bianchi, le maglie azzurre, i berretti verdi (The Green Berets). Legati alla carta stampata, i libri gialli e le pagine gialle, alle autostrade i Punti Blu, alla qualità turistica le bandiere arancioni. Ancora tra le bandiere, a parte quelle nazionali, con i diversi colori e loro forme, o di infiniti tipi ed usi, varie monocolori – bianca, rossa, gialla, ecc. – hanno scopi svariati. Quelle arcobaleno, a sette colori – viola, blu, azzurro, verde, giallo, arancione e rosso – invertiti rispetto a come appaiono in natura, con al centro la scritta bianca “PACE”, sono appunto quelle dei movimenti pacifisti (che hanno, peraltro, tra loro alcune sfumature e pure qualche contrasto!), e le abbiamo utilizzate per protesta contro le guerre ed anche, sui nostri balconi, nei mesi del lockdown, da marzo 2020, come e con messaggi di speranza e solidarietà («Andrà tutto bene!», «Io resto a casa!»). Quelle arcobaleno, ma da sei a otto strisce, sono dal 1978 l’emblema del movimento di liberazione dell’orientamento e del comportamento sessuale e vogliono rappresentare un simbolo per ogni identità e ve ne sono una trentina di versioni, ognuna con un significato ben preciso. E così via. Nella mia copertina, come ho detto, ho colorato il numero dell’anno in corso con il “Tricolore”, nel doppio significato di ricordare i successi sportivi dei nostri atleti ed i colori nazionali, presenti per forza di cose nei simboli di gran parte dei partiti ed in particolare in quello risultato rappresentativo della maggioranza (relativa) dei votanti nella tornata elettorale politica, in una forma allusiva, mantenuta nel tempo e oggetto di rinnovate polemiche.

Fortunatamente, nello stesso giorno di uscita della seconda parte della rubrica, giovedì 13 ottobre 2022, nell’Aula di Palazzo Madama, si è tenuta – trasmessa in diretta sui canali televisivi – la prima seduta della XIX legislatura. L’ho seguita con attenzione, interrompendo la stesura, iniziata fin dalla prima mattina, di queste pagine della terza parte. Con diversi sentimenti, reazioni, forse emozioni, che ho “registrato” nella mia mente, proprio per trasferirli qui, colpito da circostanze con riflessi personali, in certo modo simili a quelli delle persone di cui ho ascoltato le parole. Tra questi, uno dei principali protagonisti, che mi riportava indietro nel tempo, agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, alle mie vacanze estive in Sicilia, nelle case di Nonno Francesco e Nonna Maria Grazia, a Paternò e, soprattutto, a Ragalna, sull’Etna, dove certe coincidenze possono essere frequenti, come avere un padre di nome Antonino, detto Nino, nato a Paternò, laureato in giurisprudenza all’Università di Catania, avvocato, benché poi con vite molto diverse, luoghi di vita molto lontani, differenze di età tali da impedire altri punti di contatto.

Colpito dal vedere che la proclamazione dell’elezione di quel “vicino di vacanze” (sempre intravisto da lontano, per il divario di otto anni d’età, di abitudini e di amicizie che c’era) veniva fatta dal Presidente provvisorio del Senato, la senatrice a vita Liliana Segre, di anni 92, discriminata con disumana violenza, da bambina italiana, dalle leggi razziali fasciste, deportata e sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, il cui discorso di apertura – con parole toccanti ma serene – aveva ricordato a tutti noi, come ai neo eletti senatori, «particolarmente emozionata di fronte al ruolo riservatole dalla sorte in tale giornata», proprio quella circostanza imprevedibile. Per di più «nel mese nel quale è caduto l’anniversario della Marcia su Roma che dette inizio alla dittatura fascista», retro-pensiero anche di queste pagine. Troppi altri pensieri si aggiungono a quel ricordo, e fatti e nomi. Non quella – che Liliana Segre ha chiamato «questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica» – bensì l’altra “camera” del Parlamento italiano era stata definita allora «aula sorda e grigia»,    possibile «bivacco di manipoli», e non lì ma sempre nell’altra aula, Giacomo Matteotti aveva pronunciato il suo ultimo coraggioso discorso, eppure certamente non potevano essere diversi i pensieri suscitati dal centenario di quegli eventi storici, anche se evocati da quel modestissimo ritrovamento del minuscolo, consunto quinterno dell’almanacco «1922» del Gran Pescatore di Chiaravalle comprato da Nonno Francesco.

Vengo finalmente al mio impegno. Riprendo il discorso dagli almanacchi, dalla “piccola collezione famigliare di almanacchi, calendari, lunari” (sono per l’esattezza trentacinque quelli piccoli, all’incirca di cm 6-7 x 10 – in-32° –, e il più “attempato” è del 1900; più altri cinque in-16°, i Barbanera e Barba Bianca, di cm 11 x 15), che in realtà è mischiata a varie immaginette vedute «a beneficio delle Missioni Francescane in Africa Orientale Italiana» ed a diversi calendarietti profumati da barbiere, degli anni Venti e Trenta. Compreso l’ultimo, del 1953, che ricordavo bene perché lo avevo aggiunto io, ed era un poco “audace” (!) per i tempi con le sue “donnine” (!!) in pose “provocanti” (!!!), ancora solo disegnate. Il mio Barber Shop, il “Salone da barba” (e capelli, perché allora sul mio viso penso ci fosse appena una peluria senza necessità di rasoio) lo stesso da anni di mio padre, era dei Fratelli Catalani, in piazza Sant’Apollinare, vicino a piazza Navona dove affacciava la casa degli “Zii Dini” (già noti al lettore per i viaggi in URSS), ed era naturalmente dotato, vicino alla grande vetrina d’ingresso, della tradizionale insegna rotante bianca rossa e blu.

Ho inserito nelle immagini a corredo di queste tre puntate della rubrica i diversi esempi degli almanacchi e calendarietti ritrovati. In questa puntata, ho aggiunto una significativa cartolina: altra ricchissima collezione famigliare, quella delle cartoline, da cui posso ricostruire molti episodi e molte vicende (e viaggi e trasferimenti) dei miei “antenati”, ma anche della Storia più in generale. Credo che per il disegno, la data, i nomi e il contesto non abbia bisogno di alcun commento, tanto è eloquente da sola. Si tratta di una «Cartolina postale per le Forze Armate», «esente da tassa per l’Italia e le sue Colonie», in cui è rappresentata la «lotta gigantesca», descritta da una frase di Mussolini, de «l’Europa contro l’antieuropa» (rappresentata da un mostro scimmiesco con mani ad artiglio e “falce e martello” in una di esse), spedita il 20 novembre 1942 «dalla lontana Russia» dal sottotenente medico Crispi dott. Antonino del Reggimento Savoia Cavalleria / Squadrone Comando (protagonista fuori tempo di atti di eroismo e generosa abnegazione in quella tragica e insensata avventura, scatenata dalla follia dei due dittatori, dimentichi dell’altrettanto terribile campagna napoleonica conclusasi alla Beresina), ad uno dei quattro fratelli (e due sorelle) di mia nonna Maria Grazia, Filippo Raciti (Paternò CT, 18.1.1860-17.10.1944), omonimo dell’Ispettore capo della Polizia di Stato, morto in servizio durante gli scontri tra fazioni di ultras di due squadre di calcio siciliane (Catania, 17.1.1967-2.2.2007).

A questo punto, imitando Paolo Mieli verso la fine delle puntate del bel programma “Passato e Presente” prodotto da Rai Cultura, mentre vi ringrazio per la pazienza di avermi seguito fin qui e vi invito a proseguire sino all’ultima riga, passo alle conclusioni. Attraverso due passaggi banali ma non fuori luogo. Il primo: tutti conosciamo Firenze. Se solo ci limitiamo a leggere qualche paragrafo del volume della “Guida rossa d’Italia” del Touring Club su Firenze, soffermandoci sulle collezioni d’arte e senza inoltrarci, che so, nelle strutture bibliotecarie e negli archivi, restiamo affascinati:

Firenze città d’arte, anche per i tesori racchiusi nei suoi numerosissimi musei e gallerie, dei quali la Galleria degli Uffizi è soltanto la più grande e la più nota, ma che comprendono anche le varie collezioni di Pitti (Galleria Palatina, Galleria d’Arte moderna, Museo degli Argenti), S. Marco, il Museo nazionale del Bargello, il Museo dell’Opera del Duomo, la Galleria dell’Accademia, il Museo Archeologico, e vari altri minori, fra i quali ricordiamo soltanto, per la sua specificità, il Museo Stibbert, museo di un eclettico collezionista, che raccolse alla fine del secolo scorso, un’infinità di oggetti antichi e meno antichi, soprattutto armi, armature e costumi, e inoltre oreficerie, mobili, tappezzerie.  […] E quando venne anche per Firenze, dopo i fulgori del Medioevo e del Rinascimento, l’età delle accademie e del culto delle memorie patrie, anche in questo la città eccelse. Di questi sodalizi, sorti nel corso dei secoli, moltissimi sono giunti fino a noi e qualcuno, come la Colombari e l’Accademia dei Georgofili, continuano a tenere adunanze, a pubblicare libri, collane, periodici, a dibattere i problemi del presente, oppure, come la Crusca, a studiare i testi, per il vocabolario della lingua italiana. Si mantiene per questa via a Firenze una sorta di storico primato, nel momento stesso in cui l’unificazione nazionale prima, il cinema, la radio, la televisione poi hanno immesso nel linguaggio regionalismi e neologismi, accelerando la trasformazione della lingua.

Ma non è tutto. Ed ecco il nesso con la mia modesta collezione famigliare. Tra tanti capolavori e meraviglie dei maggiori geni dell’arte mondiale, de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti, il Comune di Firenze possiede una collezione, conservata nella Biblioteca Comunale Centrale, composta da quegli stampati “minori” editi dalla prima metà sec. XVIII fino ai giorni nostri, per un totale di 188 testate diverse, fra italiane e straniere, con forte prevalenza di quelle stampate a Firenze. Complessivamente gli esemplari posseduti sono 782, più 88 doppioni e in numero decisamente preponderante sono quelli usciti dai torchi tipografici fiorentini. L’Assessorato alla Cultura del Comune di Firenze ha riordinato la collezione e ne ha curato una mostra e la pubblicazione del Catalogo, reperibile in rete e scaricabile (come io ho fatto, facendo mio il titolo, con qualche trasposizione, per la rubrica).

Almanacchi Lunari Calendari Strenne, a cura di Manuela Barducci, edito nel 2006, illustra in 144 pagine la collezione, attentamente analizzata anche attraverso lo studio dei soggetti e le caratteristiche tipografiche e bibliografiche. Nell’Introduzione, la curatrice espone ottimamente il senso della iniziativa comunale con parole che condivido e ripropongo qui:

Almanacchi, lunari, calendari e strenne della Biblioteca Comunale Centrale hanno un indubbio valore e interesse archivistico e storico per gli “addetti ai lavori”, ma per il vasto pubblico possono anche rappresentare un fattore di curiosità, un fatto di costume (di cui possiamo peraltro riscontrare i segni nella nostra città e riconoscerli per conoscerla meglio). Mantenere la memoria del tempo, di quel tempo fermato, fotografato nella mostra Futuro da leggere e in questa pubblicazione, è un’operazione culturale importante, di quelle che non fanno “evento” da prima pagina di quotidiano, ma viceversa sedimentano lentamente, pescando nel profondo della nostra storia.

Il secondo passaggio delle mie conclusioni parte appunto dal primo, dalla Firenze degli almanacchi, e si sposta – per trarre qualche utile suggerimento – alla città di cui frequentemente ci occupiamo in questa rubrica, Civitavecchia.

Civitavecchia: la città dove buona parte di quegli eccellenti pittori, scultori ed architetti, certamente molti degli ultimi, hanno lavorato e prodotto opere egregie nei “secoli d’oro” della nostra storia nazionale. La città dove esistono un ottimo Museo Archeologico, un’ottima Biblioteca Comunale con Archivio Storico ottimamente ordinato e dove esistono ottime Fondazioni, ottime iniziative personali e ottimi sodalizi dediti con passione al culto delle memorie patrie, con numerosi, ammirevoli gruppi di volontari che dedicano le loro cure, generosamente, ai beni comuni.

A Civitavecchia, sabato scorso, 15 ottobre, sono stato invitato all’inaugurazione della mostra dei disegni originali di Arnaldo Massarelli sulle fasi dello sviluppo urbano di Civitavecchia dal XV al XIX secolo, di cui ho avuto la profonda soddisfazione di essere stato il promotore dal 1992 e ancora l’editor nel 2012, riuscendo a condurre l’iniziativa nel quadro dei compiti istituzionali degli enti pubblici locali e del Centro di documentazione urbanistica istituito nel 1977. Nato a Civitavecchia il 9 dicembre 1923, questo straordinario ricercatore, studioso e disegnatore, divenuto un autentico artista dalla mano inconfondibile, è morto ad Anguillara Sabazia l’11 agosto di quest’anno. Ho partecipato con piacere all’inaugurazione, notando in un breve intervento che la mostra, e quel primo, commosso ricordo di Arnaldo, erano stati organizzati dal Fondo Ranalli, ospitati dal Museo Archeologico Nazionale, supportati dalla Fondazione CaRiCiv, accompagnati dal patrocinio dell’Amministrazione comunale, allestiti da un gruppo di volontari coordinati da un giovane architetto, Daniele Oliva, che lavora a Bruxelles, fuori d’Italia, come tanti altri bravissimi giovani, che trovano all’estero quel successo che non trovano qui da noi.

Tutti, persone ed enti, uniti per un atto di omaggio alla memoria di Arnaldo Massarelli, «un viaggio nell’anima e nella memoria», ma non esattamente nel loro ruolo istituzionale. Ecco, quindi, la mia preoccupazione, quella che mi ha mosso nello scrivere queste puntate della rubrica. Come riuscire ad avere un luogo o più luoghi, come fu a suo tempo il CDU e come sono gli Urban center in molte città, che siano dei centri studi (e non possono essere semplici uffici comunali, neppure la Biblioteca e l’Archivio Storico, che hanno altre funzioni), dove le vedute di Arnaldo Massarelli, gli innumerevoli studi di tanti altri studiosi, le opere di tanti artisti, le moltissime tesi di laurea sulla città, siano non semplicemente conservati in armadi, in scaffali o in bacheche, ma studiati, analizzati, approfonditi, da gruppi di persone capaci, preparate, e molti giovani tra queste, decorosamente compensati per il loro lavoro, come semi fecondi, creazioni vive, insomma beni comuni curati, coltivati, alimentati e giorno per giorno incrementati, risorsa indispensabile della cultura della Città?

FRANCESCO CORRENTI

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