L’alluvione
di ANNA LUISA CONTU ♦
Aveva cominciato a piovere dalla mattina presto. Erano mesi che non pioveva . In Sardegna capita e la campagna diventa una savana africana, con niente da mangiare per le bestie che brucano anche l’ultimo filo d’erba del sottobosco. E quando la situazione diventava disperata si organizzavano le processioni per la pioggia. Piccola, ho partecipato, mano nella mano con mia madre, ad una processione diretta a Sant’ Elia, uno degli alti colli che fanno da corona al paese e che ha in cima una chiesetta costruita sulla roccia. Era un’ascensione faticosa dentro la pineta, verso quel colle altissimo. Le donne al seguito del prete, a
cantilenare le preghiere che risalivano al tempo dei tempi, a un tempo precristiano. Non ricordo quando dopo piovve , ma certo ci deve essere pur stato un giorno in cui le cateratte del cielo si sono aperte.
E le cateratte si aprirono anche quella volta, un giorno di novembre nel duemilaventi che non vollero chiudersi più.
All’inizio tutti erano felici di quell’ acqua che veniva giù con una bella potenza.
Era un’acqua che rompeva la terra , la fecondava, non quelle pioggerelline senza carattere e senza forza che scendevano solo per deludere la speranza che durassero. Cadevano certe gocce grosse e pesanti che facevano male se colpivano il corpo. Il paese osservava l’aumentare dell’intensità della pioggia non
più sollevato ma con preoccupazione. Ancora vivo era il ricordo di quell’altra recente alluvione cui avevano dato un nome fascinoso, Cleopatra, ma che si era portata via chi aveva trovato nei campi.
L’acqua scendeva dal cielo e dalla terra, violenta e fitta che impediva ogni visuale . Una tempesta di lampi si schiantava in cielo e il rumore cupo e prolungato dei tuoni accompagnava il lavoro distruttivo dell’acqua.
Enormi massi di pietra rotolavano dalla montagna, la terra e l’acqua erano diventate un fango scuro e limaccioso, tronchi di pino capitombolavano giù nelle strade, raccoglievano terra, fango, sterpi e quanto trovavano nel loro cammino. Un fiume impetuoso, che sbatteva sui fianchi delle case e ne minava le fondamenta, trascinava le automobili come fuscelli e come fuscelli le faceva roteare e rivoltare. La via della fontana pubblica venne sommersa dai detriti fino al secondo piano. Faticarono giorni e giorni, l’esercito e i volontari con i loro mezzi meccanici a liberarla. Le case si riempirono di acqua e fango che entravano dagli stipiti delle porte. Alcune vennero giù, in altre si aprirono ferite peggiori di quelle del corpo. Le famiglie vicino la mia casa furono sfollate perché , dissero i carabinieri, “sta venendo giù la montagna” . La bella piazza Nova con le sue panchine e la fontana al centro venne sommersa dal fango.
La violenza dell’acqua che invadeva il corso trascinava il giornalaio uscito dal negozio a mettere in sicurezza la macchina. Ebbe la prontezza di afferrarsi ad un palo dell’illuminazione, mentre le ondate lo sbattevano e lo spingevano verso il precipizio. Resistette e fu salvato da alcuni giovani che gli lanciarono una corda. Il silenzioso e riservato giornalaio riacquistò anche la parola dopo il trauma di quell’esperienza e il racconto del suo salvataggio è negli annali del paese.
Una povera zia, uscita a osservare sull’uscio quel disastro che si stava realizzando, venne inghiottita da un’ondata in un grosso tombino sotto gli occhi dei vicini che, dai loro balconi, osservavano impotenti. Il suo corpo maciullato, venne ritrovato qualche chilometro più avanti, nella piazza dove convogliò tutta l’acqua che scendeva dai monti.
Né sorte migliore ebbe il vecchio dentro la sua casa, sorpreso dall’acqua e dal fango nel suo letto . Anche i campi assetati diventarono acquitrini, incapaci di assorbire una goccia in più di pioggia. E nel campo venne sorpresa la terza vittima, il pastore uscito a governare il gregge e colto in mezzo a quel cataclisma.
L’acqua che veniva dal cielo aveva gonfiato i ruscelli che scendevano giù dalla montagna, S’abba Luchente di cui si era perso anche il nome dentro ad un canalone di cemento e anche l’altro fiume , Lampione che era stato intombato ma non era servito a niente . Come ha potuto il fiume si è preso il suo spazio, precipitando da Conca Erru col carico di terra, alberi e arbusti. La sua furia è stata come una bomba dentro il canale, pezzi di cemento armato scagliati ai lati del greto come fossero pezzi di sughero, il murale, che ornava la fontana con le immagini di donne che attingono acqua e lavano i panni, sbriciolato dalla sua incontenibile rabbia.
Quando la pioggia cessò, gli abitanti si svegliarono come da un incubo per scoprire
che nell’incubo erano precipitati. Uscirono tutti dalle case ad osservare le strade ricoperte di detriti, le piazze ingombre di macigni, i negozi e le attività sommerse di acqua e fango. La viabilità impossibile per l’asfalto divelto e per le enormi voragini apertesi.
Allora come il ricordo di un procedere antico quanto il tempo, scattò la paratura, l’istituzione che ricostruiva il gregge a chi era stato rubato, a chi era malato o era finito nelle maglie della giustizia ; la solidarietà della comunità, la fratellanza prima che venisse teorizzata. Da tutta la Sardegna, dai paesi vicini e da quelli lontanissimi, arrivarono i volontari per aiutare nel disastro con uomini e donne , mezzi e cose. E anche lo Stato, per tradizione così avaro nei confronti di quelle comunità, fece la sua parte, l’Esercito, la Brigata Sassari in missione di pace, la protezione civile, gli enti forestali.
Occorreranno anni prima che il paese riacquisti il suo paesaggio naturale e superi il trauma di quella catastrofe che rischiava di farlo scomparire dalla faccia della terra.
ANNA LUISA CONTU
Che cosa bella, la paratura! Un po’ come la legge del mare. Le cose non scritte da nessuna parte, perché bisognerebbe averle scritte dentro
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La straordinaria potenza descrittiva congiunta ad un’adesione forte degli affetti rende quest’articolo un autentico gioiello. La lettura mi ha emozionato e coinvolto. Grazie, Annalisa.
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Grazie, Ettore per il tuo apprezzamento. Grazie, Lucia, c’è un ordinamento giuridico nella società agro pastorale che può essere d’esempio, non solo negatività.
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