Lettera aperta a Virginia Woolf
di CATERINA VALCHERA ♦
Cara Virginia,
in quanto donna mi posso permettere di travalicare il tempo e lo spazio, di fare magie, di venire a trovarti con il fluttuare del pensiero, lasciandomi trapassare dalle tue parole e attraversare dalla tua anima. Mi abbandono come soggetto riconosciuto e riconoscibile, alla paradossale intimità della lettera, per ricompormi nel tuo sguardo come “altra”. Sento che con te mi posso confessare, come con un’amica confidente, compatente. Posso dichiararti con sincerità quanto amore provassi per mio padre, perché so che puoi capirmi fino in fondo. Puoi capire quanto mi sia sentita in colpa per non aver realizzato il suo ardente desiderio che io mi dedicassi al vero metier d’homme (perdona questo guizzo maschilista!) che è la scrittura, e che sia riuscita a farlo solo da poco tempo, tardivamente e senza poter godere del suo compiacimento. Di una cosa sono certa: scrivo solo per lui. Scrivo al posto di lui. Fuori tempo massimo. Lo onoro da morto. Da vivo lo onoravo leggendo voracemente libri, come facevi tu quando saccheggiavi la biblioteca dove tuo padre ti lasciava libera di entrare e di scegliere le tue letture. Anche il mio mi amava molto, ma non ha mai assunto atteggiamenti tirannici, anzi ha alimentato come acqua sorgiva il mio amore, rendendolo indiscutibile, intenso, spudorato. Nella vita non ho scelto come compagno un suo “equivalente”, non ho avuto- o forse non ho voluto- accanto a me un concorrente, un Leonard paziente e buono, rispettoso della mia libertà, pronto a capirmi e capace di salvarmi da me stessa. E non ho dovuto subire, come te, la cocente delusione della scoperta che “l’uomo non è un dio”. Io e le mie compagne di viaggio di questo tempo storico l’abbiamo sempre saputo. L’angelo del focolare è morto ormai e a noi donne non mancano le esperienze, piuttosto rischiamo di perdere in immaginario. Basta però che io mi ponga dinanzi al mio simbolo, che non è, come per te, la montagna, ma il mare, per pescare nei fondali della mia anima e ritrovare il pensiero che immagina, che si nutre di sogni come del plancton i pesci di profondità. Il suo azzurro, la sua infinità mi attraggono come l’altezza delle montagne attrae te: in quello spazio naturale sempre mobile, sorprendente, ogni volta diverso, posso toccare la libertà assoluta, ritrovare non la madre spietata, ma la me stessa inattingibile nello spazio terrestre. Anche io, come te, per vedere meglio devo inforcare gli occhiali, e allora tutto diventa chiaro. Chiaro e trasparente come la distesa marina, come la musica delle onde che il mio Petrof non può restituirmi, ma le tue parole sì. Ogni tua parola. Ogni volta insieme a te sopporto anche il silenzio del tempo. Gli anni sono passati, i miei come i tuoi, e anche io, come la tua Eleonor, mi sorprendo a pensare che deve pur esserci un’altra esistenza, qui, adesso, ma non quella dei sogni! I miei poi invecchiano insieme a me, raccontano passioni impolverate, sbiadite, frammentate come la vita vera, di cui anche io, nonostante l’età, credo di aver capito molto poco e solo da poco tempo. Ma grazie a te ho capito tutto il tempo da noi sempre ritorna, gravido di senso e gremito di cose, volti, oggetti e che non può bastare quello che precede il precipizio, vicino al quale anzi accelera, come un treno in corsa prima della galleria eterna e senza luce. Sprofondo nella mente della tua Eleonor come lei nella sua poltrona, ma un fascio di luce mi distoglie dal buio dei suoi neri pensieri. Sta facendo giorno? La stanza che, in questo frammento fragile della mia storia, ho tutta per me, si è illuminata. Merito della tua luce, della luce della tua scrittura. I tuoi giochi zoomorfi, i nomignoli che tu infantilmente assegni ai tuoi fratelli e amici svolazzano intorno a me come lucciole di notti lontane. Così, diventata bambina, ti rubo il gioco, mi impossesso della tua fantasia. Guardo la mia pelle che non conserva più un solo tono, ma è un mappa colorata e maculata. E penso, finalmente ridendo, che se io arrivassi all’improvviso da te, tu grideresti: “Ecco la salamandra!”. E io mi vedrei assicurata la rinascita. Grazie amica mia, sorella divertente e inquieta, grazie per la favola della Vita che sempre regali ai miei giorni, senza chiedere nulla in cambio.
CATERINA VALCHERA
Che meravigliosa poesia! ❤️
"Mi piace""Mi piace"
Grazie anche a te, Caterina, per la favola della Vita.
E i giochi che giocavamo da bambine ritornano.
Spensieratezza, ma anche un velo di malinconia, che preannunciava le perdite che avremmo avuto nella vita, i padri…
L’hortus conclusus era il nostro spazio personale, aperto agli altri bambini, maschi e femmine, senza competizione e tanta lealtà, ancora presente nella nostra amicizia ritrovata, non apericene ma il piacere della scrittura autobiografica. Paola.
"Mi piace""Mi piace"
Caterina, sai che il salmone affumicato che ho mangiato ha il sapore dei ricci di mare?!
"Mi piace""Mi piace"
Ciò che mi attrae di Virginia è la sua malinconia, il suo desiderio di nuotare in acque tranquille, adombrato da studi sulla pazzia e sul suicidio. Amiamo Dostoevskij, la vita e la morte, la saggezza e la follia, ma crediamo che la nostra ambivalenza sia un male. Anche tu, come Virginia, sei sopraffatta dal ” vasto senso della poesia della vita” e spesso è legato al mare.
” Ma questa lieve depressione, che cos’é?…E se non vivessimo alla ventura, prendendo il toro per le corna e tremando sui precipizi, non saremmo mai depressi, senza dubbio; ma già saremmo appassiti, vecchi, rassegnati al destino.”
Toccare le sorgenti nascoste, ognuna di noi le possiede.
"Mi piace""Mi piace"
Uno splendore ❤️
"Mi piace""Mi piace"
Ciao Caterina, grazie del tuo contributo. La stanza tutta per sé, lo spazio non solo fisico per essere, è quello pubblico. Le narrazioni e le autobiografie femminili, rivendicano lo spazio edito del pubblico. Menomale! Almeno ne possiamo godere tuttI.
"Mi piace""Mi piace"