“PAROLE DI DONNA” A CURA DI VALENTINA DI GENNARO E ANNA LUISA CONTU – Dopo le croci, ora si fa spazio.

di VALENTINA DI GENNARO

Mentre in tutto il Paese non cessano i tentativi di istituirne di nuovi, i cimiteri dei residui abortivi mostrano, ora, dopo i fatti di Civitavecchia e quelli dei cimiteri romani e delle croci, il volto della gestione del “dopo”.

Per anni, migliaia di residui abortivi sono stati seppelliti a terra, con una croce, con il nome della madre che ha abortito, la stragrande maggioranza delle volte all’insaputa di quest’ultima. 
Erano campi abbandonati all’incuria, erba alta, croci spezzate, poche lapidi e qualche fiore. Dopo la ribalta della cronaca, molte donne sono andate alla ricerca della croce con il loro nome.
Dopo la prima forte reazione di disperazione e senso di colpa, ora devono gestire la sacralità che qualcuno, senza il loro consenso, ha dato a quel fazzoletto di terra. Perché adesso sanno che lì sotto, qualcuno ha preso un pezzetto del loro corpo e lo ha inumato. 
Diversi i motivi, diverse le reazioni.
I campi hanno cominciato ad essere frequentati dalle donne, perché ormai,  davanti al fatto compiuto e davanti all’orrore del senso di colpa che hanno deciso dovessimo provare, non tutte hanno deciso di comportarsi allo stesso modo. 
C’è chi adesso porta fiori, chi ha messo una lapide, chi non può accettare l’idea di un simile sopruso. 
Quello che accomuna tutte queste donne è il fatto che non avevano scelto di avere un luogo fisico per ricordare. 
Né per piangere, né per tornarci sollevate, né per non pensarci più. 
Ora questi luoghi ci sono, occupano spazio, i cimiteri sono strapieni, come sappiamo è un problema comune a molte città italiane.
I residui abortivi vanno esumati.
Laddove non arriva la carità cristiana arriva la logica di fare spazio.
A Brescia, notizia di qualche giorno fa. Verranno esumati i resti di circa 2500 aborti. 
Lo faranno avendo dato un preavviso in bacheca. Ora, molte donne che hanno scoperto da poco le croci con il loro nome, si trovano a gestire un’ulteriore decisione che qualcun altro ha preso al loro posto.
La decisione che ora basta, ora è venuto il momento di smettere di considerare, quello, uno spazio sacro.
Ecco che infatti adesso è il tempo di pensare anche al “dopo cimitero dei residui abortivi.”
Sono considerate salme quelle inumate là sotto? 
No, perché per legge bastano solo cinque anni dalla sepoltura per procedure alla esumazione e al versamento in un ossario comune. 
Eccola la grande contraddizione di questa pratica. 
Molte amministrazioni comunali ed aziende sanitarie decidono per l’istituzione dei residui abortivi, con la misericordia delle mani giunte sotto il ventre, che è un atto di civiltà, di carità. Che sono da considerarsi alla stregua di corpi che hanno vissuto. Che bisogna farlo, anche quando la donna non lo richiede, anche quando la donna non da il consenso, magari affidando la gestione ad associazione ultracattoliche che ne custodiranno l’area. 
Poi si scoprano le croci, i nomi delle donne, anche chi non aveva acconsentito alla sepoltura trova i resti là sotto. 
Un’altra cosa da rielaborare.
E poi, passano anche solo cinque anni, e basta, si fa spazio. 
Dovrebbe bastare solo questo a far capire il carattere speculativo di queste iniziative.
Che non tiene conto della volontà delle donne. Che da per scontato che sui nostri corpi si possa decidere, le nostre decisioni devono essere riviste e accompagnate da altri: psicologi per abortire, settimane in cui pensare, qualcuno che decida al nostro posto se inumare i resti sei nostri aborti, qualcuno che decida dove come e per quanto tempo. 
Qualcuno che decide se devo piangere, straziarmi. E anche come lo devo fare. Qualcuno che decida se è opportuno indignarmi, e che se mi indigno lo devo fare in modo composto e non chiassoso. 
Questo è il momento di modificare la legge 285/90! “Le Ardite” di Civitavecchia hanno posto all’attenzione di molti le loro proposte di modifica del regolamento di polizia mortuaria. 
Ora una proposta di Fratelli d’Italia è stata presentata in Parlamento per far diventare prassi la sepoltura dei residui degli aborti. 
La gestione del “dopo” ha una carattere dirimente ora. Non si può derubricare tutto prima solo ad una violazione della privacy o alla narrazione standard di elaborazione.
Ci sono anni di leggi sul corpo delle donne, che è ora di cambiare.
VALENTINA DI GENNARO