“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Brevissime note su prodotti ittici e sull’acquacoltura

di GIORGIO CORATI

Brevissime note su prodotti ittici e sull’acquacoltura

Nel corso dei secoli le molteplici pratiche agricole e le attività umane dedite all’allevamento hanno “ridefinito” moltissime varietà vegetali e animali. La stessa cosa non può dirsi per le specie ittiche che in larga parte sono ancora le stesse di sempre, pur con avvenute modificazioni naturali proprie.

Per quanto riguarda le specie ittiche che “consentono” di essere allevate, la loro diversificazione come prodotto ittico è legata alle dinamiche di domanda e di offerta e anche a studi o ulteriori tentativi di allevamento in atto. Tra le specie più note vi sono la spigola o branzino, l’orata, il rombo chiodato, l’ombrina boccadoro, il pagro, il dentice, il pagello pezzogna o pezzogna, il sarago maggiore, il sarago pizzuto, la ricciola, la cernia, l’ostrica concava, il salmone, il gambero tropicale, il pangasio, la mazzancolla giapponese, la mazzancolla tropicale e la mazzancolla indopacifica.

Da tempo, l’aumento della popolazione e la necessità crescente di fabbisogno alimentare sostengono sempre più pratiche agricole innovative e attività di allevamento sulle quali, in tempi recenti, vi è ampio dibattito, nonché visioni discordanti; ad esempio, in merito all’allevamento ittico, l’attenzione è posta su attività e pratiche che potrebbero esercitare forti impatti negativi sulla biodiversità di specie e sugli ambienti marini. Generalizzando, l’utilizzo massiccio di popolazioni selvatiche di scarso valore commerciale come alimento per specie allevate, sotto forma di farina di pesce, tende a mettere sotto pressione l’esistenza di altre specie selvatiche, avviando un ciclo che appare poco virtuoso se l’efficacia stessa dell’allevamento è legata e orientata ad attenuare o a evitare qualsiasi pressione esterna sulle specie selvatiche. Si dibatte molto anche su altre “condizioni”. Ad esempio, si ritiene che le vasche a terra utilizzate potrebbero determinare di fatto criticità rispetto al benessere delle specie allevate e ciò potrebbe comportare una perdita di qualità delle loro carni ai fini del consumo umano. Alcuni ritengono che gli scarti di mangime, le deiezioni, i residui di eventuali antibiotici utilizzati al fine di evitare il propagarsi di malattie, nonché l’utilizzo di eventuali ormoni della crescita, potrebbero eventualmente contaminare il mare e l’ecosistema marino circostanti l’impianto nel caso, ad esempio, di “fuoriuscite” accidentali. Nel caso di specie alloctone (specie introdotte), uno o più individui, ad esempio, potrebbero sfuggire accidentalmente dagli impianti, entrando in tal modo in competizione con specie autoctone (specie native) con la possibilità di provocare una competizione tra le specie stesse ed esponendo a rischio l’equilibrio degli ambienti marini interessati. A volte, la necessaria cattura di avannotti (piccoli individui di specie), per il loro allevamento in vasca, è ritenuta una pratica che potrebbe danneggiare specie non bersaglio (non oggetto di interesse della pesca) a causa delle tecniche di cattura utilizzate.

È tuttavia possibile l’attenuazione o l’eliminazione di eventuali problemi anche con il sostegno dell’attività di ricerca attraverso studi e progetti mirati.

Nel contesto dei prodotti ittici, la crescente domanda di consumo alimentare e l’incremento dell’intensità di pesca insidiano di fatto l’esistenza stessa del pesce selvatico che, in termini quantitativi, è tendenzialmente sempre meno disponibile o comunque è caratterizzato da individui di piccola taglia. Se per certi aspetti tale tendenza è da ritenersi imputabile ad un’offerta limitata cioè ristretta a specie ittiche per lo più ritenute maggiormente commerciali dall’attività della pesca, tuttavia l’aumento costante della domanda di consumo, incentrata su una gamma ristretta di specie, sostiene tale traiettoria. In merito appare evidente una “rivisitazione” del comportamento di consumo privato. Al contempo l’attività di allevamento ittico ovvero l’acquacoltura si afferma come attività economica di produzione ittica diffusa, con un tasso di crescita in aumento che riguarda in genere specie maggiormente utilizzate e soprattutto con la visione che la vede quale alternativa alla soluzione del problema di cui si tratta e come un buon esempio per la conservazione dell’ambiente marino. In merito, il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura, acronimo FEAMPA 2021-2027, (Reg. (UE) 2021/1139),1 sostiene che […] “la pesca e lacquacoltura contribuiscono alla sicurezza alimentare e alla nutrizione” (punto 38). Riguardo l’acquacoltura quale modalità di produzione, sebbene si tratti di un’alternativa alla crescente domanda di prodotti della pesca e, in termini di biomassa, al sovrautilizzo di specie selvatiche dal maggior interesse commerciale, è tuttavia una soluzione certamente associata al particolare comportamento di consumo a cui si è accennato. È da notare che dal punto di vista igienico-sanitario è indubbiamente garanzia di sicurezza e salubrità, in quanto è sottoposta a un alto livello di controllo da parte delle Autorità preposte. Un’interessante finalità dell’acquacoltura è, inoltre, la produzione in cattività di individui giovanili di specie selvatiche che vengono utilizzati per il ripristino di popolazioni ittiche selvatiche in forte declino dovuto a cause varie. Si tratta di fatto di una pratica che tende ad assumere un ruolo molto importante ai fini della biodiversità di specie; è attuata, ad esempio, a sostegno delle popolazioni del riccio di mare.

Ciò detto avviene mentre la pesca costiera, quale attività economica “classica”, legata a un preciso ambito territoriale, è sempre più in difficoltà a causa di costi di esercizio crescenti e della concorrenza di una ristretta varietà di prodotti ittici di origine estera (mondiale). In merito, il citato Regolamento sostiene che l’Unione europea importi attualmente, quale stima, “oltre il 60% del suo approvvigionamento di prodotti della pesca e” [per questo motivo] “dipenda pertanto fortemente dai paesi terzi” (punto 38). In tal senso, il consumo di prodotti della pesca di origine locale può anche assumere una connotazione strategica dal punto di vista dell’autonomia alimentare (non autarchica), quell’autonomia che sembra essere un tema di fatto trascurato, che tuttavia si palesa in situazioni emergenziali o di contingenza. Si tratta di un concetto di strategia che orienta alla prevenzione del depauperamento della risorsa, al mantenimento della biomassa della risorsa stessa entro livelli biologicamente sostenibili – livelli di riproduzione, accrescimento e reclutamento (“alla pesca”) degli individui di ciascuna specie -, nonché alla prevenzione e attenuazione almeno degli impatti negativi di consumo.

Una breve rassegna sulle tecniche di allevamento e sull’alimentazione delle specie può essere utile per avere una visione più ampia sull’argomento, anche se le note che seguono non sono assolutamente esaustive.

Riguardo alle tecniche utilizzate, quelle attuali assicurano, alla specie allevata, riproduzione e accrescimento ai fini del reclutamento per il consumo a ritmi generalmente superiori rispetto a quelle legate al ciclo vitale della stessa specie selvatica.

Rispetto all’attività economica in sé, può essere fatta una distinzione tra attività di produzione ai fini della crescita e dell’accrescimento e attività di ingrasso che riguarda, ad esempio, soprattutto l’anguilla e il tonno rosso. In base, all’intervento umano, genericamente parlando, l’acquacoltura è attuata attraverso tre differenti modalità di allevamento che sono definite “intensiva”, “estensiva” e “semi-intensiva”, il cui criterio distintivo è basato, in genere, sul regime alimentare piuttosto che sulle densità di affollamento dei pesci in vasca o in gabbia. In quegli impianti in cui si utilizzano mangimi, questi sono composti principalmente da farina di pesce e olio di pesce derivanti per lo più da grandi quantità di pesce selvatico fresco ritenuto di basso pregio commerciale.

In breve. Negli impianti di acquacoltura “intensiva” le specie, allevate in vasche d’acqua dolce, salata o salmastra, vengono generalmente alimentate con diete artificiali adeguate e appositamente formulate e preparate per loro. L’attività può essere caratterizzata, ma è non sempre così, da un’elevata densità di individui allevati. L’allevamento “intensivo” in mare aperto (maricoltura) avviene, invece, in grosse gabbie galleggianti o sommerse.

Negli impianti di acquacoltura “estensiva” le specie, già allo stadio giovanile, traggono il proprio sostegno alimentare sfruttando le risorse fornite loro dall’ambiente.

Presso gli impianti definiti “semi-intensivi” l’alimentazione naturale viene integrata con diete artificiali.

In generale, si può essere d’accordo quando il citato Regolamento sostiene che “incoraggiare il consumo di proteine di pesce prodotte nell’Unione con standard di qualità elevati e a prezzi accessibili per i consumatori costituisce una sfida importante” (punto 38). È indubbio che le specie allevate soddisfano i livelli qualitativi di prodotto ritenuti analoghi a quelli del pesce selvatico omologo. Considerando, tuttavia, che le specie allevate, o meglio allo stato attuale allevabili, costituiscono un ristretto numero di specie, e che, in linea di massima, la loro diversificazione come prodotto ittico è legata principalmente al continuo aumento delle richieste di consumo orientate su alcune specie in particolare – molte delle quali per l’appunto anche allevabili -, allora un tema ulteriore, su cui ogni consumatore può definire e maturare una propria convinzione anche alla luce di una necessaria “rivisitazione” del comportamento di consumo privato, può essere introdotto dal seguente quesito: un prodotto ittico da acquacoltura, nel medio-lungo periodo, potrà essere considerato alla stessa stregua di un prodotto alimentare che oggigiorno è definito “standardizzato”? In breve sintesi, perderà qualsiasi riferimento associabile ad uno specifico ambiente marino e ad una peculiare catena trofica naturale di tipo locale, intese queste come caratteristiche “uniche” e inimitabili di un prodotto della pesca che per molti consumatori sono inderogabili?

GIORGIO CORATI

Nota1: Regolamento (UE) 2021/1939 del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 luglio 2021 che istituisce il Fondo europeo per gli affari marittimi, per la pesca e per l’acquacoltura e che modifica il regolamento (UE) 2017/1004. GUUE L.247/1 del 1377/2921.

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