“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – LO SPORT OLTRE…LO SPORT
di STEFANO CERVARELLI ♦
Lo sport non fa miracoli (anche se ce ne sarebbe bisogno), ma spesso aiuta.
Sappiamo tutti, infatti, che dall’attività sportiva ne possono trarre benefici le persone che sono afflitte da patologie particolari, che soffrono di situazioni psicologiche oppure vivono in delicati stati emotivi che si riflettono sui loro comportamenti e, non certo per ultimo, lo sport è un toccasana per superare problemi di relazionalità.
Ma c’è un motivo in più ora per riaffermare il principio dello sport come mezzo d’integrazione.
Ci viene offerto dalla squadra di calcio dei Diavoli Rossi di Casalecchio.
Chi sono? Una squadra che sta diventando quasi un mito e non solo in terra d’Emilia.
I Diavoli Rossi sono ragazzi, qualcuno anche un po’ più di ragazzo, alle prese con patologie psichiatriche medio-alte, seguiti dai centri di salute mentale.
Veri combattimenti tra le mura domestiche come sul campo da gioco; il loro allenatore è Mino Di Taranto, 66 anni, infermiere in pensione che rimprovera i suoi ragazzi dividendo, nel contempo con loro, pacchetti di wafer.
Conosciamoli questi ragazzi.
Là, in mezzo al campo, c’è un Diavolo che tranquillamente passeggia inseguendo i suoi pensieri; improvvisamente l’azione si sposta verso di lui, il pallone gli rotolo tra i piedi, la porta avversaria è vicina, senza pensarci, tira e segna complice la distrazione del portiere che era assorto a guardare un aereo che volava sopra il campo.
Simone è contento, spera di tornare a disputare gare importanti: ”Come meritiamo” precisa; il suo ruolo è esterno destro ma anche esterno sinistro; fino a tre anni fa viveva, di fatto, chiuso nella sua camera, parlava, solo un po’, soltanto con i genitori che ora lo aspettano, emozionati, fuori dallo spogliatoio.
Ma per Simone c’è anche il rimprovero del suo allenatore: ”La maglietta rossa? Perché non l’hai messa?” e Simone orgogliosamente replica: ” Ce l’ho, eccola” e sotto uno strato di maglie e felpe che lo protegge dal mondo come una corazza, spunta la maglia rossa dei Diavoli.
Un altro ragazzo, allo stesso rimprovero, risponde che ha sbagliato colore: ha preso quella arancione, ma promette che non accadrà più; altri due giocatori la maglia l’hanno proprio dimenticata.
Mino li rimprovera distribuendo wafer.
“Abbiamo uno zoccolo duro di 30 giocatori che vanno dai 20 in su, qualcuno ha pure passato i 60 anni- racconta Mino – di solito giochiamo a calcetto a cinque, poi chi arriva entra e gioca. Abbiamo iniziato nel 1999, fu un esperimento, era il tempo in cui la riabilitazione avveniva attraverso i corsi di ceramica e di cucina. Io ed altri operatori alternativi proponemmo una squadra di calcetto, perché crediamo nello sport come terapia”.
“Come venne accolta questa richiesta?”
“All’inizio l’USL, pur non fidandosi molto, accettò la nostra proposta. Poi, a supporto della bontà di questa, arrivarono i risultati, dal 2008 siamo una polisportiva autonoma”.
Ma torniamo ai giocatori.
Giuseppe dice che:” Appartenere ai Diavoli Rossi è un onore”. “ In che ruolo giochi Giuseppe?” “Sono portiere, però gioco anche da difensore”.
Ecco Lorenzo al quale non serve chiedere in che ruolo gioca, avendo tra le mani un vistoso paio di guanti da portiere, però ci tiene a precisare: ”Io sono il portiere storico dei Diavoli. Oltre che giocare, mi piace anche lo spogliatoio dove scherziamo molto” (non ditelo ai calciatori professionisti) che si divertono e sono molto amici; lo dice anche Luigi, felicissimo perché: ”Oggi ho fatto tre gol!”
“Ci sono altre realtà come la nostra-dice Mino- per esempio i “Non andremo mai in TV” un bel momento è stato quando, finalmente c’è l’abbiamo fatta ad uscire dalla logica dei “Tornei dei matti”. Incontriamo squadre di gente grande, di anziani, oppure squadre miste uomini-donne. Ci sono poi i Mondiali Antirazzisti di Bologna dove siamo parte integrante”. I Diavoli Rossi hanno effettuato trasferte in Sardegna, Puglia, Sicilia e poi ci sono state le tournèe come quella in Cina nel 2007, ma qui lascio la parola a Rita Lambertini, educatrice del centro di salute mentale di Casalecchio e referente della USL: “Eravamo tutti gruppi di “parole ritrovate”, la rete di utenti, familiari, operatori e delle polisportive italiane per l’inclusione. Che viaggio! In treno da Roma a Pechino. C’è stata quindi la tournée in Argentina. “Dieci giorni di incontri di studio e partite. Tema la psichiatria di territorio, uno dei cardini della L.180. In quel viaggio accadde che, a Buenos Aires perdemmo un ragazzo poi ritrovato su una panchina. Aveva seguito le sue voci e si era allontanato. Avevamo già allertato la Polizia e l’Ambasciata, ma tutto si è concluse bene”.
Per quanto riguarda i finanziamenti questi provengono con il 5/1000 e con la USL che finanzia i progetti Prisma.
“Poi se qualche squadra o con anche solo una punta di rosso nella divisa decidesse di darci una mano….” dice Franca Pastorelli e madre di un diavolo del quale dice : “Marco non parla, sta nel suo mondo; ma per lui questa squadra ha fatto la differenza. Ed anche per noi genitori, impotenti di fronte alla patologia, ci ha dato una forza”. “Lavoriamo con le comunità terapeutiche e con i REMS, le strutture che hanno preso il posto degli ospedali psichiatrici” spiega Rita. “La nostra idea è che la luce deve stare accesa sulle competenze, le capacità e i punti di forza delle persone, e non sulle paure e le fragilità. Spero sia chiaro”.
I Diavoli nessuno ricorda chi ha scelto il nome, ma dice Mino Di Taranto, l’allenatore: “Siamo tutti diavoli, me compreso e siamo tutti rossi, data la zona”.
Ma siamo proprio sicuri che lo sport non faccia più di tante terapie?
STEFANO CERVARELLI
di STEFANO CERVARELLI ♦
LO SPORT OLTRE…LO SPORT
Lo sport non fa miracoli (anche se ce ne sarebbe bisogno), ma spesso aiuta.
Sappiamo tutti, infatti, che dall’attività sportiva ne possono trarre benefici le persone che sono afflitte da patologie particolari, che soffrono di situazioni psicologiche oppure vivono in delicati stati emotivi che si riflettono sui loro comportamenti e, non certo per ultimo, lo sport è un toccasana per superare problemi di relazionalità.
Ma c’è un motivo in più ora per riaffermare il principio dello sport come mezzo d’integrazione.
Ci viene offerto dalla squadra di calcio dei Diavoli Rossi di Casalecchio.
Chi sono? Una squadra che sta diventando quasi un mito e non solo in terra d’Emilia.
I Diavoli Rossi sono ragazzi, qualcuno anche un po’ più di ragazzo, alle prese con patologie psichiatriche medio-alte, seguiti dai centri di salute mentale.
Veri combattimenti tra le mura domestiche come sul campo da gioco; il loro allenatore è Mino Di Taranto, 66 anni, infermiere in pensione che rimprovera i suoi ragazzi dividendo, nel contempo con loro, pacchetti di wafer.
Conosciamoli questi ragazzi.
Là, in mezzo al campo, c’è un Diavolo che tranquillamente passeggia inseguendo i suoi pensieri; improvvisamente l’azione si sposta verso di lui, il pallone gli rotolo tra i piedi, la porta avversaria è vicina, senza pensarci, tira e segna complice la distrazione del portiere che era assorto a guardare un aereo che volava sopra il campo.
Simone è contento, spera di tornare a disputare gare importanti: ”Come meritiamo” precisa; il suo ruolo è esterno destro ma anche esterno sinistro; fino a tre anni fa viveva, di fatto, chiuso nella sua camera, parlava, solo un po’, soltanto con i genitori che ora lo aspettano, emozionati, fuori dallo spogliatoio.
Ma per Simone c’è anche il rimprovero del suo allenatore: ”La maglietta rossa? Perché non l’hai messa?” e Simone orgogliosamente replica: ” Ce l’ho, eccola” e sotto uno strato di maglie e felpe che lo protegge dal mondo come una corazza, spunta la maglia rossa dei Diavoli.
Un altro ragazzo, allo stesso rimprovero, risponde che ha sbagliato colore: ha preso quella arancione, ma promette che non accadrà più; altri due giocatori la maglia l’hanno proprio dimenticata.
Mino li rimprovera distribuendo wafer.
“Abbiamo uno zoccolo duro di 30 giocatori che vanno dai 20 in su, qualcuno ha pure passato i 60 anni- racconta Mino – di solito giochiamo a calcetto a cinque, poi chi arriva entra e gioca. Abbiamo iniziato nel 1999, fu un esperimento, era il tempo in cui la riabilitazione avveniva attraverso i corsi di ceramica e di cucina. Io ed altri operatori alternativi proponemmo una squadra di calcetto, perché crediamo nello sport come terapia”.
“Come venne accolta questa richiesta?”
“All’inizio l’USL, pur non fidandosi molto, accettò la nostra proposta. Poi, a supporto della bontà di questa, arrivarono i risultati, dal 2008 siamo una polisportiva autonoma”.
Ma torniamo ai giocatori.
Giuseppe dice che:” Appartenere ai Diavoli Rossi è un onore”. “ In che ruolo giochi Giuseppe?” “Sono portiere, però gioco anche da difensore”.
Ecco Lorenzo al quale non serve chiedere in che ruolo gioca, avendo tra le mani un vistoso paio di guanti da portiere, però ci tiene a precisare: ”Io sono il portiere storico dei Diavoli. Oltre che giocare, mi piace anche lo spogliatoio dove scherziamo molto” (non ditelo ai calciatori professionisti) che si divertono e sono molto amici; lo dice anche Luigi, felicissimo perché: ”Oggi ho fatto tre gol!”
“Ci sono altre realtà come la nostra-dice Mino- per esempio i “Non andremo mai in TV” un bel momento è stato quando, finalmente c’è l’abbiamo fatta ad uscire dalla logica dei “Tornei dei matti”. Incontriamo squadre di gente grande, di anziani, oppure squadre miste uomini-donne. Ci sono poi i Mondiali Antirazzisti di Bologna dove siamo parte integrante”. I Diavoli Rossi hanno effettuato trasferte in Sardegna, Puglia, Sicilia e poi ci sono state le tournèe come quella in Cina nel 2007, ma qui lascio la parola a Rita Lambertini, educatrice del centro di salute mentale di Casalecchio e referente della USL: “Eravamo tutti gruppi di “parole ritrovate”, la rete di utenti, familiari, operatori e delle polisportive italiane per l’inclusione. Che viaggio! In treno da Roma a Pechino. C’è stata quindi la tournée in Argentina. “Dieci giorni di incontri di studio e partite. Tema la psichiatria di territorio, uno dei cardini della L.180. In quel viaggio accadde che, a Buenos Aires perdemmo un ragazzo poi ritrovato su una panchina. Aveva seguito le sue voci e si era allontanato. Avevamo già allertato la Polizia e l’Ambasciata, ma tutto si è concluse bene”.
Per quanto riguarda i finanziamenti questi provengono con il 5/1000 e con la USL che finanzia i progetti Prisma.
“Poi se qualche squadra o con anche solo una punta di rosso nella divisa decidesse di darci una mano….” dice Franca Pastorelli e madre di un diavolo del quale dice : “Marco non parla, sta nel suo mondo; ma per lui questa squadra ha fatto la differenza. Ed anche per noi genitori, impotenti di fronte alla patologia, ci ha dato una forza”. “Lavoriamo con le comunità terapeutiche e con i REMS, le strutture che hanno preso il posto degli ospedali psichiatrici” spiega Rita. “La nostra idea è che la luce deve stare accesa sulle competenze, le capacità e i punti di forza delle persone, e non sulle paure e le fragilità. Spero sia chiaro”.
I Diavoli nessuno ricorda chi ha scelto il nome, ma dice Mino Di Taranto, l’allenatore: “Siamo tutti diavoli, me compreso e siamo tutti rossi, data la zona”.
Ma siamo proprio sicuri che lo sport non faccia più di tante terapie?
STEFANO CERVARELLI