Perché la “parità di genere” non è femminista.
di VALENTINA DI GENNARO ♦
Ho pensato molto a cosa volesse comunicare e quale fosse il bersaglio della disamina di Patrizio Paolinelli apparsa su Spazioliberoblog dal titolo “l’indifferenza di genere”.
Innanzitutto tranquillizzerei Paolinelli, la “parità di genere” non è il femminismo, non è il transfemminismo.
Non è il centro delle rivendicazioni di questi tempi.
È vero, la “parità di genere” è un principio, è, direi ormai un istituto consolidato, sia nel
piano economico che in quello politico: si veda, ad esempio, l’Unione Europea.
Bruxelles si occupa di valutare la “parità di genere” nei paesi membri, e lo fa secondo indicatori ben precisi, tra cui quello della possibilità di accesso al mondo del lavoro.
La “parità di genere” che è ormai anche un concetto banale, direi desueto in un contesto di ricerca sociale ed antropologica, una categoria lontana, nel tempo e nello spazio, è stata e continua ad essere pur sempre una rivendicazione.
Una rivendicazione anche all’interno del conflitto di classe.
Ma ormai, provo a dire, è accettato universalmente come la dicotomia di classe non contempli solo l’idea di genere, come neanche quella di razza, quella religiosa, quella della provenienza geografica.
Ma è proprio invece nell’intersezionalismo, che ormai propone il femminismo di questa quarta ondata, la nuova chiave di lettura.
La classe non è più il solo identificativo di una condizione di sfruttamento e della sua rivendicazione.
L’identità di genere nel mondo del lavoro continua ad essere fortemente discriminatoria.
Patriarcato e capitalismo si alimentano a vicenda.
L’organizzazione, l’orario di lavoro, la mobilità del lavoro e la modalità di accesso al mondo del lavoro, la mancanza dei servizi, ci parlano della discriminazione verso un genere che è quella di essere “madri in potenza”.
In Italia è l’unico Paese a contemplare mesi di congedo maternità obbligatorio per le donne e poche ore per gli uomini.
La narrazione di Paolinelli, rimane quindi sul pelo dell’acqua.
È vero, ci sta una rivendicazione che rimane solo e soltanto sulla superficie chiamata “parità di genere”.
Una rivendicazione, che oso dire, ormai quasi liberale, solo e prettamente economica, salariale, importante, ma che fa da sfondo e non mette in discussione il modello capitalistico, il modello organizzativo della società produttiva e sociale.
Il transfemminismo va oltre la parità di genere, partendo dall’assoluta discriminante di genere, ma che la supera.
Ancora una volta un uomo ci dice, ci spiega, che non siamo abbastanza avanzate, intelligenti o brillanti da valutare in autonomia se le battaglie per la “parità di genere” siano percorribili e necessarie.
Qual è questa figura mitologica femminile si lascia trasportare in una narrazione sulla “parità di genere” che si ritiene fuffa senza pratica?
Rinnovo la mia difficoltà nel comprendere l’obiettivo della disanima.
O almeno a chi è rivolta, dato che “parità di genere” è un concetto datato e di retroguardia.
VALENTINA DI GENNARO
Bravissima.❤️
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❤️
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Non potevi dirlo meglio; e questa lotta e discriminazione diventa ancora più importante in questo momento in cui in Italia si sta varando un governo che vuole ricacciarci in casa a fare figli e lavare piatti
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Questo rimarcare l’auto sufficienza ed indipendenza di genere non fa che rafforzare l’idea che tutto ciò faccia gioco alla strategia del liberismo capitalista, laddove c’è contrapposizione e concorrenza esso ne gode. É forse questo il messaggio di Paolinelli? Io così l’ho inteso, non vi ho visto alcuna volontà riduttiva dell’altro genere. Ma può essere che sbaglio.
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Al di là e oltre il discorso sulla parità di genere, vorrei ricordare che ci sono tanti modi di essere donna e dovremmo separarci dall’idea eterocentrica e patriarcale. Vi ricordate “Non una di meno”?
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