Il sole è un lampo giallo

di ANNA LUISA CONTU ♦ 

Vent’anni fa avevo cinquant’anni, ero una dirigente di Rifondazione Comunista della mia città e con tutti i miei compagni stavamo conducendo , insieme a tanta parte della nostra città, una battaglia impari contro l’Enel e il suo progetto di costruzione della centrale a carbone. Quella nostra lotta si incontrava con la sensibilità ecologica dei social forum mondiali da Seattle, Porto Alegre e poi Genova. 

Un’ondata anticapitalistica che reclamava che era possibile produrre senza distruggere l’ambiente naturale  e umano , che la ricchezza prodotta poteva essere distribuita e non accumulata da una minoranza arrogante e avida. Quell’ondata diceva che un altro mondo era possibile.  

A Genova , il governo di destra Berlusconi-Fini ospitava il G8 ; qui i grandi della terra  venivano a ribadire quale era il loro concetto di ordine mondiale , chi comandava, tra i popoli, e chi era costretto ad obbedire. La città venne divisa in settori e inscatolata in grate altissime e invalicabili. I grandi, nonostante tutto il loro apparato repressivo, avevano paura, perchè dovunque si ritrovassero venivano contestati. 

Una nuova generazione di giovani militanti, con diverse sensibilità , si era affacciata all’impegno politico e poneva problemi che, oggi vediamo , sono venuti al pettine: la difesa dell’ambiente, le migrazioni, le nuove schiavitù, il precariato, il controllo dei media, ecc.  

Non erano i temi della mia generazione, la generazione che si era battuta negli anni settanta e che aveva conquistato diritti sociali e civili e una dignità di vita per la maggior parte degli italiani . Avevano dovuto impiegare le bombe, gli attentati, lo stragismo ,  lo Stato colluso con i fascisti, per poter mettere a terra quella generazione. E adesso noi riconoscevamo in quei giovani lo stesso fuoco libertario, la stessa  spinta verso la giustizia e l’uguaglianza. 

Come partito organizzammo per andare a Genova dove migliaia di persone , al di là della zona rossa, ragionavano, discutevano, erano impegnate in workshop , piazze tematiche, seminari internazionali. Con noi tantissimi compagni , ci ritrovammo, il 20 luglio,  alla stazione Termini a Roma per prendere il treno delle 22,00 per Genova. E mentre aspettavamo sentivamo le notizie che da lì provenivano , notizie preoccupanti di scontri e morti. Già nel pomeriggio era stato ucciso un manifestante da un carabiniere che gli aveva sparato quasi a bruciapelo e poi la  loro camionetta  gli era passato sopra. Quel ragazzo era Carlo Giuliani e aveva la stessa età di nostro figlio che era già a Genova e per il quale eravamo molto preoccupati. Quando l’indomani mattina arrivammo a Genova, era una domenica di una chiarissima giornata di luglio e ci preparavamo alla manifestazione conclusiva nel pomeriggio. La città portava i segni delle battaglie del giorno prima, macchine bruciate , cassonetti rovesciati, bancomat divelti. Non c’era un bar aperto. Sostammo in una strada , seduti per terra. Arrivò un uomo in vespa e si mise a parlare con noi, raccontando del comportamento della polizia e della loro tolleranza nei confronti di quelli “ vestiti di nero “ che, secondo lui, venivano lasciati scorrazzare e devastare.  

Il pomeriggio ci disponemmo a sfilare sul lungomare con centinaia di migliaia di persone venute da ogni parte d’Europa e del mondo. C’era tutto il gruppo dirigente del Prc con Bertinotti, il servizio d’ordine vigile a fermare infiltrazioni di provocatori. L’atmosfera era tesa, si diceva che l’ordine era di non farci sfilare , la giornata precedente aveva mostrato la volontà repressiva dei tutori dell’ordine, ma noi eravamo un partito costituzionale e molti deputati e senatori erano nel corteo . 

Non avevo visto mio figlio, sapevamo che era al Carlini, tra i disobbedienti.  Il lungo corteo si avviò, faceva caldo, avevo messo una fascia nera al braccio, pensavo a quel ragazzo ucciso che assomigliava a mio figlio e piangevo. Con me c’era una mia nipote, alla sua prima manifestazione, la tenevo stretta. In un tratto pericoloso del percorso, perchè a destra avevamo un alto muro e a sinistra gli scogli, il corteo si fermò e in lontananza vedemmo il fumo dei lacrimogeni e sentimmo il rumore degli spari.  Un elicottero volteggiava pericolosamente sopra di noi e ad un certo punto cominciò a lanciare lacrimogeni dall’alto. La nostra parte di corteo sbandò, in trappola, e un compagno di Civitavecchia venne colpito. Avevo un limone in borsa. Lo presi e cominciai a fregarlo negli occhi e negli occhi della giovane nipote. Tra i compagni qualcuno gridò  di sputare per non inalare il gas. Tornando indietro, arrivammo in un spiazzo, in alto poliziotti schierati in assetto. Mi ritrovai senza il mio gruppo e con una compagna.  Passammo lateralmente con le mani alzate, non ci toccarono. Camminammo in un lungo viale verso l’interno, arrivammo in vista di un ponte ma deviammo prima verso una stradetta secondaria, sotto il ponte c’era un intero esercito che aspettava. 

Riuscimmo a comunicare col primitivo cellulare della compagna. Stavano tutti bene, nel nostro gruppo, compreso mio figlio e mio marito. Raggiungemmo l’ospedale dove era ricoverato il compagno e gli infermieri fuori nelle ambulanze ci dissero che molti che si facevano ricoverare avevano i giubbotti antiproiettile. Per loro erano poliziotti infiltrati e non c’era da dubitare vista la cattiveria che avevano mostrato contro i cittadini manifestanti . 

La sera alla stazione  per ritornare sentivamo gli elicotteri che rumoreggiavano sopra la città. Stava succedendo qualcosa di grosso e di grave. L’indomani avremmo saputo della macelleria messicana messa in atto dalla polizia di Stato diretta allora da De Gennaro, alle scuole Diaz e Pertini  sede del Genoa Social Forum. 

Anche quella generazione venne stroncata dalla più spietata repressione.  Ma quei generosi ragazzi e quelle generose ragazze erano nel giusto. 

ANNA LUISA CONTU