HO RISCHIATO DI NON ESSERE QUI, ORA.

di MARINA MARUCCI

Ho rischiato  di non essere qui e tuttora sto sfidando la sorte ma è quello che sta  succedendo  alla  mia generazione: i sopravvissuti  del 1955, nati  dieci anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, all’inizio  del boom economico in Italia.

Nell’ottobre del 1962 il mondo era sull’orlo di un conflitto  mondiale  per le “incomprensioni “ dovute all’istallazione, da parte dei Sovietici, di rampe di lancio di missili a testata nucleare  nell’isola di Cuba,  situati troppo vicini alla “sensibilità” Statunitense. Oggi, aprile 2022, con le bombe atomiche  cresciute come funghi e disseminate in varie parti del globo,  siamo  in una situazione simile, determinata “dall’operazione militare” in Ucraina, da parte  Russa, che non sappiamo come andrà a finire.

Per fortuna all’inizio degli anni 60 ero una bambina e non mi resi  conto che avremmo potuto morire tutti! Sì, l’intera umanità. Continuavo a giocare nella mia nuova casa, in affitto non in  proprietà, che i miei genitori e nonni aveva scelto.  Avevamo traslocato  da Trastevere,  popoloso quartiere  di Roma che in  quegli anni era  in  via di ristrutturazione, di svendita direi, oggi riservato soprattutto ai più abbienti. Ci eravamo trasferiti  in una  nuova zona in costruzione, Viale Marconi, vicino al fiume. Mia madre era  felicissima perché credeva nel progresso, nel modernismo, lei che aveva sempre vissuto in quel quartiere oltre il Tevere che riteneva brutto e fatiscente, forse  perché  le rammentava i bombardamenti  trascorsi nei rifugi e nei ricoveri rabberciati tra piazza Mastai e  Piazza San Cosimato. Averlo oggi un alloggio di proprietà in quei vicoli!

 Mi ricordo che non mi era permesso  uscire per  scendere in strada, troppe macchine; non c’era un cortile sicuro dove giocare e la sera  le vie erano vuote e solitarie, al contrario del giorno,  quando venivano animate  dai rumori degli operai  che lavoravano nei  cantieri,   nei palazzi di dieci piani, nei  negozi  e nei  magazzini in costruzione. Insomma a sei anni vivevo “protetta” in  un appartamento che  dividevo con i miei famigliari, sei persone,  un bagno, tre stanze ed una cucina: però era tutto moderno! Mi sembra di risentire la canzone di  Giorgio Gaber: “Come è bella la città”.

 Sono cresciuta ed ho lavorato a pieno ritmo negli anni dello sviluppo economico, quello che ha fatto diventare l’Italia una  delle otto potenze mondiali. Quando sono diventata più grande e forse più incosciente  non mi sfiorò mai  l’idea di una possibile guerra nel nostro continente, anche se quella cosiddetta ”fredda” era sempre presente: l’equilibrio del terrore ci aveva preservati dalla catastrofe? Forse, ma su questo ho  una mia personale teoria: coloro che avevano vissuto il secondo conflitto bellico  e la ricostruzione  del proprio paese  dagli anni ‘50 fino agli anni ‘70, così come è avvenuto in Italia, erano ben consapevoli  di quello che  si erano lasciati alle spalle e  non avrebbero voluto  riviverlo, né riproporlo alle future generazioni. Soprattutto questo sentimento collettivo è diventato un  deterrente ed ha fatto si  che lambisse le decisioni dei nostri governanti in Europa, anche se nel mondo le guerre territoriali hanno continuato ad imperversare. Dopo la disgregazione dell’impero Sovietico ,  tra gli anni ‘90 e l’inizio del  ventunesimo secolo, l’idea di  globalizzazione economica e oserei dire culturale, ha dominato il mondo, annunciando  una svolta epocale: il dislivello economico delle nazioni e degli  individui sarebbe migliorato attraverso la  ridistribuzione della ricchezza a livello planetario e questo avrebbe evitato ogni tipo di conflitto.

E’ l’idea stessa del conflitto  che rifiuto! La possibilità  di poter districare ogni tipo di rivendicazione attraverso il confronto, la diplomazia, la parola ed  anche il  compromesso o quello che ora  molti chiamano “cedimento”, fa parte ormai del mio DNA.

Qualcuno spiega che l’errore  soprattutto degli europei è stato quello di non aver creduto  che la Russia potesse  invadere l’Ucraina, anche se i segnali negli ultimi mesi erano ormai evidenti. E’ proprio questa incapacità di capire  e prevedere le mosse e le strategie degli altri, così diversi dalla nostra cultura, che noi, portatori di valori di democrazia e libertà, non riusciamo a vedere, né a condividere.  Si preferisce rimandare le giuste rivendicazioni   per la difesa e la salvaguardia dei  diritti umani ; dimenticare la persecuzione e l’uccisione di giornalisti oppositori,  come è avvenuto in Russia ed in Turchia, oggi diventata  mediatore di pace; chiudere un occhio sulla Polonia che ha alzato un bel muro di filo spinato per i profughi  provenienti dal Medio Oriente; per non parlare del Presidente  Orban, riconfermato  proprio in questi giorni in Ungheria, (alla faccia della fine dei populismi), tralasciando  le vite perse nel Mediterraneo, affogate per disinteresse o per  le liti dovute all’assegnazione delle quote di migranti nei paesi d’ Europa. Allora una domanda mi sorge spontanea:  fino a che punto  noi  europei, occidentali,  siamo disposti a mettere in discussione il nostro tenore di vita  mentre continuiamo ad indignarci  di fronte  ai massacri perpetrati in questa guerra, come nelle altre  guerre, forse  dimenticate, quali la Serbia,  la Siria,  l’Iraq, l’ Afghanistan,  lo Yemen?

Purtroppo  poco è cambiato nell’animo umano, sempre le stesse barbarie,  la stessa violenza,  gli stessi rancori e come donna sono molto preoccupata. Vedere soltanto uomini in quei finti incontri discutere di finta pace; assistere a convegni sul disarmo dove soltanto loro decidono, conferma la mia ipotesi: troppo testosterone monopolizza le scelte delle cancellerie del mondo, dei segretari di stato e dei presidenti di potenze atomiche.

C’è un’alternativa? Non saprei ma quello che ho imparato è che in linea di principio le guerre non nascono dall’impazzimento di un solo  leader, ma dalla  sua  volontà di potenza e di potere condivisa dal suo popolo, complice e consenziente, come accadde con  Hitler, arrivato alla Cancelleria  nel 1933, votato a maggioranza, in una libera elezione democratica nella Germania afflitta da una gravi crisi economica, durante la  Repubblica di Weimar.  Parallelismi della storia.

MARINA MARUCCI