REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA
di MATTEO VECCHI ♦
Non ho votato al referendum sulla giustizia.
Credo fortemente nello strumento del voto, e nella consultazione referendaria, ma in nessun modo ho voluto contribuire al raggiungimento del quorum.
Certo, la copertura mediatica e “partitica” è stata quasi del tutto assente, con gran parte dei soggetti promotori che nelle ultime settimane hanno fatto a gara a liberasi del ”fardello” del referendum limitandosi al massimo a frasi di circostanza.
Non entrerò nel merito dei singoli quesiti, sono convinto che la legge Severino vada rivista per gli effetti che produce per gli amministratori locali. Sono convinto che sia necessario rivedere lo strumento della custodia cautelare in carcere, che si debba iniziare a parlare di separazione delle carriere e di CSM.
Ma non così.
Pensare di riformare la giustizia mediante referendum o di “mettere fretta al parlamento destabilizzando il sistema” – frase più volte utilizzata dai fautori del sì- è un qualcosa di tragico e comico allo stesso tempo.
Il parlamento, specialmente questo, ha dimostrato a più riprese di non sentire le istanze che arrivano dalla “piazza”. Nei primi due anni di questa legislatura è stato, di fatto, il parlamento che ha lavorato meno ed ha prodotto il minor numero di testi legislativi rispetto a qualsiasi altro nella storia repubblicana. Di che parliamo?
Inoltre se l’art 75 della Costituzione esclude l’utilizzo dello strumento referendario per alcune tematiche (leggi di bilancio e tributarie e ratifiche di trattati internazionali) perché una questione come la giustizia può essere così tranquillamente “lasciata perdere” dai parlamentari riversando la responsabilità sul popolo? E attenzione con questa sezione dell’articolo non intendo in alcun modo sottintendere la narrativa tossica del “popolo troppo ignorante per capire e decidere” quanto più rivendicare la centralità del parlamento e dell’esercizio della funzione di intermediario con le classi sociali dei vari partiti.
La democrazia diretta non è il mio sistema ideale. Che il parlamento, questo o il prossimo, legiferi! Che attui le giuste riforme, che si riunisca per definire il percorso per correggere le storture di un sistema di giustizia spesso trattato dalla politica stessa come un proprio giocattolo.
Insomma, in definitiva, non andare a votare stavolta era una scelta, il parlamento dimostri di avere coraggio e competenza nel riformare un’area di primario interesse come la giustizia. Non si può continuare con l’insostenibile ritmo di un referendum all’anno che sia giunta l’ora di rinnovare l’idea di sistema politico?
MATTEO VECCHI