IL PRINCIPIO SPERANZA

di CARLO ALBERTO FALZETTI

L’aldilà ha finito il suo fascino.

Ad ogni funerale gli occhi sono mesti non solo per via del parente o dell’amico che piangiamo. Sono mesti per le parole che ascoltiamo. Pochi credono veramente a ciò che sbiascica il celebrante circa l’ubicazione cosmica dell’anima  dell’estinto. Dentro quel la cassa di fronte all’altare si trova ” tutto” , ogni parte,  di qualsiasi natura essa sia, di chi stiamo compiangendo.

Così, ormai, i più pensano anche se credenti nella forma.

L’aldiquà era pervaso di speranze ma anch’esso ha perso il suo fascino.

Speranze su un migliore futuro prossimo di questa nostra vita umana. L’avvenire, come nel caso di un credente cristiano, era qualcosa di “superiore al presente. Così l’ideologia della speranza marxiana: l’avvenire è liberazione da un presente di lotta ed ingiustizia. Così la scienza e la tecnica: il futuro non può che essere più “avanzato del passato.

Anche l’aldiquà, dunque, ha esaurito il suo fascino. La minaccia climatica, le pandemie, il consumismo invadente, il rischio nucleare, la voglia di guerra diffusa in ogni angolo della terra, il capitalismo globalizzato che rischia di annullare ogni particolarismo culturale, l’offesa ai diritti civili elementari, l’odio verso il femminile, la carestia e la fame degli emarginati. Il futuro non ha più nulla di superiore rispetto al presente.

Se pensiamo che la speranza sia stato il comune denominatore che ha caratterizzato l’aldilà e l’aldiquà degli ultimi secoli, ebbene questo elemento sembra ormai venuto meno. Se denominiamo il mondo caratterizzato dalla presenza della speranza con il termine “Occidente”, allora possiamo con tranquillità asserire che l’Occidente sia in via di estinzione.

Ma, attenzione: ciò che noi chiamiamo “Oriente” rientra pienamente nel dominio ideologico dell’Occidente. Dunque:  tramonto dell’Occidente significa non sostituzione di questo con l’ Oriente ma semplicemente tramonto   del “principio di speranza” nel mondo  nel suo complesso!!

Il tempo come concetto lineare, cioè il futuro vale più del passato, sembra aver raggiunto il suo epilogo.

Questo è il tema drammatico che viviamo. Tutto il resto sono semplici elementi della trama e dell’ordito di questo tessuto esistenziale che avvolge il mondo della vita in questa nostra epoca.

Occidente ed Oriente? Una dicotomia ormai assurda: da una parte sta l’Occidente, dall’altra sta un altro  Occidente ancora però in via di formazione e pieno di aneliti per una sua pienezza dei tempi, contaminato da un truce dirigismo dittatoriale e contraddittorio con le esigenze potenziali del consumismo  all’interno dei suoi confini. Dirigismo, questo, ereditato dalla storia più recente (Russia, Cina) e dirigismo ossessionato dal fondamentalismo religioso (Islam).

Svanendo il principio speranza sia per l’aldilà sia per l’aldiquà ogni redenzione è tolta. Rimane un solo unico ardore: il consumismo. Schiacciati sul presente, storditi dalla obsolescenza dei prodotti sempre più veloce, evitando di dare un senso, un perché all’esistenza e, soprattutto evitando come cosa assurda il pensiero della finitudine dell’uomo e di tutte le cose. L’estasi consumistica è il rimedio oppiaceo che ha sostituito ogni speranza escatologica dell’aldilà e dell’aldiquà.

Ma il rimedio, come ebbe a dire il “folle saggio” a fine ottocento, è peggiore del male che vuole curare.

Dopo queste osservazioni non posso che rimandare ad altro momento una possibile pars construens (semmai fosse perseguibile).

Mi limito  solo ad affidarmi, a fronte del “rimedio consumistico”, al pensiero poetico  utilizzando un riferimento di Galimberti  esposto in una delle sue tante conferenze visibili su internet.

Per i nostri avi  una casa, una fontana, una torre loro familiare, perfino un indumento personale, il loro mantello, era qualcosa di più familiare che per noi, quasi ogni cosa era un vaso in cui ritrovavano qualcosa dell’uomo e rintracciavano l’umano  ( R.M. Rilke).

CARLO ALBERTO FALZETTI

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