L’indifferenza di genere
di PATRIZIO PAOLINELLI ♦
L’aumento della povertà causato da decenni di politiche neoliberiste è sempre più difficilmente occultabile con gli artifici degli istituti di statistica, i giochi di prestigio degli economisti, i profeti della civiltà digitale, la complicità della stampa, dell’accademia e degli istituti di ricerca. Per le élite dominanti si è dunque posto il problema di come prevenire proteste sociali incontrollabili.
Una parziale soluzione è stata trovata nel rilancio in grande stile della narrazione sulla parità di genere. Una narrazione calata dall’alto, ossia dal potere politico e da quello mediatico innestata all’interno della retorica sui diritti civili senza diritti sociali. Una narrazione che ha fatto delle donne la categoria-chiave per veicolare un’idea di uguaglianza che non intacca né il modo di produzione dominante né l’ideologia dei dominatori, anzi li rafforza entrambi.
La persuasione del racconto si fonda su problemi reali. Per esempio le differenze tra uomini e donne nel mondo del lavoro. Differenze in termini di prospettive di carriera, qualificazione professionale, parità di retribuzione e così via. Tema che faceva parte delle rivendicazioni politiche di partiti e movimenti ispirati dal marxismo. Sconfitta l’idea socialista di emancipazione dei lavoratori l’eguaglianza di genere è stata risemantizzata attraverso i quattro grandi discorsi che controllano la coscienza collettiva occidentale: l’informazione, la propaganda, la pubblicità e la comunicazione.
La donna narrata al grande pubblico è astratta. Privata dell’appartenenza di classe insegue il successo in qualsiasi campo: politica, sport, affari, informazione, spettacolo, scienza, tecnologia e in generale nel mondo delle professioni. Insomma, il self made man ha aperto le porte al self made woman. D’altra parte il capitalismo sfrutta ogni aspetto della vita e da tempo spuntano fuori sia i baby sia i teenager milionari. Dunque, era ora che anche le donne venissero incluse nel processo di valorizzazione del capitale.
Tuttavia la struttura del cosiddetto mercato del lavoro non cambia perché le donne possono accedervi più facilmente e a condizioni migliori rispetto al passato. Anzi, in termini di diritti la situazione peggiora di anno in anno. Inoltre, sul piano qualitativo la differenza di genere non sembra cambiare affatto consolidate dinamiche all’interno del sistema di produzione dominante. La donna-manager utilizzerà logiche d’impresa alternative a quelle dei suoi colleghi maschi? E la scienziata? Opererà per una scienza al servizio della società o del profitto? Disoccupazione e precariato diminuiranno se il ministro è donna? Casalinghe, operaie, infermiere entreranno in massa in Parlamento?
Il potere economico sembra del tutto indifferente al genere e procede secondo dinamiche proprie, che non hanno certo l’obiettivo di emancipare le lavoratrici. Tutta la storia del capitalismo è stata caratterizzata da una lotta senza quartiere per impedire l’emancipazione dei lavoratori. Una guerra di classe che il neoliberismo ha stravinto. Per i neoliberisti la categoria stessa di lavoratore non esiste. Come non esistono quelle di sfruttamento, di disoccupazione e così via. Ognuno è imprenditore di sé stesso. Se fallisci, fallisci come singolo perché hai fatto male i tuoi conti.
Per chiudere, resta da segnalare un aspetto politico della retorica sulla parità di genere. Nel mercato del lavoro i due sessi sono messi in competizione uno con l’altro. Viene in tal modo creato ad arte un altro conflitto come quelli che da anni mettono i precari contro i lavoratori garantiti, i genitori occupati contro i figli disoccupati, i giovani contro i pensionati. E dinanzi a queste artificiose contrapposizioni l’élite economica si gode lo spettacolo. Squid game non è solo una serie televisiva. È la realtà.
PATRIZIO PAOLINELLI
Un’intelligente provocazione, nello stile tranchant di Patrizio, che potrebbe stimolare una riflessione a più voci.
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Che io ho raccolto, come tutte le provocazioni tranchant. Il sorvolare non mi appartiene 😂. Valentina
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