OLTRE LA LINEA” A CURA DI S.BISI E N. R. PORRO – L’ISTINTO MATERNO: UN DIBATTITO IN CORSO

di SIMONETTA BISI

 

“Le donne sono specializzate per prendersi cura di altri esseri umani e gli uomini per competere con loro, – ha spiegato Darwin – Con questo fatto fondamentale, gli uomini raggiungono “un’eminenza superiore” praticamente in tutte le cose, dall’uso dei loro sensi alla ragione e all’immaginazione.”

L’istinto materno – l’amore onnivoro e assolutamente altruista che le madri prodigano ai loro figli – viene da molti considerato un elemento innato, anzi determinante della natura di una donna.

Chi è donna capisce bene di cosa io stia parlando: si dà per asseverato che tutte coloro che nascono di sesso femminile aspirino ad avere un figlio e che tutte lo desiderino per dare un senso alla loro vita. Ciò è creduto ancora oggi, nonostante il numero dei figli per donna continui a diminuire e l’età media al primo figlio si attesti intorno ai 33 anni.

Il punto principale riguarda il presunto istinto materno come fatto biologico e principio base dell’evoluzione. Presunto, specifica Chelsea Conaboy – autrice di Mother Brain: How Neuroscience Is Rewriting the Story of Parenthood (McMillan, settembre 2022), libro che ha suscitato ampi dibattitti e, ovviamente, molte critiche alla sua, per alcuni “sconvolgente” teoria secondo la quale l’istinto materno non sarebbe un dato biologico ma una favola, una narrazione voluta dagli uomini.

In un articolo pubblicato il 26 agosto 2022 sul NYT, dal titolo emblematico – Maternal Instinct Is a Myth that Men Created – Chelsea Conaboy ha esposto la propria tesi sul cosiddetto “istinto materno” e cosa significhi diventare genitori.

Gli elementi per me di maggiore interesse nel lavoro della Conaboy sono due: avere evidenziato storicamente come si è creata la cultura dell’istinto materno, e avere parlato di genitorialità, di come il bambino influisce sulla vita di tutti i genitori anche neurologicamente, e come può essere assistita.

Per la Conaboy (da cui attingo) l’idea che l’altruismo e la tenerezza richiesti dai bambini siano unicamente radicati nella biologia delle donne, pronti a scattare con il semplice tocco di un interruttore, è relativamente moderna – e perniciosa. È stata costruita nel corso di decenni da uomini che vendono un’immagine di ciò che una madre dovrebbe essere, distogliendo la nostra attenzione da ciò che è in realtà.

Gli archetipi cristiani moderni della maternità sono stati modellati da due donne. C’era Eva, che mangiò il frutto proibito e così facendo causò la sofferenza di ogni essere umano. E c’era la Vergine Maria, che divenne il simbolo virtù della maternità, la sua identità interamente eclissata dalla gloria del suo amore materno. La storia di Maria, unita a quella di Eva – bontà irraggiungibile, servitù perpetua – ha creato un modello morale di maternità che si è dimostrato, per molte, soffocante e spietato.

Vorrei ricordare che fino alla prima rivoluzione industriale era diffuso “fare figli” sia nelle classi contadine sia in quelle della borghesia e della nobiltà, ma della maternità ideale c’era ben poco. Alta mortalità infantile imponeva adattamento fatalistico all’evento, nelle famiglie contadine già da piccoli i maschi lavoravano nei campi e le femmine accudivano la casa e gli anziani. Divisione dei ruoli dovuti alla necessità. Nelle famiglie possidenti i figli si facevano, ma si davano a balia e fino ai sei anni non erano ammessi a tavola con la famiglia: rapporti con i genitori formali e protocollari. La rivoluzione industriale ha “avvicinato i muri”, spostando le persone dalla fattoria alla fabbrica ha separato il lavoro e la casa. L’industrializzazione ha così inaugurato per le donne un importante spostamento: dalla partecipazione e produzione economica a domesticità e consumo.

Nota la Conaboy che la “sacralità” della casa è cresciuta man mano che il capitalismo ha concentrato il lavoro e la politica sulla competizione individuale. L’imperativo morale e la responsabilità di una madre all’interno della casa sono stati enfatizzati – l'”angelo della casa” – mentre il ruolo della donna nella società si riduceva.

Darwin, all’interno della sua opera rivoluzionaria, ha codificato le nozioni bibliche dell’inferiorità delle donne, riaffermando l’idea che la loro funzione primaria è quella di fare figli e prendersene cura.

“Che forte sentimento di soddisfazione interiore deve spingere un uccello, così pieno di attività, a covare giorno dopo giorno sulle sue uova”, scrisse in “The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex” nel 1871. Darwin apparentemente ignorava la fame dell’uccello madre e l’angoscia di avere bocche da sfamare e predatori da respingere.

Su questo tema la Conaboy cita lo psicologo William McDougall che fece un ulteriore passo avanti scrivendo che l’istinto di proteggere e amare i figli – insieme alla “tenera emozione” richiesta dal compito – diventa “l’occupazione costante e totalizzante della madre, a cui dedica tutte le sue energie” (Psychology, Sonzogno publishing house, 1922, p.70).

Secondo Mc Dougall, però, l’istinto materno non è abbastanza forte da resistere all’istruzione. Man mano che l’intelligenza di una persona cresce, l’istinto genitoriale diminuisce, a meno che non sia contrastato da “sanzioni sociali” proibendo, ad esempio, il controllo delle nascite, l’aborto, il divorzio o l’erosione dei ruoli di genere.

Per tutto il ventesimo secolo, psicoanalisti, psichiatri ed esperti dello sviluppo infantile hanno insistito sull’importanza dell’amore materno per la maturazione emotiva dei bambini come le vitamine lo sono per il loro sviluppo fisico. Come scrive la storica Marga Vicedo in “The Nature and Nurture of Love”, se prima il ruolo di una madre era visto come incoraggiamento alle capacità del figlio attraverso l’educazione, ora gli esperti insistono sul fatto che solo una madre può dare quel tipo specifico di amore che determinerà il futuro di un bambino – un’idea che ha messo radici e alimentato il senso di colpa materno per generazioni, e giustificato il continuo dominio maschile.

Relegare l’istinto materno a un mito creato dai maschi, non poteva non attirare molte critiche, soprattutto da quella parte del mondo che ancora idealizza il ruolo di Madre della donna.

Tra le tante risposte polemiche, cito quella di Jerry Coyne (professore emerito presso il Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell’Università di Chicago, membro sia del Comitato di Genetica che del Comitato di Biologia Evoluzionistica). Sul suo blog ha pubblicato un post lungo e argomentato (che si può leggere qui: https://whyevolutionistrue.com/2022/08/28/is-maternal-instinct-a-misogynistic-myth/ ) per spiegare che l’istinto materno è un fatto incontestabile, evolutosi nell’essere umano come in altre specie viventi; non riconoscerlo o fingere che non esista in nome di un’ideologia equivale a mentire.

Perché è così difficile ammettere che non sempre questo ideale istinto appartenga a tutte le donne? Ho scritto sul blog tempo fa un racconto, L’intrusa, sotto lo pseudonimo di Maria Letizia Galdi (sono miei i racconti con questa firma e quelli con l’avatar Maria Letizia, non è un mistero). Parla di cosa prova dopo il parto una donna che madre non voleva essere, ed è infelice mentre tutti intorno si congratulano con lei. Ho purtroppo conosciuto una madre infanticida, una donna colta, professionista affermata, che aveva un bel bambino, sano. Ma lei quel bambino non lo voleva, non lo voleva al punto di arrivare al gesto tragico. Nessuno l’ha davvero aiutata.

Questi sono casi limite, ma rivelano come troppo spesso permanga l’idea che se una donna aspetta un figlio deve essere felice, così anche l’aborto viene visto come qualcosa di aberrante che può, anzi deve, essere contrastato. Ricordo che nel nostro Piemonte è stata di recente approvata una delibera   per il cosiddetto “fondo vita nascente”, che porterà nei consultori le organizzazioni pro-vita e aiuterà economicamente chi decide di non abortire. Su questa linea si stanno muovendo anche altre regioni e non sappiamo come si comporterà il nuovo governo su questo tema.

Invece poco o niente si fa per l’educazione alla genitorialità (Treccani: «La condizione di genitore, e, anche, l’idoneità a ricoprire effettivamente il ruolo di padre o di madre»). La genitorialità è molto più dell’essere genitori e rappresenta diverse funzioni che coinvolgono sia aspetti individuali, sia aspetti relazionali alla base di un percorso educativo dinamico ed evolutivo, che segue la crescita del bambino. Il libro della Conaboy Mother Brain, una nuova potente narrativa della genitorialità basata sulla scienza, ci offre una rassicurazione: “a differenza di un istinto rigido, l’attitudine dei genitori può anche essere riparata e ‘reindirizzata’ da qualsiasi caregiver motivato.”

SIMONETTA BISI

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