Les salonnières e i loro spazi, timoniere di cultura
di CATERINA VALCHERA ♦
Un recente contributo del nostro blog parlava di una donna e del suo salotto tardo-settecentesco, un fenomeno che nella seconda metà di quel secolo si andò affermando- in alternativa all’Accademia, ai caffè, alle logge massoniche, ai club- come nuovo luogo di produzione e promozione della cultura, di incontro e scambio. Una moda recentemente tornata di gran moda, mi risulta, non solo qui a Roma, ma anche in provincia. Una mia cara compagna di scuola mi racconta che nella sua Tarquinia è piuttosto frequente che ci si ritrovi nel salotto di una signora a discettare di letteratura, a leggere coralmente e commentare parti di un libro, a conversare con amabilità su argomenti di varia natura che suscitino l’interesse dei presenti. Il salotto contemporaneo mi pare però tutto sommato rispondere/corrispondere a un’esigenza di esposizione mondana, al bisogno di esercitare una leadership all’interno di una comunità socialmente ed economicamente omogenea, di offrire un’alternativa ai luoghi normalmente deputati all’aggregazione, all’incontro, al dibattito ( teatri, librerie, sale per concerti, sedi di associazioni di quartiere, biblioteche, cinema etc..).Scorre ormai da tempo nelle nostre vene la linfa di un nuovo piacere: il godimento privato dell’espressione, l’interazione spesso facile e fuggevole, la ricerca del calembour da consegnare rapidamente alla rete perché contribuisca alla rincorsa all’ultima parola da pronunciare sui social. Tutte istanze prepotentemente amplificate dalla separatezza che la pandemia ha imposto ai corpi e dall’anonimato che la mascherina ha regalato ai volti, togliendo loro l’espressione vera che non è negli occhi, come solitamente si pensa, ma proprio nella parte inferiore del viso, nel naso, nella bocca, nella chiostra dei denti, nell’assetto delle mandibole. Con le museruole sul viso siamo, in realtà, irriconoscibili e stranamente gli occhi non sono “ridenti e fuggitivi”, ma penosamente indistinguibili. Allora diventa sempre più cogente la voglia di distinguersi, di lanciarsi in qualche intrapresa culturale, di organizzare nuove ritualità sociali, di farsi apprezzare dagli altri per capacità di iniziativa. Il salotto di oggi è, come nel passato, uno spazio di aggregazione e la salonnière attuale, borghese come la sua antenata sette-ottocentesca, vuole diventare nel suo spazio privato una timoniera, una architetta di disegni culturali, di progetti intellettuali di cui si parli in giro, soprattutto in una città come Roma che, pur avendo le dimensioni di una metropoli, mantiene i caratteri fondamentali del villaggio, specie sul piano delle notizie, delle cronache, del passa-parola. Il salotto Tra Sette e Ottocento era davvero zona di scambio di idee, di informazione e di integrazione sociale e andò ben presto oltre la ritualità mondana e salottiera, svolgendo anche una funzione di formazione e di mediazione tra artista /intellettuale e le classi sociali colte con cui questi veniva in contatto. Senza il sostegno di Aurore Dupin ( meglio conosciuta come George Sand), senza la sua casa di Nohant, che divenne il suo trampolino di lancio, il polacco Chopin avrebbe faticato non poco ad imporsi al pubblico parigino. A differenza di altre salonnières dell’Ottocento (ugualmente importanti anche per la nostra storia risorgimentale, come la milanese Clara Maffei o la torinese Olimpia Rossi Savio) , la ribelle e anticonformista George Sand , di estrazione per metà borghese e metà nobile, in conformità con la sua doppia anima di democratica e di castellana, esercitò la filantropia a vari livelli, “sponsorizzando”, nell’ambito delle varie arti, chiunque le apparisse meritevole di protezione e sostegno. Probabilmente pensando a lei e al suo salotto, Flaubert fa dire al protagonista de L’educazione sentimentale che “certi salotti parigini erano come quelle macchine che prendono la materia allo stato grezzo e la trasformano centuplicandone il valore”. Troppo mutevole e troppo ribelle per essere considerata al pari delle altre salonnières, Aurore ne condivise però la sensibilità letteraria, musicale, la libertà di rapporti extraconiugali, l’apertura mentale e la funzione davvero aggregativa. Il suo salotto, come quello delle altre, era in tutto e per tutto una microsocietà che organizzava cultura nello spazio domestico. Un ambiente governato da donne, anche se frequentato soprattutto da uomini: donne privilegiate rispetto alla norma,perché potevano contare su un patrimonio personale da gestire liberamente e con liberalità e perché avevano al proprio attivo un percorso di educazione e di formazione eccezionale rispetto alle altre. E le salonnières di oggi? Rione Coppedé, Parioli, Zona Trieste… In comune con le loro ave troviamo l’ambiente socio-economico alto-borghese, la sensibilità e la curiosità per la cultura, la spinta alla socievolezza. Mancano totalmente i tratti di filantropia e sostegno economico ad artisti, letterati, poeti giovani in cerca di una platea che le piccole case editrici non possono garantire; assente, almeno nella forma, il profilo di spregiudicatezza in relazione ai comportamenti morali e sessuali. Più che forme alte del vivere civile, quelle attuali sembrano reviviscenze scolorite e decontestualizzate di vecchi riti e le loro promotrici, sciure annoiate e generalmente poco carismatiche in cerca di visibilità e in vena di mondanità. Qualche volta, qualche rara felice volta, nei loro bei salotti passa un brivido di cultura…
CATERINA VALCHERA
Riflessione stimolante che fa giustizia di troppi luoghi comuni: chiacchiere da salotto, rivoluzionari del salotto e via denigrando… Restituiamo ai salotti e alla loro gloriosa storia la dignità negata!
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Dimentica Caterina. Affida la tua anima alla nostalgia. Il passato puoi leggerlo, immaginarlo, ascoltarlo dall’erudito.
Mai più viverlo!!
Condizioni essenziali di ciò che fu?
In primo luogo libertà nell’incontro, spontaneità, non l’apparire ma il vivere.
In secondo luogo affinità elettive, contiguità culturale.
In terzo luogo purezza del fine che deve essere manifesto senza frini nascosti.
In quarto luogo democrazia dei presenti: ognuno è fonte di scoperta. Assenza di sopraffazione,
E’ un pò ciò che tento di dire quando parlo di Margherita: il Papa non è “salottiero”. Egli vuole potere, deve emergere. Impossibile pensare al “salotto”:
Che cosa fu il passato modulato attraverso i citati parametri?
Un tempo fu il tiaso che da origini dionisiache sfociò nel sublime cenacolo di Saffo(Sii tu mia alleata, Afrodite!).E,poi l’eteria che aveva nel simposio il punto più alto.
Il cenacolo agapico dei primi cristiani, I cenacoli catari e lo sviluppo della cultura”cortese”, I simposi fiorentini , le prime Logge, i rosacrociani,i circoli illumistici, i salotti settecenteschi e ottocenteschi. i circoli marxiani, i caffè letterari.
Hai colto nel segno, Caterina,oggi necessita emergere e le riunioni sono spesso impregnate di invidia. Non si ascolta l’altro, lo si deve annientare. E’ la tua voce che deve riempire la stanza.
Se qualcuno dici cose giuste e profonde io devo ignorarle, facendo finta che non abbia inteso.
E’ la grande rivincita della mediocrità.
Il rumore deve coprire l’ascolto. La banalità deve essere il fine. No debbo io superarmi.ed andare oltre. Sei tu che devi abbassarti. Blatera quanto vuoi io non ti ascolto. Vince chi ha più seguito. Io pesco nel torbido e cavo fuori più pesci, tanti pesci: io sono il vincitore e non importa che quei pesci siano di bassa qualità( l’etica del follower)
La democraticità dovrebbe essere la base salottiera: tutto si dovrebbe fare pur di rendere pari i presenti. Ogni uomo ha pari dignità e lo sforzo dovrebbe essere quello socratico di far emergere in ciascuno quel tesoro che ha in fondo all’anima. Altro che “aristocrazia intellettuale”.
La vera democrazia è solo questa! Un paese, una comunità, un cenacolo, un club, un blog dovrebbe avere come preciso fine una parità dei membri. Parità mirata verso l’alto non il contrario.
I titoli di studio possono anche essere una condizione necessaria ma non potranno mai essere condizione sufficiente.( il Menone insegna!!)
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Bello. Maria Fulvia Bertocchi ne sarebbe felice.
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Mia madre a cavallo tra gli anni sessanta e settanta teneva a Palermo in casa nostra uno di questi salotti letterari abbastanza noto, frequentato dal gruppo 63 e da giovani artisti squattrinati; io adolescente inquieta mi sono formata in quelle lunghe e spesso inutili discussioni spesso divertenti che ascoltavo il più delle volte a distanza dalla mia camera; in quel contesto mia madre costringeva mio padre a seguirlo a vedere Bergman o Antonioni al cinema o Bussotti e Nono al teatro Biondo o al Massimo e a leggere Proust: un giorno mio padre prese il libro e lo gettò in aria esclamando: sono 100 pagine che si devono bere sto tè
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Condivido ogni tua parola!!! Così deve essere e così sarà tra noi.. ♥️
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Sento questo spirito che aleggia tra di noi, attraverso la comune costruzione del blog ed anche chi non scrive sappia che per me il silenzio è la prima Virtù.
E tu, Caterina, sei proprio anticonformista nel pensiero come George Sand.
Cosa sono oggi gli incontri e i salotti? Un concentrato di conformismo legato ad un rito che non ha più nulla del significato proprio. Altri contesti, altri fini che tu ironicamente hai definito: l’esposizione mondana ed il “selfie” da consegnare ai social.
E allora sai cosa dico con il mio animus e la mia anima?
Che adoro i salotti libertini, con le amicizie pericolose di cui parla Laclos, dove avrei potuto parlare con il barone d’Holbach e farmi convincere da Lammetrie riguardo all’Homme
machine.
Ma la mia anima mi porta ad un Salotto di Londra, dove i legami personali e l’intelletto si congiungono, a quelle serate di inizio Novecento degli “spiriti” liberi, il Bloomsbury
Group.
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Da quanto scritto da Caterina e dai commenti emerge un gran bisogno di castiglionesca sprezzatura, dote ahimé rara fra gli intellettuali moderni troppo impegnati in simulazioni di guerra.
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