I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI ♦

Capitolo 6: L’amore.

Il grande giorno era venuto, il tempo era meraviglioso, il sole alto, ma l’aria era fresca.

A mezzodì in punto Zenone era sotto casa. Nello stesso momento Dafne ne usciva. Se il suo cuore non fosse stato in tumulto a Zenone non sarebbe sfuggito che quello era il segno dell’impazienza.

Per Zenone sole e aria in un attimo sparirono. La bellezza di Dafne era divina. Il suo vestito era semplicissimo, dai colori tenui, le spalline, chiuse con graziosi fiocchetti, esaltavano le sue spalle scolpite e delicate ad un tempo, in mano aveva un cestino di paglia. Il saluto e i sorrisi che si scambiarono non riuscirono a sciogliere l’imbarazzo. In silenzio s’incamminarono verso l’insenatura dell’asino.

Zenone pensò, se Paride fosse venuto a Lesbo a cercare la donna più bella del mondo avrebbe trovato Dafne e la guerra di Troia non ci sarebbe stata. Una sciocchezza! Avrebbe trovato una bambina di nemmeno dieci anni. Meglio non pensare.

Come spesso accade tra innamorati che hanno mille cose da dirsi, ma ancora non sanno come e fino a quando nascondere i sentimenti, la prima parte del tragitto fu dominata da un silenzio assoluto, anche i loro passi sembravano ovattati.

Accade pure, e accadde anche a loro, che il silenzio si rompa all’improvviso.

Dafne e Zenone iniziarono a parlare l’una all’altro contemporaneamente, dandosi sulla voce. Non capirono una parola. Una risata suggellò la rottura del ghiaccio.

Da quel momento la salita fu meno faticosa. Parlavano velocemente e di tutto, sembrava che si vedessero per la prima volta dopo una lunga separazione. Forse era proprio così, ma più pressante l’urgenza di recuperare il tempo perduto.

Arrivarono senza accorgersene sul ciglio dell’insenatura dell’Asino e Dafne si precipitò di corsa verso il sentiero in discesa. Zenone la trattene: «Dafne così mi spaventi, non vedi com’è scoscesa la discesa? Scendiamo insieme con prudenza, tenendo gli occhi ben aperti». «Tu non capisci – rispose Dafne voltandosi – io e Kyros da piccoli ci venivamo tutti i giorni, conosco la discesa come le mie tasche, non sai che gli scogli nascondono una grotta di incomparabile bellezza. Sbrighiamoci».

Non aveva finito di parlare che scivolò sul sentiero, forse perché era girata all’indietro, forse perché era impacciata dal cestino di paglia, forse perché era distratta da quella giornata speciale, sia come sia stava per andare a gambe all’aria. Zenone fu lesto, afferrò la mano di Dafne, evitò che cadesse in terra e la rimise in piedi con una piroetta. I loro corpi si sfiorarono, le loro bocche si toccarono e il bacio che ne seguì era ciò che entrambi desideravano.

– «Perché l’hai fatto? disse Dafne con un filo di voce;

   – Il tuo nasino non è meno prezioso di quello di Kalliope”, rispose Zenone;     

   – Non volevo dire quello;

   – Lo so, sarò timido, ma non stupido; la cosa più cara si stringe tra le braccia, si bacia, si protegge e tu per me sei la cosa più cara;        

   – Anche per me sei la cosa più cara, ti voglio bene allo stesso modo in cui voglio bene a mia figlia e a mio fratello, a ciascuno in modo diverso».

Per una magia erano riusciti a scambiare quelle poche parole senza staccare le labbra l’uno dell’altra. Dafne capì che c’era il motivo più importante del mondo per giungere illesa alla spiaggia.

Con la massima prudenza si mise dietro a Zenone e scese molto lentamente.

Era molto fiera di aver salvato il cestino di paglia.

***

Giunti sulla spiaggia Dafne prese a correre per la felicità e il sollevo. «Vieni – disse – ti porto alla grotta». S’infilò in uno stretto passaggio tra gli scogli, seguita da Zenone, che, entrato, rimase senza fiato; da fuori non si poteva immaginare uno spazio tanto grande.

Raggi di sole attraversavano come dardi affilati le fessure della grotta e cambiavano direzione con i movimenti del sole, l’acqua di mare, che si mischiava a quella calda che dilavava dalla montagna con l’aiuto di una deliziosa cascatella, formava un laghetto verde smeraldo, contornato da una spiaggetta di sabbia bianca come il latte.

Fu un attimo. Ormai i loro occhi non cercavano altro che sé stessi. Dafne si avvicinò, gli passò le braccia intorno al collo e l’attrasse a sé, lo baciò dolcemente. Poi si allontanò di due passi, sciolse, con un movimento che mai più nei millenni sarebbe stato ripetuto con la stessa grazia, i fiocchetti, lasciando cadere il vestito.

Questa volta fu Zenone a fare due passi in avanti, l’abbracciò teneramente. Il profumo di Dafne lo stordiva, i suoi occhi sembravano velluto orientale, la sua pelle era seta preziosa. Gli venne alla mente l’acqua della sorgente miracolosa, ma non poteva bastare: i suoi erano doni degli Dei.

I suoi baci si fecero più appassionati, le sue carezze più audaci, la sollevò prendendola tra le braccia e l’adagiò con delicatezza sulla sabbia. Dafne portò le labbra all’orecchio di Zenone e gli disse con un sussurro: «Perdonami, amore, ancora non mi sento di darti un figlio». Zenone fu capace solo di un cenno, ormai era dentro di lei.

***

Giocarono nel laghetto come delfini, ma appena si sfioravano il desiderio tornava a prenderli.

L’amore e il sonno non erano mai stati così dolci.

***

Di colpo Dafne si svegliò, si rimise in piedi come un gatto e si rivesti: «Zenone, Zenone svegliati,

si è fatto tardi, dobbiamo andare a prendere Kalliope». Zenone si scosse e si rivestì in fratta.

Salendo per il sentiero Dafne si accorse che il cestino era ancora chiuso. Chissà, si disse, se anche Zenone se ne fosse accorto e, come me, si fosse chiesto il motivo. Forse per questo si dice che l’amore rende gli amanti più leggeri. Logico pensò, sorridendo, non mangiano.

***

Dafne arrivò all’uscio di Sofia e bussò. Anche un cieco, e Sofia non lo era, si sarebbe accorto che Dafne era raggiante: «Perdonami Sofia abbiamo fatto tardi, Kalliope ora dobbiamo andare, ringrazia Sofia». Kalliope abbracciò la sua più grande amica e si scambiarono il solito sguardo: sapevano tutto.

A casa, mentre stavano a cena, Kalliope ruppe il silenzio: «Tutto organizzato. Il primo giorno di festa Zenone canterà la sua storia allo slargo davanti al porto. Leonida è d’accordo. Ciascuno si porterà una sedia da casa. Io me ne vado a letto. Ah, Zenone, un’altra cosa, avete deciso tu e mamma quando vi sposerete?». Baciò tutti e se ne andò a letto.

Il rossore sulle gote di Dafne era nascosto dal sole della giornata all’aperto.

Kyros disse: «chissà cosa avrà voluto dire”.

Zenone, che avrebbe voluto dire anche domani se tua mamma vorrà, non si azzardò a fiatare.

EZIO CALDERAI                                                                     (CONTINUA)

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