“Che ambiente che fa” di Luciano Damiani – Phase Out? No Phase Down.

Con questo articolo Spaziolibero da il via alla rubrica “Che ambiente che fa”. Non si può sbagliare, la rubrica si occupa di ambiente, del nostro ambiente, tra presente e prospettive future con la consapevolezza del passato, necessaria alla comprensione di presente e futuro, appunto. Questa rubrica inizia quando due eventi mondiali G20 e COP26 hanno appena delineato i proponimenti per il futuro ambientale del pianeta, ancorché possa essere deciso dall’uomo, cosa tutta da verificare. Ma non c’è solo la questione climatica globale, c’è anche il nostro micro mondo locale e certo anche di questo si occuperà la rubrica. Sperando di far cosa gradita ai lettori di Spaziolibero Blog. Ai temi del Climate Change si affiancano le questioni del territorio e del paese, del presente e del futuro degli insediamenti industriali e non solo. Ci occuperemo di politica ambientale con l’occhio attento a cronaca, costume ed eventi che rientrano nel tema. Ogni contributo dei lettori è gradito.

di LUCIANO DAMIANI

Terminati G20, COP26 e Youth 4 Climate, si dovrebbero tirare le somme dei tanti incontri che si sono avuti, si dovrebbe esprimere il succo, l’essenza della situazione in tema di lotta ai cambiamenti climatici. Le somme prevedono una serie di addendi che sommati producono un risultato tangibile, in questo caso però più che di somme, di risultati, dovremmo parlare di prese d’atto. Se da un lato non c’è paese che non abbia convenuto che occorre limitare il riscaldamento a +1,5 gradi dall’altro occorre, evidentemente, registrare che le diversità fra paesi esistono e condizionano pesantemente le decisioni delle conferenze, per quanto intenso possa essere l’impegno di molte nazioni, verso soluzioni efficaci e condivise.

La G20 avrebbe dovuto lanciare la COP2 a partire dal riconoscimento, da parte di tutti i membri, della necessità di superare gli accordi di Parigi portando l’obiettivo del riscaldamento da 2 a 1,5° . Questo era un buon viatico per ulteriori accordi: “Tutti i paesi del G20 riconoscono la validità scientifica del contenimento del riscaldamento entro 1,5 gradi e si impegnano, con un linguaggio abbastanza significativo, a contenere le loro emissioni per raggiungere o comunque a non perdere di vista questo obiettivo”

In merito a tale questione, il Presidente Draghi, nella conferenza stampa finale, ha fatto presente come abbassare il goal di 0,5 gradi sia cosa affatto semplice. In altre parole avvisa che per raggiungere questo obiettivo occorre grande impegno e misure importanti. Se da un lato ha dichiarato ottimismo, dall’altro ha avvisato: “Without cooperation we go nowhere”. Tradotto significa che se non ci si mette d’accordo non si va da nessuna parte.

Alla fine gli accordi ci sono stati, ma accordi al ribasso… i bla bla bla di Greta. Dal mondo ambientalista c’era la richiesta di impegni precisi, atti concreti per un futuro credibile, ma in realtà al G20 non si è andati oltre le intenzioni e forse anche qualcosa meno. Xi Jinping ha fatto sapere  che la neutralità di CO2 è un obiettivo da raggiungere non entro il 2050 ma attorno a metà secolo. A ben guardare una sorta di premonizione per quanto sarebbe avvenuto, qualche giorno dopo, alla COP26, infatti, in zona cesarini, l’INDIA ha imposto un emendamento al documento finale per il quale non ci si impegna alla “uscita dai fossili” (phase out), ma alla “riduzione” (phase down). Del resto Cina e India sono i più grandi consumatori di carbone. Interrogato sulla questione Cinese, Draghi ha detto che gli obiettivi posti sono particolarmente difficili da raggiungere, specie nel caso della Cina che produce il 50% dell’acciaio mondiale grazie alle centrali a carbone.

Forse principalmente per questa questione il Segretario generale dell’ONU, al termine del G20, così si è espresso: “lascio Roma con le mie speranze insoddisfatte ma almeno non sepolte per sempre”.

Interessante ai fini delle aspettative, può essere l’impegno a non finanziare ulteriormente, oltre il 2012, le produzioni energetiche da carbone, così recita il documento finale del G20: “….. we will put an end to the provision of international public finance for new unabated coal power generation abroad by the end of 2021”. Da notare il termine “unabated” per il quale si escludono dalla moratoria delle autorizzazioni gli impianti che abbattono le emissioni verosimilmente con la cattura e segregazione della CO2, quindi non tutte le centrali alimentate da carbone, ma solo quelle che non implementeranno impianti di cattura delle emissioni. Vedremo nei prossimi anni cosa accadrà, certo questa specificazione non promette nulla di buono.

Non si va, invece, oltre le dichiarazioni d’intento relativamente agli aiuti finanziari ai paesi “deboli”, impegno doveroso viste le dichiarazioni dei paesi emergenti all’indirizzo dei ricchi: “avete inquinato molto, noi no perché eravamo poveri”.

E questo Draghi lo ha ben colto parlando dei paesi più deboli: “….dobbiamo ascoltare e comprendere il punto di vista degli altri ma tenere vive le nostre ambizioni e condividerle con loro”. E non manca certo il senso del realismo al Presidente del Consiglio: ”Se ci scontriamo sul clima non andiamo da nessuna parte”.

DAMIANI

Con questo viatico dei 20 grandi è stata avviata la COP26, di quasi tutti i paesi del mondo riuniti in conferenza per combattere il cambiamento climatico, il Climate Change. Viste le “speranze insoddisfatte” del Segretario dell’ONU Antonio Guterrez, non ci si poteva immaginare certo uno scatto di reni da parte di una conferenza così nutrita, non solo in termini di numero ma certo più in termini di diversità. Per alcuni infatti, come espresso dal rappresentante di Barbados: “due gradi sono la condanna a morte”, per altri significa invece rivoluzionare il sistema. Esigenze quindi assai diverse che richiederebbero la disponibilità di alcuni di dirottare grandi risorse verso i più deboli e per altri di reinventare un sistema non più basato sui fossili con tutte le implicazioni e complessità del caso.

Non solo non c’è stato lo “scatto di reni” ma se mai c’è stata una riduzione degli impegni. Si sono susseguite una serie di bozze di accordo finale fino all’ultimo minuto quando l’India ha imposto il suo emendamento che, cambiando una parola, ha forse affossato la COP26: l’emendamento cambia l’espressione “phase out” in “phase down”, in sostanza non si cerca più l’uscita dal carbone ma la riduzione graduale del suo utilizzo. La COP26 non ha più quindi quel preciso obiettivo, ma la mera intenzione di ridurne l’uso. Questa è evidentemente la principale causa delle sconfortate e commosse dichiarazioni finali di Alok Sharma, Presidente della Conferenza: “Ora possiamo dire con credibilità che abbiamo mantenuto in vita 1,5 gradi.  Ma il suo polso è debole e sopravviverà solo se manteniamo le nostre promesse e traduciamo gli impegni in azioni rapide”.

Ma bisogna fare comunque buon viso a cattivo gioco per cui all’ottimismo di Draghi Sharma replica con: “History has been made here in Glasgow”. Non si è ben capito di quale “storia” si tratta, anche i più ottimisti non possono certo avere grandi aspettative. Ma questa non è l’unica espressione particolarmente positiva c’è anche chi ha detto: “Abbiamo condannato a morte il carbone”, sappiamo bene però che dalla condanna all’esecuzione passano molti anni ed a volte arriva la grazia. Nella COP non è stata indicata una data, nemmeno indicativa, l’emendamento indiano ha consegnato la speranza di poter ancora usare il carbone per un lungo periodo, in altre parole la transizione è urgente…., ma poi non così tanto, India, USA, Cina, Australia, Polonia ecc.. ringraziano e chissà che non ci sia il loro zampino dietro quell’emendamento, ma questa è mera illazione.

Non ci sono però solo note negative, occorre dar conto anche del fatto che è stato riconosciuto il ruolo decisivo del metano nel climate change, il metano è riconosciuto quindi come uno dei principali artefici del riscaldamento globale. Questa presa d’atto dovrebbe poter mettere fuori gioco l’utilizzo del metano come elemento necessario alla transizione ed accelerare gli. Investimenti sulle fonti sostenibili: “Riconosciamo che le emissioni di metano rappresentano un contributo significativo al cambiamento climatico e riconosciamo, in base alle circostanze nazionali, che la sua riduzione può essere uno dei modi più rapidi, fattibili ed economici per limitare il cambiamento climatico e i suoi impatti”. Sicuramente ciò dovrebbe bastare ad impedire tentativi di inserire il metano nella Tassonomia UE, una sorta di elenco di attività che possono definirsi “sostenibili”, e quindi oggetto di finanziamenti e programmazione del nostro futuro.

In parallelo alle conferenze si sono firmati accordi e prese iniziative bi o multilaterali su alcuni temi propri della COP26 e del G20. Interessante é la costituzione del BOGA (Beyond OIL and Gas Alliance), coalizione di stati che intende favorire l’uscita dalla produzione di petrolio e gas. Questa iniziativa è guidata da Danimarca e Costa Rica. L’iniziativa conta 8 membri “core”, 3 “associate” ed uno “friend”, l’Italia. Da notare che i nostri cugini francesi sono invece membri “core”, evidentemente molto più interessati di noi al tema. Del resto il nostro ministro Cingolani non pare che ultimamente sia stato molto restio ad autorizzare nuovi impianti per l’estrazione di gas e petrolio.

Infine bisogna render conto dalla istituzione del Youth4climate 2021, una conferenza annuale nella conferenza, svoltasi a settembre, che vede i giovani protagonisti. Iniziativa certamente preferita da Cingolani piuttosto che le proteste di Greta and co. Per il nostro ministro “La protesta deve spingerci a fare di più, ma la protesta deve diventare proposta. Altrimenti diventa parte del problema”. Evidentemente le manifestazioni danno fastidio a Cingolani che pretende dai giovani le soluzioni, ma sa bene che è compito precipuo della politica trovarle e farle applicare. È evidente che se le soluzioni non si trovano o non sono sufficienti il fallimento è della politica. Lo dice implicitamente anche Draghi, dandone anche una certa misura: “Sul tema del clima si attendono investimenti dell’ordine dei 140 trilioni di dollari, numeri mai immaginati prima che chiedono una risposta da parte dei governi nell’incentivare questi interventi sapendo che non c’è un problema di fondi. Occorre però che le politiche nei vari settori si allineino, allora si che la massa di risorse impiegabili sarà gigantesca”. Il periodo finale chiama in causa chiaramente la politica, gli affida una responsabilità cruciale, specialmente in questo momento ricco di risorse pubbliche e private.

LUCIANO DAMIANI

Per approfondimenti
Dichiarazione finale G20:
https://www.g20.org/wp-content/uploads/2021/10/G20-ROME-LEADERS-DECLARATION.pdf
Il G20: https://www.g20.org/it/il-vertice-di-roma.html
Youth Climate 2021: https://youth4climate.live/
COP26: https://ukcop26.org/it/iniziale/
Accordo USA Cina:
https://www.state.gov/u-s-china-joint-glasgow-declaration-on-enhancing-climate-action-in-the-2020s/
Accordo BOGA: https://beyondoilandgasalliance.com/
Rapporto IPCC sui cambiamenti climatici:
https://ipccitalia.cmcc.it/climate-change-2021-il-rapporto-spiegato-dagli-scienziati-italiani/