“OLTRE LA LINEA” A CURA DI SIMONETTA BISI E NICOLA R. PORRO – IL POPOLO: UNA COMUNITA’ IMMAGINATA. La sottile seduzione dell’autoritarismo
di SIMONETTA BISI ♦
Che più non sono gli dèi fuggiti, né ancora sono i venienti
Questo verso di Hölderlin esprime chiaramente la condizione dell’essere che si trova a vivere in uno spazio vuoto: gli dèi sono fuggiti ma ancora non sono giunti i “sostituti”. Si è disorientati. Il pensiero etico-politico è in stand by. Le classi sociali sono confuse, le barriere divisorie classiche si intersecano con altre quali l’etnicità e il genere, chi deve governarle deve trovare le parole per farlo, chi è governato deve fermarsi e ascoltare.
Come fare?
La risposta per ora sembra dominata dalla nostalgia del passato, quando poche parole scandite con forza e ripetute più volte bastavano per strappare applausi al “popolo”. In varie parti del mondo troviamo figure di primo piano che hanno subito e continuano a subire il richiamo seducente dell’autoritarismo, come bene spiega nel suo libro Twilight of Democracy la brava e pluripremiata storica Anne Applebaum.
Cambia il linguaggio, che deve essere più aderente a quello dei post online: le parolacce, la manifesta accusa verso un ipotetico nemico, il dileggio delle istituzioni, l’irrisione della scienza e così via. Poiché i leader vogliono parlare al popolo, devono condividerne la componente trash molto marcata, così una volgarità ostentata e kitsch diventa elemento unificante tra rappresentanti e rappresentati.
E non capita solo a casa nostra.
L’immagine delle democrazie liberali appare ovunque offuscata, messa in discussione. Dagli Stati uniti all’Europa, dall’India alla Turchia si va affermando sempre di più il culto degli uomini forti, i partiti nazionalisti o gli stati a partito unico. Anche prima che il coronavirus esplodesse, il mondo stava vivendo un’altra pandemia: l’autoritarismo che negli ultimi dieci anni ha infettato le democrazie di tutto il mondo, compresa la nostra. Sintomo palese è l’odierna crisi dei partiti politici, l’oscurarsi e il venire meno della loro funzione, la perversione dialettica, dimentica di qualsiasi retroterra ideologico, e la graduale concentrazione del potere in poche mani, con la tendenza all’identificazione in un leader portatore di consenso.
Chi rende possibile l’ascesa di personaggi di democrazia a dir poco dubbia? Il “popolo”, se guardiamo alle più o meno democratiche elezioni. Non è una risposta sufficiente. Il leader non può essere solo, deve avere intorno persone che lo seguano e lo aiutino ad avere sempre più potere. Anche nella post-modernità i “cortigiani” sono essenziali per il successo del capo. Anne Applebaum li individua in: “scrittori, intellettuali, pamphleteers, blogger, spin doctor, produttori di programmi televisivi e creatori di memi che possono venderne l’immagine pubblica”. Perché lo fanno? Perché ne condividono il pensiero?
La risposta della Applebaum è secca: per opportunismo. Come darle torto?
Descrivendo politici, giornalisti, intellettuali e altri che hanno abbandonato gli ideali democratici nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Spagna, in Polonia e in Ungheria, troviamo i nuovi sostenitori dell’illiberalismo omologati dall’uso “pro domo sua” dell’uso della teoria della cospirazione, dei social media e della nostalgia del passato (famiglia, ruolo subordinato delle donne, aborto ecc). La sua è una aperta accusa a quelli che chiama i nuovi clercs, termine mutuato dal filosofo francese Julien Benda (La Trahison des clercs 1927). Secondo la mia lettura si tratta di coloro che per propria opportunità si prestano a riempire in qualche modo il vuoto culturale e ideologico delle élites vincenti.
Gli usuali richiami al disagio economico, al terrorismo, all’immigrazione e oggi anche la pandemia, sicuramente incidono sull’ondata populista, rafforzano l’idea dell’uomo forte alla guida a scapito di una vera democrazia, ma non giustificano i cortigiani, i cosiddetti “cambia casacca”, gli opportunismi e la poca chiarezza nelle proposte.
La Applebaum porta l’esempio della Polonia, dove la destra del Partito della Legge e della Giustizia ha vinto le elezioni del 2015, nonostante il Paese non vivesse un periodo di particolare crisi economica e sociale. La sua analisi, interrotta dal Coronavirus, la fa concludere con queste parole: “Forse la paura della malattia creerà paura della libertà. O forse il coronavirus ispirerà un nuovo senso di solidarietà globale. … dobbiamo accettare che entrambi i futuri sono possibili.”
Mentre molte ricerche, anche di grande interesse, sono state condotte sul populismo, c’è stata poca ricerca empirica basata su discorsi, campagne o partiti populisti. Il Guardian ha finanziato una importante ricerca per colmare questa lacuna.
L’evidenza dell’ondata neo-populista è stata misurata attraverso un’indagine sui linguaggi dei leader populisti: una minuziosa analisi di 728 discorsi pubblici di primi ministri, presidenti e cancellieri in 40 paesi. Il progetto è stato supervisionato dal Team Populism, una rete globale di politologi che ha aperto la strada all’uso dell’analisi testuale negli studi sul populismo. La loro ricerca è contenuta nel Global Populism Database. (Il Guardian ha adottato la classica definizione di populismo proposta dal politologo Cas Mudde: i populisti tendono a inquadrare la politica come una battaglia tra le masse virtuose “ordinarie” e un’élite nefasta o corrotta, e insistono sul fatto che la volontà generale del popolo deve sempre trionfare. Il populismo, egli asserisce è spesso combinato con un’ideologia “ospite”, che può essere di sinistra o di destra. Measuring populism: how the Guardian charted its rise | World news | The Guardian)
La ricerca, consultabile online, si basa sul cosiddetto metodo olistico di analisi testuale. A ciascun leader è stato assegnato un “punteggio” medio di populismo, calcolato su una scala 0-2, che va da non populista a molto populista (0 nessun populismo, 1 populismo chiaro, ma usato in modo incoerente o con un tono mite, 2 populismo chiaro usato coerentemente con un tono forte. “Chiaro populismo” significa che sono presenti gli elementi centrali del populismo: una volontà virtuosa della gente comune in opposizione a qualche élite malvagia e cospirativa.
La ricerca è “in progress”, cioè viene aggiornata per studiare gli andamenti nel tempo.
Vediamo i principali risultati: il numero di leader populisti è più che raddoppiato dai primi anni 2000 e i politici di tutto il mondo hanno gradualmente adottato argomenti populisti, inquadrando la politica come una battaglia manichea tra la volontà della gente comune e le élite corrotte e egoiste. Il punteggio medio del populismo, in tutti i 40 paesi, è raddoppiato da 0,2 nei primi anni 2000 a circa 0,4 oggi. Anche il numero di paesi con leader classificati come almeno “un po’” populisti – un punteggio di 0,5 e oltre – è raddoppiato in quel periodo, da sette nel 2004, a circa 14 negli ultimi anni.
La tabella mostra una prima sintesi: a ogni leader è stato attribuito un punteggio (tra parentesi il periodo in cui sono stati raccolti i loro discorsi). Non stupisce trovare ai primi posti Chavez, Maduro e Morales considerati nell’area culturale della sinistra. Questo ovviamente non deve meravigliare perché nei sistemi socioeconomici non sviluppati la sinistra non si rivolge a soggetti sociali definiti ma a un indistinto popolo, ai più poveri dei poveri, a cui rivolge un messaggio diretto, di impronta demagogica e a forte intensità emozionale. Al limite opposto della graduatoria troviamo due leader più “vecchio stampo”, cioè politici che non ricorrono alla seduzione dell’autoritarismo per ottenere voti: Tony Blair e Angela Merkel, quest’ultima con un valore pari a zero.
Tra gli italiani presi in esame troviamo Berlusconi che, con un valore di 0,8, si situa subito dopo Orban e alla pari con Trump.
È stato valutato anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo primo mandato del 2019. Nel presentare metodologia e analisi per il nostro Paese, il Team Populism avverte che questo è stato l’unico caso il cui risultato è frutto di una modifica, necessaria per la difficoltà di valutazione del populismo nei discorsi del Neopresidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nella spiegazione si legge: “L’attuale primo ministro Giuseppe Conte, un ex professore di legge nominato per rappresentare la coalizione populista tra il Movimento Cinquestelle e la Lega, appare come un punto di equilibrio tecnocratico tra i vice primi ministri Luigi Di Maio e Matteo Salvini.” Dopo essersi consultati con esperti locali e aver considerato i discorsi della campagna elettorale di Di Maio e Salvini, codificati e indicati con alti livelli di populismo, il mandato Conte è stato valutato come 1 e classificato come “populista”. Nel grafico si situerebbe sopra Bolsonaro.
Nel caso italiano il codice comunicativo del populismo appare in stretto rapporto con strategie di cattura del consenso alimentate dalla fragilità e instabilità del sistema politico in quanto tale. Il linguaggio populista è un comodo viatico per consolidare l’influenza del leader sulle masse ma è anche “eccitato” dalla frequenza di consultazioni elettorali in un regime democratico di crescente declino del ruolo dei partiti e di marcata personalizzazione della politica.
Se ne può dedurre che la ricerca del consenso ha come primo strumento la capacità di usare un preciso linguaggio, riconoscibile ed espandibile attraverso i social, che riesca a solleticare l’individualismo e l’opportunismo di quello che vorrei definire come “l’uomo qualunque”, o meglio “l’idiota post-moderno”. Ma di questo parleremo nel prossimo appuntamento.
SIMONETTA BISI
Salve Simonetta, grazie del tuo contributo di approfondimento. Servirà sicuramente per capire meglio.
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Simonetta, la tua analisi e preziosa sintesi mi richiama a due eventi storici in cui si intrecciano il populismo ed il ruolo degli intellettuali, il ruolo della cultura nella politica. Mi riferisco al l’egemonia dell’antifascismo nell’Italia uscita dalla Resistenza dopo il 1945 e la funzione degli intellettuali, mediata dalla cultura, in particolare dalla cinematografia. In questo caso i “chierici” contribuirono ad attirare le masse verso la politica di unità nazionale dopo il nazionalismo dei conservatori e di Mussolini. Il neorealismo ed il “populismo” nel cinema e nella letteratura hanno dato un ottimismo inimmaginabile ai nostri giorni, con l’esaltazione dei valori in quel fiume di pessimismo, determinato anche dalla fame del popolo. Penso al Metello di Pratolini, a Ladri di biciclette di De Sica. Certo un’avventura di segno morale opposto a ciò che era accaduto nel azionalsocialismo e nel culto politico di Hitler, come ha esposto Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Ma il mio è solo un preambolo, avrò occasione di riferirmi al tuo completo lavoro sui contemporanei “chierici”.
Grazie!
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Uno spunto eccellente per sviluppare un’utile comparazione fra diverse tipologie di populismi. Non casualmente, del resto, si è affermata nella letteratura politologica contemporanea la dizione di neopoulismo.
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Simonetta, il tuo saggio mi coinvolge! La mia tesi di laurea in metodologia della ricerca sociale, “Il potere e l’autorità nell’età contemporanea” testimonia curiose ripetizioni, ma io mi fermavo su Max Weber e George Simmel! Annoto il tuo”Come fare? “, che segna la distanza della ricerca sociale politologica dal lontano…” Che fare? “del XX secolo! Si sente nel neopopulimo una ricerca non solo” materialistica”, riconosci, infatti, questi nuovi fattori, l’etnicita’ e il genere. E ciò che nella ricerca era residuo, ora prorompe: la constatazione di un linguaggio, il dileggio delle istituzioni e l’irrisione della scienza.
Fondamentale il ruolo di attori nella scena, i nuovi “chierici” che sfruttano la situazione a vantaggio di un capo, definendolo “La Bestia” (Salvini). E per ora mi fermo…
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Dici che l’autoritarismo trova terreno fertile, partendo dal trash, dalla crisi dei partiti, privi di retroterra ideologico, dall’insistere sulla teoria della cospirazione e sulla nostalgia del passato. Il vuoto culturale delle èlites vincenti richiama alla guida dell’uomo forte e vengono”costruiti” linguaggi dove la volontà del “popolo” deve trionfare.
È il nuovo populismo. Quante volte ho sentito dire: Non sono né di sinistra né di destra!
In effetti tu chiarisci come il populismo sia combinato con una ideologia di sinitra o di destra, per catturare il consenso. Ed anche una critica della sinistra che non riesce ad occuparsi delle politiche concrete, ad avere un impatto sulla realtà. È il fascino del l’autoritarismo. Simonetta grazie.
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