RUBRICA “BENI COMUNI”, 24. DONAZIONI E LASCITI

a cura di FRANCESCO CORRENTI

In questa puntata della rubrica riprendo i temi di quelle precedenti e di alcuni post apparsi su Facebook con riferimento alla mostra in memoria di Arnaldo Massarelli, ospitata dal Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia. Ho letto ora, con qualche ritardo, il commento di una delle gentili e care persone che mi onorano della loro amicizia e della loro attenta lettura, la professoressa Paola Angeloni, alla puntata n° 23: «Sono gli scheletri negli armadi, caro architetto, onoriamoli almeno con la memoria nel mese di ottobre».

Il commento della professoressa Angeloni è il solo espresso sulle ultime puntate della rubrica e sul problema che ho voluto evidenziare. Il 23 giugno scorso, sempre la professoressa Angeloni aveva commentato la puntata n° 17, apparsa lo stesso giorno sul blog, con il titolo Com’era e dov’era. Tesi/antitesi, in cui parlavo del desiderio di molti di veder ricostruite – come pure è stato fatto frequentemente altrove – monumenti significativi o parti della città distrutte dalla guerra, da cause naturali o da decisioni scellerate. La professoressa Angeloni, gentilissima, aveva scritto: «Che bello questo dossier, pieno di tutto! Grazie!» Al che avevo risposto, tanto assorto sul tema da non ringraziare neppure per la lode: «Spero che molti dei lettori ed amici del blog vogliano esprimere il loro pensiero su questo argomento o sugli altri trattati in precedenza dalla rubrica, perché è appunto quello che riterrei utile, in modo da non limitare la rubrica e gli articoli ad una voce più o meno autoreferenziale che parla solo a se stessa».

La stessa speranza continua a farmi insistere sullo stesso problema. Che ha peraltro molte facce. Le rubriche, in questo blog come in qualunque periodico o mezzo di comunicazione con il pubblico, hanno la finalità di essere proprio questo: modi e mezzi di dialogo con i lettori, con gli appartenenti a gruppi o col pubblico in generale. L’opinione pubblica, non facile da definire con esattezza, dovrebbe comunque trovarvi espressione. Altrimenti si hanno solo monologhi del titolare della rubrica, senza repliche, senza consensi e senza dissensi. La “dittatura” di una sola opinione e non la democrazia della pluralità. Cosa che può naturalmente verificarsi se gli argomenti non hanno proprio alcun interesse per nessuno dei lettori o se chi ne tratta, come estensore della rubrica, non suscita alcun interesse egli stesso. Caso che tengo sempre presente come ben possibile per me, pronto a concludere questa attività appena la circostanza mi fosse segnalata dai curatori del Blog.

Questa rubrica, è noto, ha inteso riassumere nel nome di «Beni comuni» quelli compresi nella materia dell’Articolo 9 della Costituzione e, nello stesso spirito, per quanto riguarda le opinioni su “temi di interesse comune”, fa riferimento all’Articolo 21 ed al suo dettato: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». È lo stesso spirito, non a caso, proprio di SpazioLiberoBlog, «un luogo aperto in cui confrontare le idee». Sono certo che tutti gli amici del Blog condividano questi obiettivi e, nei limiti del maggiore o minore “talento” nell’esprimere le mie considerazioni sui diversi argomenti, non ritengano eccessivamente ripetitiva l’insistenza nel sollecitare pareri, opinioni, giudizi, condivisioni o discordanze. L’obiettivo è quello, ben più ampio, di ripristinare tra i cittadini quell’indispensabile strumento della democrazia e della partecipazione che sono i dibattiti pubblici sulle problematiche della città e del territorio.

La mia risposta di oggi al commento del 21 della professoressa Paola Angeloni, è stata l’occasione sia per tornare sull’argomento, sia per ricordare un episodio divertente della tappa a Gaeta del domenicano francese vissuto tanti anni a Civitavecchia:

L’ineffabile JBL, padre Labat, ci ha rivelato un fatto semplicissimo [storico, documentato e universalmente noto ai suoi tempi] che a me appare evidente e che risulta ignorato anche dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, che non ne ha letto le opere neppure nella traduzione fatta da Giovanni Insolera e da me per Officina Edizioni nel 1995. Cioè che la nostra espressione “scheletro nell’armadio” non “deve essere ricondotta ad un episodio della Rivoluzione francese”, come leggo, ma «al cadavere del famoso Carlo di Borbone, ucciso forse da Benvenuto Cellini da Castel Sant’Angelo» e portato a Gaeta, dove, privato della sepoltura in terra consacrata, fu «mummificato, vestito da capo a piedi con elmo, corazza e stivali, e piazzato tutto dritto, appoggiato ad un bastone di comando, in un grande armadio». La mia preoccupazione, “quella che mi ha mosso nello scrivere queste puntate della rubrica”, cara professoressa, è quella che il lavoro appassionato e di alto valore culturale di tante persone e di tanti anni, finisca proprio così, «mummificato e piazzato tutto dritto, in un grande armadio», così come la loro memoria – che non va semplicemente onorata ogni tanto, ma resa fertile, giorno per giorno, come pure si è fatto da qualcuno.

Scheletro nell’armadio e memoria mi fanno venire in mente una riflessione che ho fatto più volte in questi mesi. Mi sembra che quella che era la cosiddetta “damnatio memoriae” del diritto romano, nella prassi che posso costatare ultimamente non riguarda più una persona o un gruppo di persone, colpevoli di qualche misfatto di natura pubblica e “politica”, come accadeva nell’antica Roma e in varie epoche successive, fino a tempi piuttosto recenti. In questi ultimi anni, se non erro, la “dannazione”, ossia la condanna all’oblio, riguarda proprio la memoria stessa, la memoria in quanto tale, con riferimento agli avvenimenti dei tempi più vicini a noi, agli “ultimi fatti”, indipendentemente dai luoghi e dalle categorie  cui si riferiscono. La mia è forse una semplificazione eccessiva, ma ho percepito questa sensazione dai mesi di “isolamento” causato dalla pandemia. Nonostante il diffondersi – anche sui social che quotidianamente seguiamo per affinità di tematiche o di località consuete – di espliciti e notissimi richiami alla Memoria con la maiuscola (vedi «L’Osteria della Memoria», «La Memoria ritrovata» e simili), in realtà si parla poco di memoria recente, quella che potrebbe derivare dai propri ricordi personali, dai ricordi d’infanzia, di scuola o di viaggio, quindi operazioni di “nostalgia” e quasi “souvenir” affettivi di vario tipo.

Come anche nell’elettorato, tra gli stessi politici, tra candidati e aspiranti, gli smemorati sono sicuramente la maggioranza. Sono affetti da amnesia, dimentichi di fatti e misfatti di ieri e dell’altro ieri, quei cittadini (comunque minoranze) che migrano da uno schieramento all’altro, senza rispetto per le proprie idee di prima o mentendo a se stessi o chissà… e formando quelle maggioranze relative che condizionano l’esito di sondaggi o di “responsi delle urne” decisivi per tutti, pure per le maggioranze (quelle degli astenuti e degli indifferenti, quelle relative o assolute, quelle silenziose, quelle semplici o quelle qualificate e così via votando o non votando, alle politiche, alle amministrative, alle europee, nei referendum, nelle giurie, nelle commissioni, nei condomini… è la democrazia, bellezza…

E come sempre, da che mondo è mondo, ripetiamo frasi fatte, cose dette, detti e fatti, e – come già altri – ci chiediamo ansiosi «Che fare?», ci rispondiamo rassegnati «C’e ben poco [o proprio nulla] da fare!», e alla fine, «Tiremm innanz!», qualche volta passando da eroi, qualche volta passando da scemi, qualche volta passando da un’altra parte…

La memoria che viene indagata più comunemente non è quasi mai la “nostra”, ma una memoria ricostruita sulla base delle «Memorie» di altri anche non contemporanei ed il passato ritrovato, recuperato, è quello “remoto”, per non dire remotissimo. Dalle Teche Rai a tante pubblicazioni settimanali o mensili sulla Storia, fino a iniziative di ogni genere in ogni borgo celebre o sperduto del mondo, tante occasioni turistiche, di spettacolo, di studio, ci ricordano gli avvenimenti dell’Impero romano, del Medioevo o del Rinascimento, delle varie guerre, delle tragedie… Anche su SpazioLiberoBlog, la Storia ci viene incontro, con pregevoli articoli divulgativi e di approfondimento frutto di ricerche e scoperte in archivi e in fonti inedite. Ne ho parlato spesso e anche nelle puntate precedenti. Pochi, invece, i ricordi degli anni della nostra infanzia oppure degli anni in cui eravamo già grandi noi anziani e non erano nati i giovanissimi e questo, forse, è il “buco nero” che fa sparire nel nulla interi decenni della storia “recente”, con gravi conseguenze di mancanza di conoscenza su fatti rilevanti. Anche con qualche damnatio, con un po’ di culto della (propria) personalità, ma spesso con crudo realismo, senza alcuna indulgenza, nella più autentica sincerità.

«Saluti & baci» e altri articoli (e libri e trasmissioni!) di Silvio Serangeli hanno fatto luce su vari momenti, e restano testimonianze dei tempi, documenti basilari, ma sono purtroppo terminati. Mario Benni ha iniziato da settembre il suo «Mi racconto», dichiaratamente autobiografico, e ogni lunedì lo seguiamo. Come dichiarato all’apertura della serie, «ci propone ambienti, personaggi e vicende presenti nella memoria di più d’una generazione, che ci sembra giusto che vengano tramandati» e si tratta effettivamente di ricordi molto coinvolgenti, perché in luoghi anche diversi ripercorre anni che sono nel passato di tutte le nostre famiglie. Io considero già questi apporti alla nostra conoscenza dei contributi di altissimo valore. Sono autentici «lasciti», vere e proprie «donazioni» alla nostra memoria collettiva, atti di generosità encomiabili. E tuttavia inutili, come qualunque altra donazione o qualunque altro lascito testamentario effettivo, materiale, giuridicamente perfetto – come è avvenuto per il Fondo intestato al senatore Giovanni Ranalli – sia stato fatto o venga fatto in futuro alla collettività, se rimane una “scheletro nell’armadio”  del genere che ho descritto prima o peggio, senza un luogo neppure per l’armadio.

Per quanto mi riguarda, ho partecipato da architetto “vagabondo” e poi da Urbanista comunale “condotto” a poco meno di sei decenni delle vicende di Civitavecchia e del Lazio ed ho cercato di raccontarne i vari periodi e diversi episodi salienti, sempre dal mio punto di vista interno all’ente pubblico e di addetto alla tutela dei beni comuni. Nelle numerose puntate delle «Notizie dalla Preistoria» e delle «Ultimissime dal Medioevo» ho provato a delineare una sintesi cronologica dell’evolversi della politica urbanistica, in questa rubrica ho doverosamente evidenziato l’operato di alcune personalità di altissimo profilo, come ho diffusamente scritto in Chome lo papa uole… e in altri lavori su vari aspetti storiografici non noti, esplicitando poi, nella prefazione a Civitavecchia veduta di Arnaldo Massarelli, attività, problemi, persone e istituzioni del periodo cruciale dello sviluppo della città e del porto nel ventennio (con ampi margini temporali precedenti e successivi) a cavallo del fatale e fatidico anno 2000, l’anno del Grande Giubileo, che ha segnato un punto di non ritorno, un “inatteso momento di svolta”, la causa provvidenziale di finanziamenti altrimenti impensabili che, per un insieme di coincidenze, circostanze, condizioni e fattori, hanno veramente cambiato completamente la sorte di questi lidi racchiusi nel «grande arco del Mignone» (qui sunt Minionis in arvis).

Tuttavia, anche nel campo dei «cultori della materia», gli affetti da amnesia – congenita o sopravvenuta – non mancano e se alcuni, come il celeberrimo «Smemorato di Collegno» nel caso del professor Canella e del tipografo Bruneri probabilmente “ci marciano” (ci marciavano, allora, ma ci doveva marciare anche la signora Giulia!), in buona o in mala fede, esiste un ampio parterre di «Smemorati di Colleferro». Perdonatemi la battutaccia, siamo pur sempre dalle parti di Montefortino, feudo della famiglia di Paolo III divenuto poi Artena, dal cui Palazzo Borghese provenivano alcune opere d’arte che nel 2001 ho portato alla mostra di Ishinomaki) ma ho accertato che molte persone, forse, hanno dimenticato fatti che conoscevano, ma alcuni potrebbero anche non aver mai saputo certe verità, molte realtà, tante “prove provate”, per semplice “ignoranza” dovuta soprattutto a pigrizia.

È la tesi suggestiva e in fondo benevola che ho sostenuto, «tra affetto e ironia», con la perfetta, effervescente coreografia e messa in scena di Ettore Falzetti e del gruppo del Nuovo Sala Gassman (Il pensiero e la scena, con il contributo di Enrico Maria Falconi, di Lucia Scaggiante e dei giovani Giada Di Sauro, Simona De Leo, Antonio Massimo e Nico Lipparelli), la sera del 19 gennaio 2016, nel “racconto illustrato” Quel gran porto di Traiano: la storia urbana di Civitavecchia, dalle fantasie dei miti alla realtà dei fatti (o dei fati?), di cui parla su questo stesso Blog proprio Lucia Scaggiante in Giovedì prima di cena, del 30 ottobre 2016.

Intanto, ho potuto rilevare – ne prendo atto – che i lettori “integrali” dei miei scritti non sono numerosi. Ben lontani dai venticinque di Alessandro Manzoni (e senza scomodare neppure Umberto Eco), li avevo individuati in due persone ben precise. Comunque, ho tentato incautamente di imitare i modi manzoniani di “narratore-autore”, fingendo di rivolgermi al pubblico, simulando dialoghi con quei due lettori, ma senza alcuna velleità letteraria. Se don Lisander rivolgeva di frequente la parola ai suoi lettori, io ho chiesto che il mio o miei che siano, prendessero la parola (ed è pure avvenuto in qualche caso), proprio per non fare la vox clamantis in deserto, come avevo illustrato in una “eloquente” immagine a colori i miei “disegni al vento”, divenuti il simbolo di anni di progetti e studi nella mostra patrocinata dalla Soprintendenza in palazzo Patrizi Clementi a Roma nel 2019. Ma che, delle tante notizie, informazioni, dati e documenti portati a conoscenza del pubblico nelle non poche forme di colloquio, comunicazione o contatto che ho praticato quale pubblico ufficiale incaricato di farlo per assolvere ad una funzione fondamentale dell’ente pubblico o come ricercatore e studioso lieto di condividere i risultati raggiunti, pochissime siano divenute patrimonio comune, compreso e memorizzato, temo sia un dato di fatto. Ho reso conto in vario modo, come ho detto, dell’attività svolta nel campo delle ricerche e della “rilettura critica” della storia urbana di Civitavecchia e di altre località della Tuscia ma anche di altre parti d’Italia. Al convegno di Perugia del 1989 e nello specifico capitolo di Chome lo papa uole…, seconda edizione del 2005, ho precisato i risultati ed i “numeri” delle ricerche condotte fino a quel momento. Ho scritto al tempo che, contestualmente, erano stati avviati alcuni settori di ricerca paralleli, i cui risultati erano serviti da supporto alle elaborazioni cronologiche e che avevano condotto:

  • 1) alla schedatura delle fonti, dei documenti bibliografici ed archivistici e dei rinvenimenti archeologici (circa 2500 schede);
  • 2) alla stesura di una carta archeologica del territorio comunale e dei Comuni contermini in scala 1:25.000;
  • 3) alla ricostruzione grafica delle fasi di sviluppo urbano dalla città romana ad oggi in oltre 70 planimetrie in scala 1:2000 per altrettanti periodi (riferiti, dal 1477 al 1870, a ciascun pontificato);
  • 4) alla ricostruzione grafica in scala 1:1000 e 1:500 del tessuto urbano e degli edifici non più esistenti, con l’analisi delle unità edilizie e delle proprietà pubbliche, di enti religiosi e di privati dal XVI al XIX secolo;
  • 5) alla ricostruzione grafica in scala 1:100, con piante, prospetti e sezioni, degli edifici scomparsi documentati in mappe e disegni di archivi pubblici e privati;
  • 6) alla restituzione grafica, in scala variabile da 1:25.000 a 1:1000, delle antiche mappe (tra cui il Catasto Alessandrino da Roma a Civitavecchia), dei rilievi topografici di Antonio da Sangallo il Giovane e degli altri rilievi e progetti eseguiti per Civitavecchia da Leonardo, dal Bernini e dagli altri architetti che vi hanno operato in passato;
  • 7) alla classificazione cronologica, con schede fotografiche, delle antiche mappe, dei disegni, delle stampe, delle cartoline e delle fotografie d’epoca reperite;
  • 8) al rilievo architettonico in scala 1:200, 1:100 e 1:50 dei monumenti e degli edifici storici esistenti;
  • 9) al rilievo diretto o alla rielaborazione di rilievi già eseguiti per i siti ed i rinvenimenti archeologici nella città e nel territorio;
  • 10) alla schedatura delle iscrizioni, degli stemmi pontifici e degli altri elementi architettonici) recuperati dalle distruzioni belliche;
  • 11) all’inventario di oltre 600 toponimi con analisi della loro origine e dei mutamenti subiti;
  • 12) alla ricostruzione cartografica dell’assetto territoriale dai primi insediamenti umani ai nostri giorni, con studi sui percorsi preistorici ed etruschi, sulla viabilità romana (da cui è scaturita una nuova ipotesi sul tracciato dell’Aurelia antica), sulle proprietà imperiali, camerali, abbaziali, delle chiese, delle commende e confraternite, nonché sulle tenute concesse per gli usi civici, ed infine sugli insediamenti altomedioevali determinati dalle incursioni saracene e da altri fattori, con una analisi della politica territoriale di Leone IV e dei suoi successori.

Gli scritti, le schede cronologiche di tutti gli avvenimenti del territorio dalle origini ai nostri giorni e tutto il lavoro successivo, ben noto, condotto ancora avanti e tuttora in corso, sono materiale dimostratosi utile per molti giovani studiosi e in mote occasioni. Ma qui termino, anche questa volta “di punto in bianco”, senza aggiungere altro.

La figura qui sotto riproduce due lettere pubblicate sul supplemento del sabato al quotidiano «la Repubblica» (Rubriche. Mail nella bottiglia, in «la Repubblica Robinson», sabato 22 ottobre 2022, n° 307, p. 10), che ho letto con molto piacere, perché si tratta di due risposte positive ad un appello. Chi volesse saperne di più faccia le sue ricerche. Cosa voglio dire? Anche in questo caso, termino, senza aggiungere altro.

FRANCESCO CORRENTI

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