“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Brevi note di pesci nella storia della gastronomia

di GIORGIO CORATI

In ogni epoca, il pescato ha rappresentato una base importante nell’alimentazione degli uomini; a volte, qualcuno ne ha reso l’“oggetto” di attività economica. Si pensi, ad esempio, alla piscicoltura dei Romani. Altri, come nel Rinascimento, ad esempio, lo hanno utilizzato quale “strumento” per comunicare e ostentare la propria agiatezza economica o lo “stato sociale”.

Nel corso della storia, come si legge in Casi,1 […] “grazie soprattutto a Archestrato di Gela che scrive, nel IV sec. a.C., uno specifico libro di cucina” […] “viene sancita l’importanza del pesce sulla tavola” (pp.241-242). Tra le specie apprezzate vi erano la murena, la sogliola, l’orata, il sarago, la triglia, la sardina, l’alice o acciuga, lo scampo, le seppie, il polpo, l’astice o leone di mare, l’aragosta e l’ostrica. I pesci portati a tavola “venivano insaporiti con ogni sorta di salse e accompagnati da verdure bollite e a volte da fegato, da carni varie e da uova di anitra, pernice e piccione”. [È molto interessante da notare che] “del pesce non si buttava via nulla e tutte le parti che non venivano consumate fresche o essiccate si utilizzavano per la preparazione di varie salse tra le quali la più famosa è sicuramente il garum” (p.242). Nella pratica attuale, lo scarto o residuo in genere è gettato via, anche se, come ad esempio nella zuppa di pesce di Civitavecchia, spine, lische e teste sono usate per preparare il fumetto che irrora i pesci cucinati nella zuppa.

Tra varie possibili modalità di preparazione del garum, nell’epoca attuale l’utilizzo della pasta di acciughe diluita con dell’aceto è certamente la più semplice (Vedi, Casi, C., p.244). Può ricordare la nota e prelibata colatura di alici. Tra le altre tipologie di specie consumate vi erano il dentice, il grongo, il cefalo, il branzino o spigola, il tonno.

Il citato lavoro di Archestrato da Gela, dal titolo La Gastronomia, è stato poi tradotto in latino da Quinto Ennio da Rudiae con il titolo Hedyphagetica; purtroppo “di questa [traduzione] rimangono solo undici versi sui pesci di mare” (Strenna UTET 1974, 1973, p.9),2 che sono riportati in Rivista Alceo Marzo 2010 (www.alceosalentino.it),3 tradotti in italiano come segue:

Davanti a tutti sta la mustela marina di Clupea.

Sono di Eno i moscardini, aspre e più numerose le ostriche di Abido.

Il pettine è di Mitilene e si trova anche presso il canale d’Ambracia.

Buono è il sarago di Brindisi, se lo trovi grande, compralo.

Sappi, il miglior pesce porco [l’apriculus] è di Taranto.

L’elope di Sorrento fa d’acquistare, il glauco presso Cuma.

Come ho dimenticato lo scaro, quasi cervello del supremo Giove?

Nella patria di Nestore, qui si prende grande e buono,

così il melanuro, il tordo di mare, il labro e l’ombre del mare,

il polipo di Corcira, i calvari pingui, acarne,

porpora, conchigliette, murici, anche dolci ricci…

Fino al Medioevo le vivande erano rappresentate da portate tutte disposte contemporaneamente in tavola. I cibi potevano già essere divisi in porzioni, per cui ciascun convitato poteva servirsi da solo, oppure venivano tagliati, davanti ai commensali stessi, in piccole porzioni da un addetto denominato scalco, detto trinciante in seguito. Durante i pasti erano assenti le posate, mentre era pratica comune l’utilizzo di un solo bicchiere che, “a giro” tra i commensali, era gestito da un servitore, il bottigliere.

In epoca rinascimentale, si fa largo l’uso di suddividere le portate in servizi, per cui a un servizio iniziale denominato “primo servizio di credenza”, seguivano, come nel caso riportato in basso di “Pranzo in un giorno di magro” (Strenna UTET 1974, 1973),4 un primo servizio di cucina e un secondo servizio di cucina, tutti comprendenti un considerevole numero di portate. Si tratta del pasto di un giorno di magro, in cui il pescato è considerato alimento privilegiato da consumare “per via della credenza che vedeva i pesci riprodursi senza accoppiamento” (Casi, C., p.242).5 È interessante la lista di specie di pesce che si può redigere, leggendo le portate:

“Pranzo in un giorno di magro (mese di agosto)”

Piatti serviti freddi [come primo servizio di credenza]

Bottarghe acconcie in insalata  [bottarghe = ovario di diversi pesci, salato e seccato; più apprezzata era quella di cefalo e di spigola]

Alici acconcie con olio, aceto e origano

Piatti serviti caldi [come primo servizio di cucina]

Orate cotte su graticola, servite con suo sapor sopra

Porcelletti, cioè storioncini in pottaggio [= in umido]

Pezzi di luccio di sei libbre l’uno, alessati, coperti d’agliata

Pasticcetti d’ombrina battuta, d’una libbra per pasticcio

Piatti serviti freddi [come secondo servizio di cucina]

Fravolini fritti, serviti con melangole tagliate sopra [= pesce fragolino o pagello]

Spigolette e corvetti fritti, serviti con limoncelli tagliati sopra [= giovani spigole e pesci corvo]

Gelo di lucci con tarantello dissalato sotto [tarantello = ventresca di tonno]

Altra memoria “gastronomica”, è la copia di una lapide datata 1771 esposta a Civitavecchia sulla facciata di un palazzo nei pressi del Comune. Riporta scolpiti i nomi di molti pesci e i relativi prezzi, diremo calmierati, molti pesci dei quali oggi non sono “comuni” o quantomeno frequenti sulle tavole locali. Alcuni di quelli nominati sono pressoché assenti anche nel mare della costa civitavecchiese:

spigola, orata, ombrina, lecciola, dentale, anguilla, triglia di scoglio, tonno, lenguattola, rombo, cefalo, sarago, palamita, maccarello dritto, callamaro, aguglia, totano, cappone di scoglio, tagliere, occhiale, sarde, lattarini di porto, bianchetti, palombo, arzilla dritta, argentini, seppiette, fraulino, triglie di fango, alici di spedone, cappone di tartana, coccio, merluzzo, occhialone, tordo, beccacce, gronco, corvo, mostella, pescatrice, sarpa, seppie, castardella, lucerna, tracine, raguste, pesce san pietro, sugarello, scorfano, morena, porpo, gattuccio, leone, alici di sciabica, pesce bestino in genere.

La scarsa frequenza sulle tavole locali può dirsi anche di alcune specie riportate, come segue, alla fine del 1870. A quel tempo, alle richieste di documentazione inoltratagli dal professore fiorentino Adolfo Targioni Tozzetti, il capitano del Porto di Civitavecchia G. Cilento risponde, riportando che (UILA Pesca, 2019)6

i pesci che più abbondano in queste acque sono: Cefali, Spigole, Triglie, Polpi, Gattuzzi, Alici, Sarde, Arzille, Palombi, Gatto-pardi, Bronchi, Ficorelli, Occhiate, Argentine, Latterini, Scorfani, Caponi, Raguste, Ferrati, Merluzzi, Canesche, Seppie, Calamari, Storioni, Vope, Soaci” (p.65).

Ad ogni modo, nella cucina civitavecchiese, i piatti a base di pescato da sempre prevedono l’utilizzo di pesce cosiddetto di minor pregio. Si tratta di quelle specie come, ad esempio, il grongo, e la murena, che non hanno di certo un bell’aspetto, e poi ancora la razza conosciuta come arzilla, le due triglie, l’alice o acciuga (utilizzata salata nel soffritto locale detto “marinara civitavecchiese”), il polpo, le varie specie di cefalo, le varie specie di seppia, quelle dei tordi, delle gallinelle o capponi e degli scorfani, oltre a piccoli pescetti di varie specie utili per la frittura, per la minestra e per il fumetto di pesce come ghiozzi, bavosa, donzella, tracine, argentina, sciarrano, sciarrano o perchia, boga, melù o potassolo, cappone caviglione o caviglione e le musdee o mostelle. E ancora, chi non ricorda la “mitica” cozza pelosa o modiola ormai localmente “collassata”. Il baccalà, lo stoccafisso e il tonno rosso meritano poi un discorso a parte.

 

In queste brevi e affatto esaustive note, non si può non ricordare Pellegrino Artusi. Tra le informazioni e le note che l’Artusi (1926)7 riporta nel suo Manuale pratico per le famiglie, consegnando alla memoria le ricette gastronomiche della penisola, scrive che:

Tra i pesci comuni, i più fini sono: lo storione [non più presente nel mar Tirreno], il dentice [1], l’ombrina [2], il ragno [la tracina] [3], la sogliola [4],  il rombo [5], il pesce san Pietro [6], l’orata [7],  la triglia di scoglio [8],  la trota d’acqua dolce: ottimi tutto l’anno, ma la sogliola e il rombo specialmente d’inverno.

Le stagioni per gli altri pesci più conosciuti sono: pel nasello [o merluzzo] [9], l’anguilla, e i totani [10], tutto l’anno; ma l’anguilla è più adatta l’inverno e i totani sono migliori l’estate.

Pel muggine grosso di mare, il luglio e l’agosto; pel muggine piccolo (cefalo) [11], l’ottobre e il novembre, ed anche tutto l’inverno. Pei ghiozzi [12], frittura e seppie [13], il marzo, l’aprile e il maggio. Pei polpi [14], l’ottobre. Per le sarde [sardine] [15] e le acciughe [o alici] [16], tutto l’inverno fino all’aprile. Per le triglie (barboni) [triglia di fango mullus barbatus] [17], il settembre e l’ottobre. Pel tonno, dal marzo all’ottobre. Per lo sgombro [18], la primavera, specialmente il maggio” […].

Tra i crostacei, uno de’ più stimati e l’arigusta, o aragosta [19], buona tutto l’anno, ma meglio in primavera, e tra le conchiglie, l’ostrica, la quale ne’ luoghi di ostricultura si raccoglie dall’ottobre all’aprile” […] (pp.319-320).

Rispetto alle specie ittiche nominate e soprattutto in merito all’indicazione dell’Artusi sul miglior periodo in cui gustarle, in alternativa è possibile indicare per ogni specie i mesi in cui il consumo può essere considerato “di stagione” nell’ottica della sostenibilità del consumo stesso o del mantenimento di un buon equilibrio nella biodiversità di specie. In breve, ogni specie dipende dal proprio ciclo di vita che, biologicamente parlando, si riferisce al periodo riproduttivo e di accrescimento fino alla taglia considerata di reclutamento ai fini della pesca. Per questo motivo il consumo è considerato “di stagione” allo stesso modo dei prodotti agricoli di periodo.

Auspicando vivo interesse, segue la lista della stagionalità, da intendersi non perentoria (ndr.), della maggior parte dei pesci nominati dall’Artusi, considerandoli come specie che vivono nelle acque civitavecchiesi del mar Tirreno:

dentice [1]: da luglio a gennaio,

ombrina [2]: da settembre a febbraio,

ragno [la tracina] [3]: da ottobre a marzo,

sogliola [4]: da giugno a novembre,

rombo [5]: inteso come rombo chiodato, da giugno a novembre,

pesce san Pietro [6]: da giugno a ottobre,

orata [7]: da gennaio a luglio,

triglia di scoglio [8]: da agosto a febbraio,

nasello [o merluzzo] [9]: giugno a settembre,

totano [10]: da novembre a marzo,

muggine (cefalo) [11]: inteso come cefalo volpina o muggine, da gennaio a maggio,

ghiozzi [12]: intesi come ghiozzo nero e ghiozzo o paganello, da giugno a dicembre,

seppie [13]: intesa come seppia, da settembre a dicembre,

polpi [14]: intesi come polpo, da ottobre a gennaio,

sarda [sardina] [15]: da aprile ad agosto,

acciuga [o alice] [16]: da novembre a marzo,

triglie (barboni) [triglia di fango mullus barbatus] [17]: da ottobre a marzo,

sgombro [18]: da agosto a marzo,

arigusta, o aragosta [19]: da maggio a giugno.

Prima di concludere è da sottolineare, a beneficio delle generazioni future, il forte legame che la comunità civitavecchiese condivide per il pescato e i suoi “protagonisti”.  Verso la fine del secolo scorso, ad esempio, il concittadino Igino Alunni, tra i più famosi poeti locali, ha declamato in versi il ricordo di un personaggio, diremmo storico, qual è Zì Lucia, una “pesciarola girovaga“ cara ai civitavecchiesi di una volta (Vedi, UILA Pesca, 2019),8 la quale vendeva in strada “tutto pescetto fresco de paranza”:

 

Zi’ Lucia (Igino Alunni)

 

Da ragazzino c’era ’na migragna

e girava ’na fame così nera

che spesso s’arrivava a tarda sera

dicenno: se fa notte e nun se magna.

E l’unica speranza che ce stava

adera zi’ Lucia la “Pesciarola”

che co’ ’na spasa fatta a bagnarola

venneva a un sordo er pesce e ce sfamava.

Un sordo ar piatto! Te ricordi Nina?

Tutto pescetto fresco de paranza,

’na zuppa, ’na minestra in abbondanza

e annamio a letto co’ la panza piena (p.108).

Buona degustazione.

GIORGIO CORATI

https://spazioliberoblog.com/

Bibliografia
[1] Casi, C. (2010). L’importanza del pesce nell’alimentazione antica: ricette e preparazioni in Il mare degli antichi. Miti, marinai e imbarcazioni dalla Preistoria al Medioevo, p.242 a cura di Casi, C.. Pitigliano (GR): Laurum.
2 Strenna UTET 1974. (1973, p.9). Gastronomia del Rinascimento. A cura di Firpo, L.. Torino: UTET.
3 http://www.alceosalentino.it. Rivista Alceo Marzo 2010. Sito web consultato l’11 aprile 2023:
http://www.alceosalentino.it/storia-della-gastronomia-1.html.
4 Strenna UTET 1974. (1973). Dall’Opera o Epulario di Bartolomeo Scappi, 1570. Liste di pranzi curiali in Gastronomia del Rinascimento, pp.55-56. A cura di Firpo, L.. Torino: UTET.
5 Casi, C. (201, p.242). L’importanza del pesce nell’alimentazione antica: ricette e preparazioni in Il mare degli antichi. Miti, marinai e imbarcazioni dalla Preistoria al Medioevo a cura di Casi, C.. Pitigliano (GR): Laurum.
6 UILA Pesca (2019, p.65). Una ricchezza dalla grande storia. La Pesca a Civitavecchia. A cura di Ciancarini, E.. Con il contributo del MIPAAFT – Direzione Generale Pesca e Acquacoltura.
7 Artusi, P. (1926, pp.319-320). Piatti di pesce. Qualità e stagione dei pesci in La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie. 29^ edizione. Firenze: Tipografia L’arte della stampa, successori Landi.
8 UILA Pesca (2019, p.108). Una ricchezza dalla grande storia. La Pesca a Civitavecchia. A cura di Ciancarini, E.. Con il contributo del MIPAAFT – Direzione Generale Pesca e Acquacoltura.