“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Selvatico, allevato o “sintetico”?

di GIORGIO CORATI

Il legame tra territorio “di produzione” e risorse prodotte dall’uomo in agricoltura, con l’allevamento e derivanti dall’attività di pesca in mare – il cibo in sintesi – è importante per molti consumatori, mentre è irrilevante per altri. Il cibo ha la stessa natura dell’uomo, la socialità. Il cibo è associato alla cultura e alla tradizione dei popoli. Le varietà animali e vegetali rappresentano la biodiversità di cui l’uomo ha bisogno per vivere sulla Terra. Mangiare certamente assume un significato diverso dal nutrirsi. Rimane il dato di fatto che, senza pregiudizi di sorta, i punti di vista sull’argomento sono i più vari e contrastanti, mentre taluni aspetti del tema non sono considerati o non risultano essere apprezzabili. Comunque, certamente, gli effetti degli eventi, a cui gli uomini talvolta soggiacciono, hanno in sé la potenzialità di essere ampiamente condivisi e divenire consuetudine. Dove la realtà appare spesso come chiara ed evidente, al tempo stesso assume risvolti a tratti incomprensibili, mentre certezza e consapevolezza lasciano posto alla perplessità, allo stupore, ad un’incapacità di comprensione quasi latente.

Rispetto alle risorse ittiche, utilizzate come prodotti alimentari, l’attività di allevamento di alcune specie ittiche è ormai una pratica affermata, mentre si legge che l’idea di produrre pesce in laboratorio, cioè pesce “sintetico” coltivato con cellule staminali in provetta, sta assumendo rilevanza nel contesto dell’industria dei prodotti ittici, alla stessa stregua della carne già prodotta in laboratorio. Certamente a sostenere l’idea vi è l’ipotesi che prodotti ittici diversi da quelli derivanti dall’attività di pesca possano diminuire la pressione della pesca sulle specie in generale e, contestualmente, anche l’ipotesi del contenimento in termini quantitativi dell’azione di cattura – molte specie sono  sovrasfruttate – al fine di mantenere un buono stato del mare e di biodiversità. In sintesi, per certi aspetti, sono ipotesi similari a quelle che sostengono l’attività economica dell’acquacoltura. Nel caso del pesce “sintetico”, forse a sostenere l’idea vi è la possibilità potenziale di “produrre” una più vasta gamma di specie rispetto a quelle che oggi permettono all’uomo di essere allevate negli impianti di acquacoltura. In ogni caso, qualsiasi tipo di scelta e modalità di consumo sono da ritenersi legittime, a partire dalla soddisfazione del bisogno primario di alimentarsi, per passare eventualmente a quella di un bisogno di tipo sociale, fino al raggiungimento del proprio appagamento in termini di autorealizzazione derivante dall’atto di consumo.

In merito a modalità di consumo dei prodotti della pesca, in questo articolo propongo una spiegazione più approfondita dell’Approccio “C0/C9al consumo sostenibile dei prodotti della pesca formulato in un precedente articolo. L’Approccio “C0/C9” è una nuova modalità di consumo alternativa al “consumo come al solito”, finalizzato al soddisfacimento del bisogno di informazione del consumatore che intende orientarsi verso una traiettoria di consumo sostenibile delle specie ittiche selvatiche. L’Approccio è rappresentato dal Codice di buone pratiche di consumo dei prodotti della pesca costituito da “Macro azioni”, intese come “principi”, e da “AttuAzioni C0/C9”, quali azioni concrete. Le tre modalità di “Macro azioni” del Codice sono definite ciascuna con un proprio obiettivo, mentre le dieci “AttuAzioni C0/C9” costituiscono il “Quadro delle 9C”. A ogni “Macro azione” corrispondono delle “AttuAzioni” specifiche, intese come “mezzi”, finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo a cui sono associate e all’obiettivo generale, cioè, al contempo, sia la soddisfazione del bisogno sia la generazione di benefici associati alle modalità di consumo intraprese. Si tratta di modalità, a favore del consumo del maggior numero di specie selvatiche, che intendono scongiurare perdite di biodiversità ovvero carenza di prodotto selvatico e sostenere i bisogni alimentari delle generazioni future. Più in dettaglio, le “AttuAzioni C0/C9” sono intese come “buone pratiche” che possono essere implementate dal singolo consumatore in autonomia, “dal basso verso l’alto”, nella visione di un “consumo strategico sostenibile” dei prodotti della pesca. Esse possono essere implementate nella convivenza con il “comportamento solito di consumo”, spingendo a trasformare “vecchie” pratiche in “nuove” “buone pratiche”, orientando queste ultime lungo la traiettoria della sostenibilità e favorendo nuove attività di lavorazione, trasformazione, nuovi servizi, nuovi prodotti basati sulla bioeconomia e tecniche di cattura sempre più eco- e biocompatibili. Si tratta di supportare la sostenibilità del consumo, attraverso il cambiamento del concetto stesso di consumo, nell’evoluzione verso un “comportamento di consumo rinnovato”, fino al raggiungimento di un comportamento prosociale di consumo a sostegno del mantenimento di un buono stato di biodiversità e della sostenibilità del consumo intra- e intergenerazionale.

Le “AttuAzioni” basano il loro concetto sul principio di precauzione, citato nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE)1 qui inteso come approccio di tipo “tattico”, considerando importante anche l’Approccio precauzionale della pesca (FAO, 1996),2 e sull’approccio ecosistemico (MiTE)3 considerato di tipo “strategico”, ritenendo utili anche le raccomandazioni contenute nella Reykjavik Declaration (FAO, 2001).4 Come è noto, il principio di precauzione, in merito agli ecosistemi marini, è connesso allo stato degli ecosistemi stessi, nonché a dati, talvolta incompleti, associati a incertezza sulle dimensioni (biomassa) delle popolazioni ittiche in generale e a stime derivanti dalla carenza di raccolta e di monitoraggio di dati scientifici complessivamente soddisfacenti e condivisi.

Il principio principio di precauzione, così come espresso, è orientato alla tutela della biodiversità ittica soggetta all’attività alieutica e considera un livello minimo di sicurezza per la risorsa considerata come parte del capitale naturale. Il principio prevede definite quote di consumo fino a un livello massimo di “capitale critico” e cioè fino a un livello massimo di catture consentite che tenda a non intaccare i limiti di sicurezza dati a priori. Tale principio è considerato necessario al fine di favorire un consumo sostenibile e a incoraggiare attività di pesca che garantiscano anche l’attenuazione degli impatti negativi negli areali di pesca e nell’ecosistema marino locali, nonché la minimizzazione del depauperamento di biodiversità ittica. L’approccio ecosistemico si riferisce al perseguimento e al mantenimento di un equilibrio biologico che possa conciliare sia l’esigenza di mantenere nel lungo periodo un’adeguata integrità delle risorse ittiche, dell’ecosistema marino locale e delle sue funzioni ecosistemiche sia la valorizzazione delle funzioni alimentare, sociale ed economica del settore della pesca. Più in dettaglio. L’“approccio tattico” associato al principio di precauzione è relativo al recupero, ai fini del consumo, delle specie locali tipiche e al loro ripristino generalizzato: in sostanza si tratta di contrastare e mitigare gli effetti negativi associati al consumo che investono la risorsa. L’approccio è inteso anche come possibilità di rafforzamento della dignità del pescato locale e del “pescato di prossimità” quale risorsa alimentare e di una possibile opzione per un più equo equilibrio dei prezzi di mercato tra le varietà di specie. In tal senso anche pescatori, grossisti e distributori dovrebbero trarne un vantaggio. è importante chiarire che per “comportamento tattico” qui si intende l’individuazione di modalità per attuare un comportamento di consumo il più adeguato e il più possibile utile a raggiungere il fine individuato dal Codice, vale a dire il mantenimento della biodiversità (condizione di equilibrio tra popolazioni ittiche) e della sostenibilità presente e futura del consumo. Si tratta di un fine che accresce il benessere della società, ritenendo che tale fine comune, inteso come disponibilità nel tempo della risorsa ittica quale bene comune, sia uno dei fini di una comunità e che possa essere assimilabile a quell’utilità pubblica che considera utile ciò che rappresenta un reale bisogno da soddisfare ovvero un bisogno realmente necessario all’uomo per vivere. L’“approccio strategico” associato all’“approccio ecosistemico” è, invece, orientato alla prevenzione del depauperamento della risorsa, al mantenimento della dimensione (biomassa) della risorsa stessa entro livelli biologicamente sostenibili – che tendono s permettere riproduzione, accrescimento e reclutamento degli individui di ciascuna specie -, nonché alla prevenzione e attenuazione degli impatti negativi generati con l’atto di consumo: di fatto si tratta di un approccio orientato alla sostenibilità e alla reciprocità positiva e solidale nel comportamento di consumo. L’“approccio strategico”, in estrema sintesi, corrisponde a un agire collaborativo che prevale sull’interesse (o benessere) personale e si connette all’interesse (o benessere) generale (della società o della comunità). Anche qui occorre chiarire che possibili decisioni e comportamenti opportunistici altrui, tipici della natura umana, pur se indesiderabili non possono essere ritenuti un freno all’“approccio strategico”. Generalmente, una strategia prevede che la propria decisione possa dipendere da una valutazione preventiva, rispetto alle scelte possibili e ai comportamenti altrui, sebbene, comunque, vi siano coloro che agiscono in modo erratico e irrazionale per cui è difficile avanzare ipotesi o strategie. Tuttavia, la strategia può indurre a non rivelare le proprie preferenze o le proprie intenzioni. Inoltre, nella prospettiva del ribaltamento dell’interesse individuale su quello generale, un ruolo fondamentale è dato anche dal livello formativo raggiunto dal consumatore, nonché dall’etica della sua visione della società e dalla natura virtuosa del suo comportamento, sebbene egli abbia o sia mosso da un legittimo interesse personale.

Rispetto al consumo di cibo, dunque, e in particolare a quello dei prodotti della pesca, da un bisogno fisiologico quale quello di sussistenza in termini di alimentazione, un consumatore può tendere, ad esempio, a soddisfare anche un bisogno sociale ovvero un bisogno di appartenenza o un bisogno che permette il raggiungimento di uno “status” che può derivare da un sentimento innato o indotto. Tuttavia, la soddisfazione di tale bisogno può essere raggiunta attraverso un’azione comportamentale etica e proattiva, fino a giungere all’autorealizzazione quale esito di un atto immanente e significativo anche in termini di reciprocità positiva e solidale nel comportamento di consumo, nonché al “trasferimento” agli altri di modalità di consumo sostenibili ovvero attraverso delle “buone pratiche”, ovviamente tali che possano essere considerate condivisibili.

GIORGIO CORATI

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Sitografia di riferimento

 1 Il principio di precauzione è riportato nella versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Parte Terza – Politiche e azioni interne dell’Unione europea. Titolo XX – Ambiente. Art.191 (ex Art.174 del TCE).
Sito web consultato il 19 dicembre 2021. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM%3Al32042.
2 FAO (1996). Approccio precauzionale della pesca. Sito web consultato il 23 maggio 2022.
https://www.fao.org/commonpages/search/en/?q=The%20Precautionary%20Approach%20to%20fisheries%20and%20its%20implications%20for%20fishery%20research%2C%20technology%20and%20management%3A%20an%20updated%20review%20%20%5B1996%5D.
3 Per un approfondimento si rimanda a Ministero della Transizione Ecologica (MiTE).
Sito web consultato il 19 dicembre 2021: https://www.mite.gov.it/pagina/approccio-ecosistemico.
4 Per un approfondimento si rimanda a FAO (2001). Reykjavik declaration on responsible fisheries in the marine ecosystem. Reykjavik Conference from 1 to 4 October 2001.
Sito web consultato il 20 agosto 2022. https://www.fao.org/3/y3545t/y3545t01.htm.