“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Fiducia e reputazione nel mercato

di GIORGIO CORATI

Alla base della fiducia e della reputazione da accordare negli scambi di mercato, per quanto concerne il consumatore, la sua aspettativa dovrebbe concentrarsi oltre che sulla competenza di chi vende, il venditore, anche sulla capacità dello stesso di saper mostrare o porre in evidenza il “valore” del prodotto che propone ed essere disponibile a fornire informazioni non soltanto per soddisfare l’esigenza conoscitiva del consumatore stesso, bensì a fare in modo che questi possa prendere una decisione di acquisto consapevole e responsabile. In merito al “valore” del prodotto, su cui per molti consumatori delle informazioni approfondite sono auspicabili e spesso indispensabili, un numero maggiore di venditori dovrebbe sentire un obbligo etico e anche morale. Nel “valore” di un prodotto, espresso in termini monetari da un prezzo di mercato, c’è, in sintesi, il lavoro altrui e una scelta di materie prime. Se tale lavoro delle persone è condotto con etica, giustizia e attenzione sia per l’ambiente sia per il consumatore finale e, inoltre, se tale scelta di materie prime rispetta maggiormente l’ambiente e tutto ciò che può essere preminente in termini di salute per un consumatore “attento” e, inoltre, rispetta anche la “stagionalità” come nel caso dei prodotti agricoli e dei prodotti della pesca, certamente il venditore, per molti consumatori consapevoli che si relazionano con lui, merita fiducia e può essergli riconosciuta una reputazione che va oltre quella che genericamente è accordata nel mercato. Il mercato, genericamente inteso come luogo in cui avvengono gli scambi economici, nel pensiero filosofico degli illuministi italiani si fonda sulla fede pubblica, definita “fides”, la quale comprende il “bene comune”.

Si può sostenere che il mercato sia un insieme di relazioni della quotidianità degli scambi che vi avvengono, nella considerazione che sia costituito da “intenzioni” di consumatori e di venditori (singoli agenti economici, imprese, aziende, multinazionali) che vi partecipano; in esso e quale natura delle relazioni, la fiducia accordata ossia la reputazione degli agenti economici è una determinante importante e un sentimento di tipo soggettivo.

Osservando gli scambi che avvengono sul mercato, si nota che chi vende sollecita i propri clienti (consumatori) a “prove di fiducia”, utilizzando comunicazioni pubblicitarie e attuando anche azioni di marketing concrete, “tangibili”, rappresentate, ad esempio, dalle cosiddette “carte fedeltà” che sono orientate a ottenere e mantenere una buona reputazione e, dunque, un legame di fiducia con il consumatore. Chi non ha mai ricevuto una carta fedeltà da un esercizio commerciale. Addirittura in chi l’ha ricevuta, probabilmente, quell’atto è stato appagante, percepito come sentimento di “appartenenza”, come una sensazione piacevole per l’attenzione “particolare” rivoltagli. Magari quell’attenzione, che viene definita “attenzione al cliente” di cui, in generale, pare si siano perse le tracce, nonostante tutto. Quando si tratta di attività di consumo, di fatto, la buona reputazione di chi vende è ormai ritenuta importante non soltanto da molti studi accademici, bensì anche da molti consumatori “attenti”, per i quali tra i propri bisogni vi è anche quello che aspira al riconoscimento e al rispetto del proprio ruolo. Un ruolo che è preminente o che dovrebbe essere tale nello scambio. È inoltre, anche certo, ormai, che chi riveste il ruolo di venditore deve avere bene in mente quanto prezioso per lui sia il consumatore, nella considerazione che questi, se non soddisfatto, o si astiene dal consumo o si rivolge ad altri venditori. In merito alla reputazione dell’agente che vende, il filosofo, teologo ed economista Oreste Bazzichi (2015)1 riporta che mentre la “buona” fama dei mercanti nel Basso medioevo “era considerata la virtù della capacità e dellefficacia dell’imprenditore” [al contrario] “la “cattiva” reputazione era considerata un tradimento” (p.27) [alla “cosa pubblica” e all’“utilità pubblica” o ”bene comune”], perché in contrasto all’etica. È possibile ritenere, inoltre, che la reputazione di chi vende assuma anche un carattere oggettivo, perché, almeno nel presente, è attribuita pure senza un preciso legame o senza alcuna relazione personale “stabile”. Si direbbe che sia anche “indotta”.

Anche la reputazione del consumatore è importante; è un sentimento di tipo soggettivo e ha bisogno di un legame personale per essere “reale” e tale, ma ha una natura diversa. È contraddistinta dalla consapevolezza e dalla volontà; in sostanza è caratterizzata dalle intenzioni che muovono l’agire di chi che fa prevalere la propria domanda di consumo con senso di responsabilità in una visione prosociale.

Genericamente si ritiene che il consumatore decida l’acquisto in funzione del prezzo di mercato ritenuto in quel momento soddisfacente oppure in funzione dello stesso quale unico aspetto rilevante ai fini della decisione e della scelta di consumo. Se per alcuni consumatori è il più basso prezzo di mercato l’unico aspetto rilevante o l’unica possibilità (in termini di vincoli soggettivi e oggettivi) ai fini della decisione di consumo, ciò deriva, non soltanto, in senso economico, dal vincolo dato dal reddito proprio del consumatore, quanto addirittura da mera consuetudine o più probabilmente da indifferenza tra possibili scelte, vale a dire tra scelte che sono o possono rivelarsi similari per il consumatore. In questo caso, è da capire se l’indifferenza muove da una ragione non sufficiente a scegliere e decidere con consapevolezza e anche con responsabilità o se piuttosto muove da disinteresse semplicemente per ciò che è o ciò che può rappresentare l’oggetto del consumo.

È possibile immaginare che dallo scambio sul mercato il consumatore possa ottenere ciò che crede e anche garantirgli l’”utilità” ricercata al fine di assicurarsi la massima soddisfazione per la propria necessità. Può accadere, insomma, che non sempre egli ottenga ciò che effettivamente cerca o ciò di cui ha veramente bisogno. Ciò può avvenire per due motivi almeno: il primo, se il consumatore non ha consapevolezza della reale e importante forza contrattuale del proprio ruolo al momento dello scambio. Il secondo motivo è dato dal fatto che l’agente economico dell’offerta può riuscire a “consegnare” anche ciò che non risponde esattamente alla richiesta. In tal senso, è da ritenere che ciò avvenga perché il consumatore è accolto nel mercato senza che in lui sia riposta alcuna fiducia o “credibilità” da parte del venditore, – magari perché non conosciuto o riconosciuto nel suo ruolo -, eccetto che per l’opportunità di vendita che offre con la sua domanda. In altri termini, un consumatore potrebbe essere ritenuto mancante di quella reputazione che invece è già riconosciuta ad altri consumatori quale sinonimo di “consapevolezza nella decisione di scelta” o di “consapevolezza e senso di responsabilità” che pervadono l’agire di umano riferito al comportamento di consumo, in virtù dei quali colui che vende non può (o non dovrebbe) rimanere impassibile o noncurante. Ogni consumatore, infatti, pur distinguendosi da altri per capacità di spesa, preferenze, gusti, cultura, virtù, morale, dall’etica che comunica, “mostra” un bisogno esplicito, a volte complesso, oppure ha o manifesta un bisogno latente, un diverso livello di consapevolezza, una razionalità limitata da vincoli propri e o da quelli legati all’ambiente a lui esterno e spesso ha anche informazioni parziali che talvolta possono anche essere distorte. Il consumatore potrebbe non avere piena consapevolezza degli effetti del suo agire sugli altri e sull’ambiente naturale. Potrebbe essere sollecitato a decidere per un prodotto qualsiasi all’interno di una scelta limitata, di un paniere di beni limitato, ossia soltanto tra ciò che è effettivamente reso disponibile dal lato dell’offerta oppure essere indotto verso un certo comportamento di consumo. Il consumatore potrebbe anche decidere di astenersi momentaneamente da qualsiasi decisione di consumo se crede di non ritenersi soddisfatto. Spesse volte, accade di notare che il consumatore  acquista comunque per non “deludere” il venditore e non per soddisfare un vero proprio bisogno emergente ossia tende ad acquistare, ciononostante, per lenire quel certo senso di colpa che lo “colpisce” nel momento in cui ravvisa che sarebbe può opportuno astenersi dall’acquisto. Può cadere, cioè, vittima di un sentimento di “delusione” che sente di provocare nel venditore, pur potendo evitare di agire se effettivamente non ritiene di poter soddisfare il proprio bisogno.

Ora, la ragione per cui il consumatore tende all’acquisto di un prodotto è, di fatto, per appagare o dare un seguito positivo per sé a una propria reale necessità anche immediata. Anche se egli fosse in presenza di ciò da cui effettivamente ritiene possa trarre la massima utilità per sé, potrebbe ritenere opportuno di astenersi dalla soddisfazione di un “pezzo” della propria utilità immediata, derivante dal consumo, nella consapevolezza che tale azione possa generare un maggiore vantaggio futuro per sé e per gli altri consumatori ovvero che possa mitigare gli effetti negativi del consumo privato derivanti dall’utilità immediata data la tipologia del bene. Un esempio è utilizzare un prodotto della pesca “alternativo” a uno che solitamente compone il proprio paniere di prodotti della pesca o ancora può sembrare banale ma lasciare sullo scaffale di un supermercato l’ultima confezione disponibile di un prodotto, affinché sia fruibile per un altro consumatore, può rivelarsi una buona pratica che in sé indica “attenzione per gli altri”. Ed è nella collaborazione di tutti rispetto a tale visione e rispetto al tema della sostenibilità del consumo che si possono sviluppare man mano, e si ritrovano in seguito, benefici effetti che possono tendere a durare a lungo nel tempo. Questa visione è da ritenersi una caratteristica di un comportamento alimentato dal sentimento della partecipazione (“immedesimazione”) nella condivisione di un problema comune e nella necessità di collaborare per migliorare l’aspettativa futura di se stessi e degli altri consumatori.

Riguardo al venditore, indagando nella sfera soggettiva del consumatore, la sua reputazione potrebbe essere valutata come una generica fiducia, riposta senza necessariamente condividerne valori di alcun tipo, tantomeno di empatia. Si direbbe, dunque, si essere di fronte a un mero scambio (denaro/merce), a un atto economico in sé. Il consumatore, tuttavia, può valutare la reputazione del venditore in modo più stringente, arrivando a connotarla finanche come stima. Certamente è importante che l’interazione tra consumatore e venditore si sviluppi, ad esempio, sulla traiettoria dello scambio tendente ad avere in sé anche un valore condiviso virtuoso e prosociale. In tal senso, lo scambio potrebbe tendere a ridefinire la relazione tra i due soggetti economici e a dare origine a un “processo umano osmotico”, cioè un modello virtuoso e consensuale di scambio costantemente di natura etica che si autoalimenta durante e nella relazione, un modello alla cui base è la consapevolezza che disponibilità e sostenibilità, nonché biodiversità nel caso della risorsa ittica quale bene comune, sono sia “elementi” fondamentali (o determinanti) sia “fini” (condivisi o condivisibili) della relazione stessa. In questo caso, lo scambio tende a soddisfare un bisogno che ha anche natura prosociale e che certamente può essere considerato un atto economico proattivo, responsabile ed etico. Utilizzando funzionalmente quest’ultimo contesto come opportunità costruttiva, il consumatore potrebbe avere la possibilità di instaurare una relazione duratura con il venditore, improntata e orientata alla condivisione di concetti significativamente materiali ovvero di concetti e aspetti considerati maggiormente rilevanti che esprimono e racchiudono in sé temi etici e sociali oltre che a priorità ambientali in senso lato. È importante evidenziare che la natura stessa del bisogno si modifica, evolvendo verso nuove “manifestazioni” di consumo che si surrogano vicendevolmente nella sfera psicologica del consumatore. Nel caso dei prodotti della pesca, come priorità si possono intendere, ad esempio, la sostenibilità delle catture rispetto alla capacità di sfruttamento delle risorse, l’attenzione posta all’uso/consumo di specie ittiche durante il loro ciclo di riproduzione naturale e, non da ultimo, il valore che esprime la biodiversità riferita alle specie considerate maggiormente commerciali dall’attività di pesca rispetto ad altre meno note o scarsamente considerate dal mercato.

GIORGIO CORATI

Bibliografia: 1 Bazzichi, O. (2015). Dall’economia civile francescana all’economia capitalistica moderna. Una via all’umano e al civile dell’economia. Prefazione di Zamagni, S.. Tipografia A. Spada. Ronciglione. Armando editore.
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