Il vaccino e l’aumento dei contagi

di ENRICO IENGO

Molti giustificatamente si chiedono perché, nonostante in Italia coloro che si sono vaccinati e coloro che hanno contratto la malattia rappresentino circa l’80% della popolazione, il contagio sia ancora così diffuso e addirittura in crescita costante, con conseguente aumento dei ricoveri e dei decessi.

Ci si domanda se il vaccino sia veramente efficace, constatato che molti positivi al SARS COV2 sono vaccinati e se è valsa la pena di sostenere uno sforzo immane, in termini di costi economici, di organizzazione, di conflittualità sociale, di sacrifici individuali.

E’ possibile che in parecchi di coloro che sono stati ligi al dovere di vaccinarsi, possano albergare sentimenti di delusione e frustrazione, pertanto è necessario fare chiarezza su alcuni aspetti che riguardano immunità e contagiosità.

Fin dall’inizio si sottolineò, da parte dei virologi e degli immunologi che la protezione immunitaria del vaccino non riguardava l’intera popolazione vaccinata, ma circa il 93%, quindi il 7% non sarebbe stato in grado di sviluppare una efficace risposta immunitaria.

In secondo luogo gli esperti stabilirono che la vaccinazione, anche qualora ci fosse stata una buona risposta immunitaria, pur proteggendo l’individuo dalla malattia, non avrebbe garantito una copertura integrale dalla possibilità di infettarsi, di venire a contatto con il virus e quindi, nonostante una carica virale bassa, di infettare altri.

Questo è stato sempre chiaro ai medici: si tratta di un virus che si trasmette attraverso aerosol, quindi capace di penetrare facilmente nell’organismo attraverso le vie aeree superiori, ma forse la necessità di vaccinare la maggior parte della popolazione ha indotto le Istituzioni sanitarie ad enfatizzare le capacità taumaturgiche del vaccino, o comunque si sperava in una maggior vulnerabilità del virus, determinando una esagerata aspettativa sulla possibilità di metter fine alla pandemia semplicemente vaccinandoci, aspettativa che può pericolosamente scivolare verso un rassegnato giudizio di non efficacia e quindi di inutilità, con il risultato di rafforzare le cervellotiche tesi dei no-vax.

La realtà dei dati per fortuna va verso un’altra direzione: quando il paziente vaccinato è al massimo della risposta immunitaria, con la presenza di anticorpi neutralizzanti anche a livello della mucosa delle alte vie respiratorie, la probabilità di contrarre l’infezione e quindi di contagiare il prossimo scende a livelli molto bassi, pari circa al 20%. Sappiamo ormai tutti come la risposta immunitaria tenda a diminuire già dopo 3-4 mesi e quindi quel dato statistico tende a salire, arrivando al 40% dopo 5-6 mesi. Occorre anche tener conto che la variante delta, più contagiosa e rapida nel moltiplicarsi ha ulteriormente ridotto l’efficacia dei vaccini di circa il 10%. Ma i dati ormai numerosi acquisiti dalla ricerca scientifica dicono anche un’altra cosa: il vaccino protegge dalle forme gravi di malattia per un tempo considerevolmente più lungo.

Un’altra considerazione da fare per spiegare la crescita dei contagi è certamente conseguenziale alla riflessione fatta sopra: circa 6 milioni di persone, la maggioranza delle quali nella fascia  fra i 35 e i 50 anni, quindi in età lavorativa, non si è vaccinata. A ciò vanno aggiunti circa 6 milioni di bambini, fra i quali circa la metà in età scolare. Dodici milioni di persone, più dell’intera popolazione della Lombardia, quotidianamente prendono il bus o la metro o il treno, si recano al lavoro, organizzano cene, festeggiano ricorrenze a stretto contatto  con familiari e amici per lo più vaccinati o vanno a scuola, in aule purtroppo spesso anguste e senza rispettare i protocolli di sicurezza.

La giusta riapertura di tutte le occasioni di vita sociale, relazionale e lavorativa ha sicuramente aumentato il rischio di contagio, proporzionalmente al numero dei non vaccinati.

Occorre tener conto anche della non omogeneità dei vaccinati nel territorio nazionale: l’80% dei vaccinati non sono distribuiti omogeneamente nelle regioni, nelle città o nei paesi: abbiamo picchi del 90% accanto a realtà territoriali ove la percentuale di vaccinati arriva al 65%.

Quindi è ancora un numero troppo grande quello dei non vaccinati, che rischia di limitare i vantaggi della vaccinazione di massa. A ciò si aggiunga il comportamento irresponsabile tenuto in alcune occasioni di protesta sociale, con manifestanti ostentatamente senza mascherina e senza rispettare la giusta distanza. 

Si dirà: ma il tampone antigenico, necessario per ottenere il Green Pass, non è una ulteriore arma per limitare il contagio nei posti di lavoro, nei mezzi di trasporto, a scuola?

In realtà io credo che l’obbligo del tampone per i non vaccinati fosse stato pensato soprattutto come deterrente al fine di convincere i dubbiosi a vaccinarsi e non come valido strumento di prevenzione.

Il tampone antigenico (rapido) ha diversi limiti:

  1. una minore sensibilità rispetto al tampone molecolare, soprattutto per le cariche virali basse, con una incidenza di falsi negativi pari a circa il 20%.
  2. La falsa negatività sale da una persona su cinque a quasi una su due a causa della eterogeneità dei tamponi e della difettosa esecuzione da parte di personale riconvertito frettolosamente a tale mansione, non sufficientemente formato e che deve fronteggiare quotidianamente la richiesta di decine se non centinaia di persone.
  3. L’intervallo che, come da norma, deve intercorrere fra un tampone rapido e il successivo, cioè 48 ore, è sicuramente troppo lungo, potendosi il soggetto infettare dopo meno di sette-otto ore dalla esecuzione del tampone.

Quindi il rischio che stiamo correndo è che quasi una persona non vaccinata su due può avere un tampone antigenico falsamente negativo.

Tutti questi fattori concorrono senz’altro a spiegare, almeno in grossa parte, il perché i contagi aumentino, ma poiché sono fattori che concorrono anche negli altri paesi  a noi più vicini, la situazione epidemiologica molto più grave di questi paesi si comprende solo alla luce del numero di popolazione vaccinata  e delle misure di contenimento.

I numeri del contagio e dei decessi in Germania, in Austria, in Polonia, in Ungheria, in Romania sono impressionanti e va dato atto che in Italia Istituzioni e popolazione hanno dimostrato un alto senso di responsabilità, una volontà collettiva di raggiungere l’obiettivo, nonostante la presenza di frange rumorose, ma inconsistenti, che corrono dietro a deliranti ipotesi di complotti.  

Dobbiamo certamente continuare: ancora troppe sono le persone non vaccinate che alzano il rischio di nuovi contagi, nuove morti, affollamento dei reparti ospedalieri, chiusura delle attività economiche. Queste persone vanno assolutamente convinte. C’è inoltre la necessità di una terza dose: riscontri scientifici hanno dimostrato la sua assoluta efficacia nell’ evocare una buona reazione immunitaria, anche contro la recente variante Omicron.

Occorre però una chiara, trasparente, puntuale, comprensibile informazione. Il vaccino è un’arma potente, ma probabilmente dovremo continuare a fare i conti con questo virus che ha purtroppo grandi capacità di mutare: questa conclusione non deve spaventare, stiamo correggendo la mira e il bersaglio è sempre più alla nostra portata. Sta al nostro impegno civico e personale semplificare questo obiettivo.

 Aspettiamoci quindi nelle prossime settimane un ulteriore aumento dei contagi: ci aspettano numeri che non vanno assolutamente sottovalutati. 

C’è comunque un dato che rimane sottostimato perché più difficile da calcolare: è il numero di coloro che grazie al vaccino hanno evitato il contagio, la malattia e la morte: non c’è dubbio, sono tanti. 

ENRICO IENGO

L’immagine di copertina è tratta dal Il sole 24 Ore – Dati del 9 dicembre 2021.