Almanacco civitavecchiese di Enrico Ciancarini – “Levateci l’acqua”. L’arditezza delle donne civitavecchiesi nello sciopero del 1897.

di ENRICO CIANCARINI

Centoventicinque anni fa lo storico sciopero dei facchini del porto di Civitavecchia.

Oh, se avessero nelle vene un po’ di quel sangue che scorre invece in quelle delle loro donne, piene di vigoria, di dignità, di fierezza! Che contrasto invece!!”

Una frase apparsa sull’Avanti! del 2 giugno 1897, in terza pagina, nella cronaca che annuncia l’inaugurazione della sede della neocostituita Cooperativa fra i Lavoratori del Porto, l’orgoglioso frutto dello sciopero ad oltranza che i facchini del porto hanno iniziato il 18 gennaio e terminato il 5 febbraio con la superba vittoria sugli spedizionieri.

L’articolista del quotidiano socialista nell’articolo critica duramente il presidente della Cooperativa, il capitano Di Lietri, dimostratosi troppo accondiscendente verso le autorità, “mellifluo e timorato … addirittura un fratellone”! Forse, fra le righe, il cronista allude all’intervento della massoneria nella soluzione della crisi ma certamente chi scrive rivendica con forza e chiarezza l’importanza del solido appoggio che i socialisti hanno assicurato ai lavoratori durante lo sciopero inviando da Roma i loro migliori dirigenti, Andrea Costa in testa, per affiancarli nelle complesse e tormentate trattative e lanciando sull’Avanti! una generosa sottoscrizione nazionale a favore delle famiglie civitavecchiesi in difficoltà. Non ha remore ad attaccare gli operai del porto colpevoli di non volere aprire gli occhi davanti all’evidenza dei fatti, preavviso del ritorno al precedente strapotere degli spedizionieri sconfitti a febbraio ma che hanno trovato nel debole presidente un apprezzato complice (per questo lui subirà il silenzio della damnatio memorie) che gli facilita le cose per tornare all’antico sfruttamento dei lavoratori.

Li schernisce additandoli come “sempre pecore”, mettendoli a confronto con le loro donne che ardisce definire vigorose, dignitose, fiere. Sono loro le vere trionfatrici dello sciopero iniziato il 18 gennaio. Ne troviamo ampio riscontro nelle cronache quotidiane che pubblica l’Avanti! nella narrazione dello sciopero civitavecchiese che offre ai suoi lettori. Alcune cronache sono redatte da Giuseppe Alocci, consigliere comunale e segretario del Circolo Carlo Marx, che per questo è colpito da un ingiustificato mandato di cattura.

In quei mesi del 1897 tutti i giornali italiani si occupano dello sciopero di Civitavecchia. Sono anni inquieti che vedono i lavoratori lottare per conquistare migliori salari e maggiori libertà ma la repressione del governo è spietata. Solo una settimana prima del 18 gennaio, la polizia su ordine del prefetto di Roma ha disposto lo scioglimento delle sezioni socialiste della provincia compresa quella di Civitavecchia e analogo provvedimento ha colpito il Circolo Carlo Marx dove si è provveduto alla chiusura e al sequestro di quanto conteneva la sede: opuscoli, giornali, foto, quadri e la cassa sociale.

La prima notizia dello sciopero appare sull’edizione del 21 gennaio del giornale socialista. Subito è marcata la forte presenza delle donne al fianco dei loro mariti e fratelli in lotta:

Allora le donne scesero in massa nel porto incoraggiando i mariti ed i fratelli ad abbandonare il lavoro … Una donna minacciata d’arresto rispose: Non me ne importa, almeno in carcere mangierò; fuori invece muoio di fame”.

Alla prima riunione organizzata dagli scioperanti nella vecchia chiesa dei gesuiti “vi erano parecchie donne” che prendono parte attiva all’assemblea.

Alla fine dell’articolo è pubblicata una “agenzia” della Stefani datata Civitavecchia 20 gennaio che informa che “stamane poi le donne di molti scioperanti fecero una dimostrazione, impedendo di lavorare a quei pochi facchini rimasti a bordo del vapore inglese Boyne, carico di ghisa. Dovette intervenire un drappello di carabinieri per scioglierle. Anche i pochi facchini che ancora lavoravano hanno smesso il lavoro”.

Le testimonianze del ruolo attivo che le donne hanno assunto nello sciopero, si ripetono quasi  ogni giorno.

Il numero del 21 gennaio registra che “Lo sciopero continua calmo e dignitoso; le donne credendo che questa mane alcuni riprendessero il lavoro, erano al loro posto di avviso, dandosi a turno il cambio per guardare la cittadella”. Controllano lo scalo, vogliono impedire ai crumiri di lavorare.

Uno sciopero ad oltranza ha un costo sociale ed economico elevato, bisogna tenere uniti e solidali gli scioperanti e bisogna trovare e spendere il molto denaro necessario a sostenere le tante famiglie degli operai in agitazione. Ruolo che svolgono splendidamente le donne civitavecchiesi.

Ci si organizza e quindi “circola per la città una sottoscrizione a favore degli scioperanti”. È un’attività vitale per i lavoratori e allora subito si scatena la reazione della polizia che “sequestrò la cassetta coi denari della apertasi sottoscrizione, portando in ufficio di pubblica sicurezza coloro a cui la sottoscrizione era affidata. Tra costoro vi erano 3 donne. Poco dopo furono rilasciati, tenendosi però in ostaggio la cassetta che poteva servire oggi a sfamare diverse famiglie”. La polizia teme la capacità organizzativa e sussidiaria delle donne nelle vicende drammatiche della vita e punta a fiaccare la loro resistenza morale e fisica. Se le piega, si spezza il fronte del Porto!

All’illegale prepotenza sbirresca risponde a piè fermo l’Avanti! che il 25 gennaio apre una sottoscrizione nazionale a favore dei facchini civitavecchiesi in lotta. Il primo che aderisce è il direttore del giornale, Leonida Bissolati, che versa 5 lire. La prima raccolta registra un totale di 23 lire che sono spedite all’amico Alocci “per trasmetterle al comitato dello sciopero”. Alla fine dello sciopero saranno state raccolte L. 790,60 di cui 650 inviate a Civitavecchia, le restanti utilizzate a favore di altri scioperanti, fra cui i portuali di Amburgo usciti sconfitti dalla loro lotta.

Tutta la città si schiera a fianco dei facchini. Il 26 gennaio “un filantropo si rese garante presso un fornaio per trecento lire. Fu incominciata quindi la distribuzione di buoni per pane che saranno pagati quando sarà ripreso il lavoro. Gli scioperanti fanno appello a tutti gli amici della loro causa per pronti soccorsi”. Due giorni dopo è annunciato che “I soccorsi vengono da ogni classe di cittadini. Gli operai fornai questa mattina inviarono al Comitato dello sciopero due cestoni di pane”. Il 29 gennaio “Lo sciopero continua come continuano le offerte. Alcuni pescatori hanno offerto questa mane tre ceste di pesce per gli scioperanti”.

Sia permesso a chi scrive di abusare della similitudine evangelica della moltiplicazione dei pani e dei pesci ma sono questi i segni di solidarietà e generosità a sostenere i facchini nella vitale lotta per un giusto lavoro e una equa paga. Hanno bisogno anche di pane e pesce per vincere il duro scontro con gli spedizionieri che non vogliono concedere nessun aumento di salario.

Il 3 febbraio l’Avanti! di Leonida Bissolati pubblica in prima pagina, prima colonna a sinistra, nello spazio riservato agli editoriali più battaglieri del giornale, l’articolo intitolato “Levateci l’acqua!”:

È il grido disperato riboccante di dolorosa ironia delle donne di Civitavecchia, è la frase scultoria e caratteristica dello sciopero e ne è insieme la sintesi vigorosa e precisa.

È la verità. Agli scioperanti di Civitavecchia rimangono l’acqua e l’aria; e nulla più. I fornai davano il pane; la polizia si oppone, minacciando i bottegai, affamando i lavoratori.

E che bellezza di sciopero! Quanta fierezza nella resistenza di quei lavoratori e quanta forza nella loro calma! Noi li abbiamo visti pallidi per fame non per timore, uniti affratellati, buoni e coraggiosi, rimanere fermi nei loro propositi, non turbati dall’arresto dei compagni migliori; li abbiamo uditi rifiutare con energia indomata le oltraggiose poverissime proposte dei padroni.

E li sorregge nell’aspra battaglia la benevolenza dei cittadini, la parola solidale dei socialisti e più ancora l’affetto e l’arditezza delle loro donne …

Levateci l’acqua! – gridano le donne. Vecchie, spose e fanciulle, si stringono in capannelli, si disperdono, si ricompongono, e a una parola d’ordine, a un cenno, a un semplice ammiccare, si uniscono tutte in lungo corteo, allontanano gli uomini per non dare pretesto alla violenza della sbirraglia, e muovono per le vie; davanti al palazzo comunale, a manifestare i loro sentimenti, a difendere i loro diritti.

Pare una scena di Germinal di Emilio Zola; ma è resa in forme più moderne e più civili. Il momento drammatico di questa è nel grido che erompe da cento e cento petti di donne – Levateci l’acqua! – In Germinal, una ragazza, staccandosi dalla folla, si porta innanzi ai soldati schierati contro gli scioperanti e, voltate ad essi le spalle, fa un profondo inchino, scoprendosi il deretano.

Per i brutti musi dei birri italiani la cosa sarebbe anche troppo pulita”.

Il 3 febbraio è annunciato l’arrivo di Andrea Costa, il deputato socialista e massone che convincerà gli spedizionieri a capitolare accettando parzialmente le richieste dei facchini a certe condizioni. La popolazione lo accoglie con sincero entusiasmo. Il 5 febbraio il giornale segnale che “l’onorevole Costa è stato fatto segno alle più calde manifestazioni di affetto e di stima da questa popolazione in tutte le ore qui passate. Le donne, al suo arrivo, gli sono andate incontro circondandolo e applaudendolo. Il grido che echeggia era: Viva il deputato socialista, viva l’amico dell’operaio, abbasso il deputato dei galeotti!” Quest’ultimo è Tommaso Tittoni, deputato del collegio di Civitavecchia, che sostiene gli spedizionieri, alcuni di essi hanno addirittura chiesto al Governo l’impiego dei condannati del Bagno penale per sostituire gli scioperanti al lavoro sulle banchine.

Il 5 febbraio i facchini del porto conquistano la vittoria. L’accordo prevede la costituzione della Cooperativa dei Lavoratori del Porto, l’unica autorizzata a trattare con gli imprenditori portuali; l’aumento considerevole delle tariffe di scarico.

La vittoria è anche e soprattutto merito della caparbietà nella lotta delle donne, che sono presenti ovunque e combattono con tenacia a fianco dei loro uomini. Il loro supporto, le loro iniziative, il loro sacrificio sono le armi fondamentali e decisive per sconfiggere l’ostinata e prevaricatrice resistenza dei padroni. Il loro luogo d’incontro e discussione è il fontanone del Ghetto.

Vi si incontrano Maria Panico detta “Caracara”, Angelica Ricci, Artemisia Vignati, Caterina Regina, Nunziatina De Somma ed Altavilla Fraticelli per ricordarne solo alcune.

Non hanno un monumento a loro dedicato e nessuna di loro è ricordata dalla toponomastica cittadina.

La scrittrice Dacia Maraini, nel 1980, realizzò con un gruppo di donne civitavecchiesi un laboratorio teatrale e uno spettacolo itinerante per le piazze della città sulla condizione femminile negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento, utilizzando la memoria orale e quanto scritto a riguardo. Anche la partecipazione delle donne allo sciopero del 1897 fu ricordato e teatralizzato.

Per approfondire le vicende dello sciopero del 1897 e della nascita della Cooperativa dei Lavoratori del Porto, vi invito a leggere Remo Mazzei, La Compagnia portuale di Civitavecchia, 1964; Fabrizio Barbaranelli e Claudio Galiani, 1897 Cronaca di uno sciopero, 1983, 1997; Francesco Serangeli e Silvio Serangeli (Fronte del Porto, 2006).