“SALUTI & BACI” di Silvio Serangeli – 11. Ferry-boat
di SILVIO SERANGELI ♦
Con i “Battelli” ho chiuso bottega. Basta aste, ricerche e acquisti di immagini e documenti. Do una sbirciata ancora su Ebay, Del Campe e altri siti per curiosità, e sfoglio i cataloghi che mi vengono regolarmente inviati per posta. Ho già dato, e ottenuto. Va bene così. Tuttavia mi capita che qualche vecchio scudiero, di quelli che mi fornivano le dritte giuste, mi sottoponevano materiali invitanti, si faccia ancora vivo. E’ i caso del carissimo amico Pino, da sempre impegnato nella ricerca e nella collezione di tutto quello che riguarda Cv, la storia dei suoi rimorchiatori e della sua marineria di cui sta buttando giù un lavoro non facile, e da diverso tempo. Qualche giorno fa mi ha proposto l’acquisto in società di alcune nitide foto in bianco e nero che riguardano gli esordi dei traghetti delle FS a Cv.. Gli ho lasciato campo libero anche perché sarebbe stato un esercizio della memoria poco o punto gratificante. A vedere quelle immagini ho provato la stessa sensazione di chi ha frequentato i saloni e i giardini di un prestigioso palazzo e vi ritorna quando tutto è stato abbandonato: le pareti scrostate, i pavimenti saltati, calcinacci ragnatele e qualche topo, e un inestricabile roveto al posto dei rosai e delle siepi. I traghetti Fs, la Tirrenia? Tutto finito, svanito e cancellato anche nelle strutture. Riconversione industriale, cambiamento dei mercato, degli usi e dei costumi? È andata come doveva andare. Così mi vengono da spedire le tante cartoline a colori dei “Saluti da CV” che immancabilmente recano in primo piano la foto dei traghetti FS e Tirrenia.
Quella era Cv e quella era la frenesia che viveva il suo scalo. Oddio, come è tradizione nella nostra storia locale, non è che andò tutto liscio come l’olio. Anche l’avventura dei traghetti segnò significative zone d’ombra. Intanto l’annuncio dell’entrata in linea a metà agosto del 1961 dei due “Ferry boats” FS non suscitò un grande entusiasmo in città e, soprattutto, nell’ambito portuale. Come si legge nei numerosi articoli dei giornali locali, in fondo si trattava di un’operazione che andava a tutto vantaggio dell’economia sarda. Una scelta politica che solo nel primo anno di gestione prevedeva una perdita di ottocento milioni. In questo quadro la trasformazione radicale dei vecchi sistemi di trasporto rischiava di mettere in ginocchio i lavoratori dello scalo. Qui le merci arriveranno e transiteranno già sui carri ferroviari, e non ci sarà più il vecchio passamano. E che dire della concorrenza dei prezzi politici del nuovo servizio a tutto svantaggio della Tirrenia? Come si vedrà gli aggiustamenti in corso d’opera, le attività che faranno da corona al nuovo servizio sempre in crescente espansione, raddrizzeranno la barra del pessimismo. Certo, e qui c’è l’altro punto debole della scommessa, le strutture dello scalo sono inadeguate. Come giustificare la presenza delle nuove navi a stretto contatto con le petroliere? Si farà, se si farà finalmente, una darsena petroli? Una campagna d’opinione dei più larghi settori cittadini con la stampa in testa mette sotto accusa l’ingombrante e ormai insostenibile presenza del rudere del Lazzaretto. Intanto procedono i lavori per la Stazione dei Traghetti, come ricorda “Il Messaggero” appaltati dall’Impresa Romana Erasmo Coccioloni. «Il binario ferroviario, raccordato al piazzale di manovra è già a pochi metri dal ponte d’imbarco attraverso il quale i carri ferroviari saliranno a bordo. Per l’imbarco degli automezzi, invece, è previsto un passaggio laterale a livello del ponte, attraverso il quale gli stessi entreranno sul Ferry- Boat». Siamo nella primavera del 1961, chi segue i lavori da spettatore si rende conto della strettoie dell’opera e dell’ottovolante che dovranno scalare le auto. Ma di più non si può. Tutto è pronto. Alla vigilia del viaggio inaugurale del “Tyrsus”, previsto per il 1° ottobre, il cronista de “Il Massaggero” è entusiasta di questa piccola nave da crociera che potrà trasportare circa ottatantaquattro vetture: «…il traghetto presenta il massimo confort. Abbiamo visto saloni da pranzo e da soggiorno arredati con gusto in stile moderno, cabine con servizi igienici annessi, una moderna cucina, sale di soggiorno per passeggeri al seguito delle autovetture. (…) Non mancano gli impianti di aria condizionata, i bar e quanto altro possa rendere comoda e agevole la traversata (…) limitata a sette ore. (…) L’equipaggio di questo traghetto si compone per ora di 75 uomini, di cui cinque ufficiali, ma quando sarà in servizio a questo personale si aggiungerà quello di “camera” per il servizio passeggeri» [Il Messaggero, 14 settembre 1961]. Domenica 1° ottobre alle 9,30 il “Tyrsus” salpa dal porto di Cv per il viaggio inaugurale. Un evento con la presenza del ministro degli esteri, e futuro capo dello stato, Antonio Segni che taglia il nastro tricolore, il ministro Spataro e numerosi parlamentari, il presidente della Regione Sardegna Corrias. Il vescovo Bianconi invoca la benedizione divina. È quella che ci vuole, perché già nel pezzo della sua visita il cronista de “Il Messaggero” aveva colto non poche perplessità dell’equipaggio per l’ostacolo rappresentato dal rudere del Lazzaretto.
E, puntualmente, che succede? Succede che il traghetto, fresco di cantiere, incappa nel primo incidente «facile da pervedere» come sottolinea sempre “Il Messaggero”. Ha rischiato di finire sugli scogli del Lazzaretto e «grazie al pronto intervento dei rimorchiatori “Laziale” e “Felicitas”, dopo oltre un’ora di non facile e rischiosa manovra il “ferry boat”, è riuscito ad ormeggiarsi finalmente nella invasature». Il problema rimane e, dopo qualche giorno, come riporta sempre “Il Messaggero” «La nave traghetto “Tyrsus” urta sugli scogli del Lazzaretto. L’elica di sinistra si è ridotta in pezzi. La nave dovrà entrare in bacino. È previsto un lungo periodo di sospensione del servizio». Si moltiplicano gli appelli per la demolizione di quello che è un rudere cadente, ridotto ad un immondezzaio. Il giornale lancia una campagna perché venga tolto di mezzo questo pericoloso ostacolo: «La demolizione dell’inutile Molo Lazzaretto è divenuta ormai un’improrogabile necessità». Va all’attacco Rinaldo Pan, il notista di punta:« Basterebbe una carica di dinamite per far saltare il “Lazzaretto” (…) uno sconcio che deve essere eliminato». [“Il Messaggero”, 30 agosto, 1960]. Si moltiplicano le interpellanze parlamentari. Anche il dottor Toti nel corso di un animato dibattito al Circolo Calamatta alla fine ammette che «il Lazzeretto debba essere demolito per il bene di Civitavecchia». Vaglielo a dire alla granitica Sovrintendenza! Un muro di gomma: il rudere sta bene lì, acqua in bocca per il costoso restauro, che non si farà: storie vecchie e nuove di coccetti, di ruderi, di nidi di fringuelli canterini che bloccato autostrade, superstrade, linee ferroviarie, metropolitane. Per fortuna che c’è il secondo traghetto, l’“Hermaea”, allestito in tempo di record e pronto a rimpiazzare il “Tyrsus”. Riprendono regolarmente i viaggi in coppia con un successo per certi versi inaspettato: 20 mila carri merci e altrettante autovetture, 50 mila passeggeri. I due traghetti non bastano, il 12 agosto 1965 entra in servizio il “Gennargentu”, il 16 aprile 1969 il “Gallura”. Si arriva a trasportare 59 mila carri, la crescente richiesta per le autovetture fa dirottare da Messina il “San Francesco di Paola” e poi il “Villa”. Vengono dopo il “Garibaldi” e il “Logudoro”. È qui la festa! C’è il treno sardo preso d’assalto con i facchini che trasportano sui carri i bagagli della marea di viaggiatori, c’è la collina di zaini con intorno i soldati di leva in patenza, e c’è Vincenzino il venditore di giornali che rende più allegra l’atmosfera con il suo pacco di quotidiani sotto braccio, dalle prime luci dell’alba dietro ai viaggiatori che scendono dai postali o si sporgono dai finestrini del Sardo: «Giornali! Giornali! Eccome quà». E poi, a ridosso dell’imbarco, il mondo multicolore delle automobili con roulotte e, magari, delle utilitarie con il porta pacchi stipato per le vacanze, e i saccopelisti capelloni. «Tutti ar mare a mostrà le chiappe chiare, co li pesci n’ mezzo all’onne, noi s’annamo a divertì» cantava Gabriella Ferri. È l’Eldorado, il mare delle coste sarde, delle acque limpide della Costa Smeralda e giùgiù fino a Cagliari. FS, e la Tirrenia che si adegua con la trasformazione di alcune sue navi: le navi incinte, come le chiamava Angioletto Pepe. È grande festa, il porto è l’ombelico del mondo vacanziero, un circo di emozioni, di gente che viene e che va, che bivacca, s’incolonna persino lungo il Viale. “Il Messaggero” dedicata grandi foto di uomini al lavoro e di navi con la rubrica “Visioni del porto” e “ Visioni Cittadine”; non manca giorno che i due giornali locali parlino con articoli e foto del “fenomeno”.
E poi arriva, puntuale, il cinema con tante scene di film girati sulle navi e nel porto dell’esodo di massa: «Capovaro vado? Vadi, Contessa, vadi!» È la goduria di fornai, salumieri, pizzettari, baristi che distribuiscono pagnottelle farcite, bibite e acque minerali, caffè e gelati, perfino gettoni per le interurbane. «Caffè caldo, cafèèè» riecheggia sui moli. È il lavoro di tutto il porto che si moltiplica nei tanti servizi legati a questo forsennato andirivieni di rimorchiatori e navi che fanno la spola con la Sardegna. La città sembra lievitare. Osserva incuriosita e partecipa a questa continua cerimonia di traversate perché sa coglierne i benefici, la polpa succosa che significa un po’ di benessere. Non è questo il luogo della lettura in chiave di economia industriale di questa incredibile vicenda che abbraccia larga parte del costume e della cultura della nostra città di quegli anni, fino al declino e alla cessazione del servizio nel 2008. Per dire che alcuni amici di questo nostro Blog ne sanno molto più di me.
Restano le cartoline dei saluti. Si chiude un epoca: quel porto brulicante, caotico, pieno di vita me lo sento ancora addosso, e a rivederlo oggi è come se andassi in piazza san Pietro e non trovassi più il Cupolone.
SILVIO SERANGELI
** Le illlustrazioni: 1. Cartolina saluti, 2 Ponte carri e ponte auto del “Gallura” 3,4 foto originali dell’esodo.
Anche io, Silvio, provo una sensazione di estraneità quando vado al porto vecchio. Avverto un desolante vuoto e mi sembra di essere stato espropriato. Se voglio far fare un giretto a un amico, per poter accedere al porto con la macchina, devo inventarmi di dover comprare biglietti alla Grimaldi. E non parliamo dell’inaccessibile antemurale. Questo luogo non ci appartiene più, non lo viviamo più, è diventato un posto della memoria. Ed è un grande peccato
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Silvio, come sei solito tu mi fai ridere, un riso di nostalgia e attuale impotenza, ed anche per il tuo non velato anticlericarismo:”E il vescovo Bianconi…”! Quanto è veritiera la tua fotografia del diffondersi dei consumi massa! E dire che già allora nel miracolo economico si tentava, inutilmente, di attuare una politica riformatrice! I connotati della modernità erano evidenti nei nuovi media con i gettonati Sapore di sale, Abbronzatissima, Una rotonda sul mare… Era il trionfo del boom, erano le vacanze estive in Sardegna! Era l’insanabile ottimismo, dovuto alla giovane età, che ci faceva allegri nelle rocambolesche entrate in traghetto con la pesante moto Guzzi Sahara, si dico Sahara, come cantava W. Withman degli “interminati spazi”! Ma arrivarono le inquietudini di noi studenti e dei lavoratori dei traghetti, quando al cinema assitevamo ai film di Rosi, Bellocchio e Pasolini. Assistevamo ad una contraddizione, come per i Ferry boat, da una parte la ricchezza offerta dal boom, dall’altra le condizioni reali di settori di lavoratori, traghetti e lavoratori del Porto, ed i costi da essi pagati al “miracolo”. In questo passaggio della modernità, come nota Ettore, spariscono le forme di solidarietà e di legame antico tra la vecchia città ed il Porto, frantumati i tessuti sociali con la città prima esistenti, l’attività di vendita del pesce, le agenzie di spedizioni autoctone…
Speriamo solo che rimanga una pietosa forma di solidarismo nei confronti dell’amato Lazzaretto!
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