“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Il Riccio di mare Paracentrotus lividus del litorale nord del Lazio

di GIORGIO CORATI

Una specie ittica tipica della tradizione gastronomica civitavecchiese e da qualche tempo prodotto dell’attività di pesca locale professionale è il Riccio di mare Paracentrotus lividus.

 Il Riccio di mare è presente nel mar Mediterraneo con alcune specie distinte tra loro come ad esempio lo Sphaerechinus granularis, l’Arbacia lixula e il Paracentrotus lividus. Lungo il litorale nord del Lazio[2] sono generalmente presenti l’Arbacia lixula e il Paracentrotus lividus. Sulla prima specie, detta Riccio maschio o Strega in dialetto civitavecchiese, non vi è alcun interesse commerciale, né gastronomico. Al contrario il Paracentrotus lividus è una specie molto prelibata tanto cara ai civitavecchiesi. Si tratta del Riccio per eccellenza, detto erroneamente Riccio femmina, la cui colorazione violacea assume sfumature variabili dal bruno rossastro al verde. Il suo nome dialettale proviene da una datata convinzione che la prelibata polpa di color giallo-arancione-rosa contenuta all’interno dell’endoscheletro dell’individuo maturo, detta corallo in dialetto, sia costituita dalle sue uova. In realtà si tratta delle gonadi, cioè delle ghiandole del suo apparato riproduttore.

La sua distribuzione lungo il litorale si caratterizza per discontinuità nei diversi areali marini e per una sua latente rarefazione in quelli in genere più facilmente accessibili alla pesca ricreativa – ciò sebbene la tipologia di fondale ed il popolamento algale si presentino generalmente piuttosto omogenei, ad eccezione degli areali su cui insistono infrastrutture portuali (AGCI AGRITAL, 2015)[3]. Gli areali in cui il Paracentrotus lividus è presente sono generalmente quelli associati ai litorali di Punta della Quaglia (Comune di Tarquinia), Sant’AgostinoLa Frasca (Comuni di Tarquinia e Civitavecchia), Punta del Pecoraro e Riva di Traiano (Comune di Civitavecchia) e gli areali associati al litorale compreso tra il fosso Marangone (limite territoriale tra il Comune di Civitavecchia e il Comune di Santa Marinella) e Capo Linaro (Comune di Santa Marinella) e al litorale di Santa Marinella tra Capo Linaro e il Porticciolo turistico di Santa Marinella (Comune di Santa Marinella).  

L’uso commerciale e il suo utilizzo in gastronomia sono vincolati dalla normativa nazionale (MIPAAF, 1995)[4] che, tra l’altro, definisce la taglia minima di raccolta e vendita in 7 centimetri, aculei compresi, e ne vieta il prelievo nel periodo compreso tra il mese di maggio e giugno. La sua tutela è orientata alla mitigazione del prelievo, che, proprio a causa della prelibatezza della sua polpa (si legga gonadi), tende a essere una minaccia per la riproduzione naturale della specie. Può essere interessante annotare che talvolta sul mercato può essere proposto un prodotto confezionato come “polpa in scatola o in vetro”, la cui origine è il Riccio di mare Loxechinus albus nativo delle coste del Cile e del Perù (ndr.).

Se dal punto di vista commerciale i Ricci di mare devono obbligatoriamente essere raccolti da pescatori professionali autorizzati, il prelievo è consentito, previo permesso, anche ai pescatori sportivi e dilettanti (pesca ricreativa), ma con il vincolo di non poter cedere i Ricci a terzi a nessun titolo. Inoltre, per quanto concerne la commercializzazione, i pescatori professionali autorizzati devono essere muniti di regolare etichetta per garantirne la tracciabilità (Reg. (UE) 1379/2013).[5]

A Civitavecchia, l’utilizzo del Riccio di mare in gastronomia è un aspetto interessante non soltanto dal punto di vista della tradizione gastronomica, bensì anche per un sentimento comunitario che lo circonda.

Secondo la tradizione, erano coloro che oggi sono definiti pescatori sportivi e dilettanti a raccogliere i Ricci di mare. La raccolta avveniva principalmente nei pressi della riva, entranno co le piede gniude (entrando a piedi scalzi). Più tardi, alcuni (e comunque chi poteva) utilizzavano dei lunghi stivali in gomma. La raccolta avveniva con l’ausilio di una sorta di asta rudimentale e, successivamente, anche con un catino in plastica con sul fondo una piccola lastra di vetro. Un altro catino generalmente veniva utilizzato per poter trasportare facilmente quanto “raccolto”. L’asta generalmente era costituita da una lunga canna di bambù con un’estremità tenuta “aperta a ventaglio” da un sughero di forma circolare (per lo più il tappo di una damigiana) e sigillata con una corda in modo da poter prelevare il Riccio infilzandolo, mentre la lastra di vetro, assicurata al fondo del catino, una volta immersa in acqua, aveva la funzione di rendere agevole la vista sul fondale (alla stessa stregua di una maschera da sub!). Nel corso tempo è andata consolidandosi anche la prassi dell’immersione in apnea. Tale pratica probabilmente ha dato più certezza del “raccolto”, ma l’intensità del prelievo ha cominciato a influire negativamente sullo stock ovvero sulla frazione degli individui “maturi” sfruttabile ai fini del consumo.

Riguardo alla tradizione gastronomica civitavecchiese è da sottolineare che, nel comune sapere locale, il consumo della polpa del Riccio di mare avviene durante i mesi invernali, tra i quali quelli più indicati contengono la lettera r nel loro nome. La polpa è utilizzata per condire primi piatti a base di spaghetti oppure è mangiata cruda con dei piccoli pezzi di pane. La modalità preferita dai civitavecchiesi è forse quella di mangiarla dopo che una certa quantità di Ricci è stata prelevata dal mare e raccolta, magari nel catino o gett’acqua che un tempo veniva utilizzato al fine di facilitarne il trasporto verso casa. È usanza che, subito dopo la raccolta, piccoli gruppi organizzati si riuniscano direttamente sulla spiaggia o sugli scogli presso la riva e diano vita a una sorta di rituale gastronomico oppure, magari per praticità, che il “raduno” si svolga invece sulla terrazza di casa. Comunque sia, si tratta di un rituale importante che i civitavecchiesi chiamato ricciata. Interessante, in merito, è la descrizione del rituale riportata nel volume Una ricchezza dalla grande storia. La Pesca a Civitavecchia (UILA Pesca, 2019):[6]

[…] “I ricci di mare devono essere tagliati orizzontalmente in due metà, battendoli con la lama di un coltello o con il movimento circolare di un paio di forbici, e poi puliti, eliminando il liquido e gli aculei caduti all’interno scrollandoli (in dialetto civitavecchiese, sgrullandoli) opportunamente. Una volta liberato il guscio dal liquido e dalle spine entrate a contatto con la polpa, la parte commestibile (corallo) può essere raccolta con un pezzetto di pane o con un cucchiaino (e secondo preferenze personali si può spremere sopra del succo di limone) oppure con la punta del dito indice. La tradizione impone di sorseggiare di tanto in tanto, secondo preferenze personali, del vino bianco (che ne esalta il gusto) o del vino rosso (che ne ammorbidisce il gusto); inoltre, tradizionalmente, molti civitavecchiesi succhiano l’apparato boccale del riccio di mare, affinché l’intenso sapore di mare in esso racchiuso si propaghi sulle papille gustative” […] (p.106).

 La raccolta del Paracentrotus lividus per fini gastronomici è un aspetto importante da considerare dal punto di vista della sostenibilità sia del consumo, oltre che del prelievo. Al pari di qualsiasi prelievo di specie ittiche, la raccolta del Riccio di mare tende a condizionare la dimensione della sua popolazione naturale. Il Paracentrotus lividus impiega almeno quattro anni prima di poter raggiungere la taglia minima di 7 centimetri compresi gli aculei (AGCI AGRITAL, 2015)[7]. Si tratta della taglia minima di raccolta e vendita prevista a tutela della specie dal già citato DM (MIPAAF, 1995). Inoltre, come riportano notizie di cronaca, a volte, per fini commerciali, la specie è oggetto di raccolta caratterizzata da quantità superiori a quella consentita per legge, raccolta non autorizzata e da raccolta illegale. Tale pressione esterna, così come minacce alle praterie di Posidonia oceanica – importanti per la vita del Riccio di mare – causate dalle attività umane lungo la costa e in mare, anche pressioni interne, come ad esempio il naturale comportamento predatorio da parte di altre specie ittiche, l’innalzamento della temperatura delle acque marine (dovuto al cambiamento climatico), nonché patologie di vario genere possono, a volte, influire in maniera negativa anche significativa sullo stato e sulla distribuzione in mare dei banchi naturali dei Ricci di mare e possono causarne un depauperamento, sia temporaneo sia permanente associato tendenzialmente a una diminuzione sensibile della taglia (AGCI AGRITAL, 2015).

Nel marzo 2015, a tutela del Paracentrotus lividus del litorale laziale locale (Comuni di Civitavecchia e Santa Marinella), l’Associazione Generale Cooperative Italiane, settore Agro Ittico alimentare LAZIO (AGCI AGRITAL, 2015) ha presentato un progetto in cui è stata consegnata l’elaborazione di un piano di gestione del Paracentrotus lividus a favore di una regolamentazione, del prelievo e della sostenibilità della raccolta. A sostegno della sua tutela e a favore della salubrità pubblica, la Regione Lazio il 5 ottobre 2016 ha pubblicato un provvedimento[8] che classifica il tratto del litorale compreso tra Capo Linaro (Comune di Santa Marinella) e la foce del fosso Marangone (limite territoriale tra il Comune di Santa Marinella e il Comune di Civitavecchia) come ZONA A per la raccolta del Paracentrotus lividus. In una ZONA A il Paracentrotus lividus raccolto vivo da pescatori professionisti autorizzati può essere direttamente immesso sul mercato ai fini del consumo in quanto soddisfa i requisiti sanitari stabiliti dalla normativa. Dal 2019, inoltre, il Paracentrotus lividus presente lungo il litorale dei Comuni di Santa Marinella e Civitavecchia è inserito da Slow Food nel progetto Arca del Gusto come specie ittica e risorsa gastronomica locale. Nel merito, l’Arca del Gusto raccoglie i prodotti che appartengono alla cultura, alla storia e alle tradizioni di tutto il pianeta, segnalandone l’esistenza e denunciando il rischio che possano scomparire (Slow Food)[9].

GIORGIO CORATI

[2] Si tratta dell’ambito del Compartimento marittimo di Civitavecchia che comprende vari Comuni costieri, da quello di Montalto di Castro compreso fino a quello di Ladispoli compreso in cui operano le flottiglie pescherecce di Marina di Montalto di Castro, Civitavecchia, Santa Marinella, Ladispoli.
[3] AGCI AGRITAL (2015). Progetto: Modello gestionale per lo sfruttamento sostenibile della risorsa riccio di mare (Paracentrotus lividus) nel Compartimento Marittimo di Civitavecchia. Codice di progetto: 02/ACO/11. Relazione finale marzo 2015.
[4] Ministero delle risorse Agricole Alimentari e Forestali, MIPAAF (1995). DM 12 gennaio 1995. Disciplina della pesca del riccio di mare. G.U. Serie Generale n.20 del 25 gennaio 1995.
[5] Reg. (UE) 1379/2013. Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, recante modifica ai Reg. (CE) 1184/2006 e Reg. (CE) 1224/2009 del Consiglio e che abroga il Reg. (CE) 104/2000 del Consiglio.
[6] UILA Pesca (2019, p.106). Una ricchezza dalla grande storia. La Pesca a Civitavecchia. A cura di Ciancarini, E.. Con il contributo del MIPAAFT – Direzione Generale Pesca e Acquacoltura.
[7] AGCI AGRITAL (2015). Progetto: Modello gestionale per lo sfruttamento sostenibile della risorsa riccio di mare (Paracentrotus lividus) nel Compartimento Marittimo di Civitavecchia. Codice di progetto: 02/ACO/11. Relazione finale marzo 2015.
[8] BUR Lazio (2016). Regione Lazio. L.R. n.12 del 13 agosto 2011 – Numero 79. Determinazione 20 settembre 2016, n. G10552. Oggetto: Reg. CE n.854/2004 classificazione zona di produzione di banchi naturali di echinodermi (ricci di mare) dello specchio acqueo compreso fra la foce del fosso Marangone e Capo Linaro, lungo il litorale del Comune di S. Marinella (RM), pp.241/244.
[9] Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. Sito web http://www.fondazioneslowfood.com.