“Il sergente maggiore Giuseppe MORINI”: il soldato civitavecchiese che scioccò le truppe tedesche nella ritirata di Caporetto.
di DANIELE DI GIULIO ♦
PREMESSA
In data 6 novembre 2021, Il giornale di Vicenza (on line) cita testualmente: …sull’Altopiano di Asiago, da quelle stesse ferite della terra, un giovane e appassionato recuperante bassanese ha riportato alla luce la maschera antigas di un soldato che con le sue gesta e il suo sacrificio ha scritto un capitolo fondamentale del primo conflitto mondiale, e quindi della storia d’Italia. La maschera apparteneva al sergente dei bersaglieri ciclisti, Giuseppe Morini, considerato l’artefice della “riscossa di Caporetto”, il nome con cui vengono indicate alcune battaglie di retroguardia che dopo la rotta posero le basi del rilancio del fronte bellico italiano. Originario di Civitavecchia, il militare, caduto in guerra e sepolto a Vicenza, stando a quanto riportato dai dati storici, si trovò nella circostanza di uccidere il generale Von Berrer, comandante del terzo corpo d’Armata nemico…
FRONTE AUSTRIACO
Caporetto ha una causa fondamentale: dopo l’11° Battaglia dell’Isonzo (Bainsizza) l’esercito austro-ungarico appare non più in grado di poter sostenere un attacco dell’entità di quello svoltosi in estate e pertanto viene chiesto aiuto all’esercito tedesco impegnato pesantemente sul fronte occidentale. Si decide, per evitare un collasso del fronte italiano che finisca per rinforzare gli anglo-francesi, di inviare “temporaneamente” truppe scelte che agiscano con rapidità per un preciso obiettivo onde consentire all’alleato austriaco di riguadagnare le posizioni perse: riconquistare la Bainsizza agendo sull’Alto Isonzo ( da Plezzo a Tolmino ) con una offensiva di “medie dimensioni” onde aggirare il fronte italiano.
L’attacco viene condotto il 24 ottobre 1917 attraverso la XIV Armata del generale Otto von Below, composta da quattro Corpi d’armata per un totale di 6 divisioni tedesche e 8 austroungariche (3 in riserva). Von Berrer è al comando del LI° Corpo d’armata, composto dalla 26° Divisione di fanteria del Wurttemberg e dalla 200° (prussiana) divisione Jägerla. A seguito dello sfondamento del fronte Isontino a Tolmino e Caporetto si dirige in direzione Udine. La notte del 27 sono a San Pietro al Natisone e l’alba seguente viene occupata la frazione di Azzida. Alle 8 del mattino il generale a bordo della sua auto imbocca la strada Cividale-Udine. Lo accompagnano il suo primo aiutante, maggiore Vender, il capitano di cavalleria Boeszoermeny ed il tenente von Graevenitz. Alla guida il sergente Freitag ed il caporale Koenemann. Lasciata Azzida, dopo Remanzacco incontra elementi del 6° Battaglione Jäger (200° divisione). Il capitano Von Blankenburg che li comanda informa il suo superiore dell’assenza, per quanto ne sappia lui, di truppe tedesche più avanti. Von Berrer non si fida e prosegue imperterrito, sa che la 26° è avanzata di notte ed ha piena fiducia nei suoi uomini, impossibile che non siano già ad Udine. La sua aspettativa viene in parte incrinata quando anche il colonnello Stümke del 125° reggimento fanteria, incontrato quasi contestualmente, gli confessa di non sapere dove siano finiti gli altri reparti della 26°. Von Berrer manda allora indietro a piedi il maggiore Vender con l’ordine di far confluire tutte le unità del settore su Udine, mentre il generale prosegue la marcia verso il Torre, trovando però il ponte fatto saltare dagli italiani in ritirata. Nessun problema per il nostro intrepido generale che riesce a guadare con l’autovettura per poi reimmettersi sulla strada principale giungendo nei pressi di San Gottardo.
FRONTE ITALIANO
Il sergente maggiore Giuseppe MORINI è inquadrato nel III Battaglione bersaglieri ciclisti (tipologia di reparto presente in tutti gli eserciti, in quanto capace di grande mobilità al pari della cavalleria, ma di minor vulnerabilità e costo di mantenimento). Dopo lo sfondamento tedesco, tali unità furono sempre in prima linea nel contrastare le avanguardie germaniche per permettere agli sbandati ed ai numerosi civili in fuga di ripiegare oltre il fiume Tagliamento e poi fino al Piave. Le battaglie della ritirata sono state, fino a pochi anni orsono e con alcune eccezioni, sempre relegate se non taciute dalla storiografia ufficiale. Fra quel vergognoso “prima” – Caporetto – e l’eroico “dopo” – Piave – sembra esserci solo una caotica ed ignominiosa fuga. In realtà, le decine di contrattacchi ed ostinate difese condotte da ufficiali di rango inferiore (denominate “La guerra dei Capitani” dallo storico Paolo GASPARRI) per la sola volontà di non cedere terreno patrio sono stati fondamentali: se questi combattimenti non ci fossero stati è impensabile credere che la ritirata avrebbe avuto successo e la Terza Armata italiana sarebbe stata annientata ben prima di arrivare al Tagliamento e predisporre una difesa adeguata sul Piave sarebbe stato impossibile. Risulta difficile citare tutti questi atti valorosi, ma oltre l’eroico sacrificio del Genova cavalleria e del lanceri di Novara a Pozzuolo del Friuli, meritano menzione la difesa di Udine, del Monte di Ragogna e del Monte Festa. I bersaglieri ciclisti, al pari degli arditi si prestavano perfettamente a questi ruoli di contenimento.
L’alba del 25 ottobre del 1917, il III Battaglione Bersaglieri Ciclisti dalla base di Cassola si dirige verso San Vito al Tagliamento, giungendo a destinazione nel tardo pomeriggio del 27 e passando alle dipendenze della 22^ Divisione di cavalleria. Il nuovo obiettivo assegnatogli è di controllare la strada Cividale-Udine, per rendersi conto delle mosse effettive dei tedeschi, la cui direttrice d’attacco è ignota al Comando Superiore. I ciclisti, appena usciti da Udine, si imbattono in un insolito episodio: due generali italiani che con alcuni artiglieri tentano di posizionare un cannone. Gli alti ufficiali assicurano al comandante del reparto, maggiore Carlo TOSTI, che poco più avanti truppe italiane hanno allestito una provvisoria linea difensiva. Rincuorati dalla notizia e convinti di muoversi verso truppe amiche, i bersaglieri mantengono la disposizione di marcia. Giunti però in prossimità di San Gottardo la compagnia di testa è sottoposta al fuoco di interdizione di una pattuglia tedesca nascosta in una casa. I ciclisti abbandonano i mezzi ed assumono posizioni di copertura, ma nel momentaneo caos della sorpresa, il comandante di compagnia viene catturato. Infatti, il capitano DEL RE si era spinto in avanti per prendere contatto con le linee italiane e perciò nel momento dell’attacco si trova momentaneamente isolato dai suoi uomini. I tedeschi ne approfittano fulmineamente e catturano l’ufficiale. Gli italiani tentano di rispondere al fuoco, ma il nemico, in inferiorità numerica, decide di abbandonare lo scontro. Preso dunque atto della presenza di avanguardie nemiche, il vice comandante tenente MARI dispone i suoi uomini in schieramento difensivo, ordinando al sergente MORINI di posizionarsi poco più avanti, in corrispondenza della curva stradale allo scopo di controllare chiunque fosse arrivato da est. MORINI è in compagnia del caporale SCHIESARI e di tre altri bersaglieri che fa schierare all’interno di una casa, al fine di avere un’amplia visuale dell’area circostante e posizionandosi anch’egli in strada a sorvegliare l’ingresso dell’improvvisato caposaldo.
EVENTO DEL 28 OTTOBRE 1917
Sono passate da poco le 8 e Morini scorge una macchina arrivare da Cividale. La prima impressione del sergente è che siano ufficiali alleati; infatti è in procinto di salutarli militarmente quando si accorge che a sventolare sul cofano non sono né l’Union Jack o il Tricolore, ma gli inconfondibili colori della Reichskriegsflagge. Immediatamente, il sergente si piazza in mezzo alla strada puntando il fucile e gridando ai suoi di scendere in strada: l’autovettura tenta un’inversione e contemporaneamente Morini spara con il suo moschetto “9” tre colpi. Il veicolo è fermo e dall’abitacolo fuoriescono gli chaufferurs mentre un ufficiale, pistola alla mano, fa fuoco contro il giovane bersagliere. Inizia fra i due un vivace scambio di pallottole finché il Morini, ventre a terra, si trova a dover ricaricare. L’altro ne approfitta per sganciarsi dallo scontro e scompare dietro un casolare. Sostituito il caricatore il bersagliere indirizza un paio di colpi agli unici bersagli ancora in vista; i due autisti: uno cade a terra ma, seppur ferito, si rialza e prosegue la fuga. Rimane l’ufficiale. Lo trova nascosto e tendente al panico dietro lo spigolo di una latrina. La vista dell’italiano ha però un effetto rinvigorente sul tedesco e la paura scompare lasciando il posto all’ira. Dopo un colpo esploso a vuoto inizia un violento corpo a corpo che vede il bersagliere disarmare e poi immobilizzare il suo avversario. A questo punto sono sopraggiunti i rinforzi ed è allora, perlustrando la macchina, che gli italiani si avvedono di un altro occupante, ben più prezioso dell’appena catturato tenente von Graevenitz. Un uomo anziano ed impeccabile nell’uniforme imperiale restituisce ai curiosi uno sguardo spento e vitreo, mentre il sangue già inizia a coagularsi dalla ferita in fronte. I documenti subito ne restituiscono l’identità (, ma la sorpresa degli italiani è ancora maggiore quando nelle tasche del pastrano del generale trovano le carte in cui sono segnate le direttrici d’attacco delle colonne austro-tedesche. È interessante notare come in quest’ultime il limite per le avanguardie nemiche sia rappresentato dal fiume Tagliamento e non dal Piave; ciò conferma che la portata degli obiettivi fosse più ridotta e proprio questa sottostima dell’efficacia dell’operazione è da considerarsi come concausa del mancato annientamento delle forze italiane.
EPILOGO
Nelle drammatiche giornate della ritirata verso il Tagliamento, l’avvenimento suscitò non poco entusiasmo, ma le circostanze in cui questo avvenne furono oggetto di numerosi equivoci. La notizia venne comunicata al pubblico il 30 ottobre dall’agenzia Stefani, unica ad avere l’esclusiva per la diffusione dei dispacci dello Stato Maggiore dell’Esercito e fu in seguito ripresa dalla stampa nazionale ed estera. Già il 5 novembre il “The New York Times” titolava “German general killed”, anche se la collocazione fu erroneamente posta sul fronte orientale, per la precisione Riga. Il 18 novembre usciva invece sul Corriere della Sera, a ritrarre l’evento, una fortunata tavola illustrata di Achille Beltrame, che rimase negli anni il simbolo di quel rocambolesco colpo di fortuna. Protagonisti sono due carabinieri ed infatti proprio la paternità dell’azione rappresentò il primo equivoco formatosi. Il merito, nel caotico “dopo Caporetto”, venne attribuito a carabinieri, bersaglieri ed anche arditi, quest’ultimi impegnati nella difesa di Udine. E sebbene il giorno seguente uscì sullo stesso Corriere un articolo in cui si riconosceva il merito al sergente bersagliere Giuseppe Morini, pur con imprecisioni circa lo svolgimento dell’azione, ma purtroppo nell’immaginario collettivo ne rimase l’Arma la protagonista indiscussa. Questo almeno durò finché il 1° Dicembre il Secolo illustrato riportò l’intervista fatta al Morini, in quel momento convalescente all’ospedale “Fratelli bandiera” a Milano dopo essere rimasto ferito al braccio sinistro nei combattimenti fra Paludea e Travesio del 3 Novembre. La notevole attenzione della stampa ben si spiega con il disfattismo imperante di quei giorni. La morte di un generale nemico, sebbene militarmente non così rilevante, rappresentò un toccasana per il morale italiano. Significava che, pur nella disfatta, si era ancora in grado di cogliere qualche successo. Per le truppe tedesche fu invece uno shock ; il generale era infatti oggetto non solo del rispetto gerarchico, ma di una vera e propria ammirazione per le sue qualità umane.
DANIELE DI GIULIO
Avvincente racconto, Daniele. Sapevo qualcosa della storia di Morini, ma con questo articolo mi hai rivelato tutti i particolari. Grazie
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Grazie Carlo per il tuo apprezzamento. Ho cercato di far emergere con dovizia di particolari la storia incredibile di questo nostro concittadino. Peraltro, il suo prosieguo nella guerra lo porterà ad essere insignito della medaglia di bronzo al valor militare con la seguente motivazione: “Comandante di una sezione di mitragliatrici, in momenti estremamente difficili, dirigeva il fuoco della propria sezione con perizia e fermezza. Caduti tutti i serventi di un’arma, egli stesso la manteneva in azione, sotto l’intenso fuoco avversario, contro le truppe avanzanti.Giunto l’ordine di ripiegamento, mentre l’attaccante con le proprie mitragliatrici già batteva la linea da tergo, rimaneva con la propria sezione a proteggere il ripiegamento e si ritirava per ultimo. (Piave, 19 giugno 1918)”.
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Il dopo Caporetto presenta vuoti, infamie, eroismi, oblio.
L’oblio concerne il fatto che la Cavalleria gono a quel momento in ridottissima azione, assunse un ruolo di eccezione. Pur di permettere il passaggio della IIIArmata si fece annientare. Cavalli e cavalieri vennero trucidati dalle mitragliatrici.
Infamia fu la condanna di tanti poveri cristi fucilati alla scienza.Infamia fu che ai prigionieri non si riconobbe il loro martirio: nelle lapidi che l’Italia muro’ in ogni piazza comunale mai figurano i loro nomi.
Infamia fu che furono nascoste le pagine della Relazione sulla disfatta che indossavano il disastro alla catena di comando.
Vuoti assurdi furono o tanti episodi come quelli trovati da Daniele sul nostri Moretti.
Un vuoto di informazione o forse un evento manipolato che tentava fi ammantare il ruolo fi chi in quel momento aveva il compito di fucilare i propri commilitoni.
Il dramma d caporetto svolto dall’oblio riguarda infine le donne friulane r venete stuprate dai germani, slavi, ungheresi, romeni. Stuprate dai propri concittadini quando a guerra finita non vollero riconoscere i figli della vergogna!!
Daniele ha fatto due grandi scoperte.Ha tirato fuori dalla nebbia il ciclista bersagliere che fu sempre meravigliato ed impaurito del suo gesto rapido e preciso.
Ha ricordato in un articolo scritto assieme di Castagnola generale d’Armata sul Piave.
La memoria di chi ha fatto il proprio dovermi guerre che nel giudizio generale possono valutarsi giuste o criminali è sempre un atto di merito
Grazie Daniele.
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Grazie Daniele per questa approfondita ricerca, che ha il merito di riportare alla luce episodi caduti in oblio per manifesta “ideologia” dei contemporanei.
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Perfettamente d’accordo. Inoltre, come è ben descritto nel libro “La battaglia dei capitani (Udine, 28 ottobre 1917)” di Paolo GASPARI, in cui il ricercatore fa emergere il sacrificio di tanti soldati mai citati dalla storiografia ufficiale. Il Tenente Enrico Benci protagonista di quell’evento dichiarò:
“Una grande battaglia di retroguardia durante la ritirata di Caporetto. Quando i generali se ne vanno, rimangono i colonnelli; quando costoro vengono uccisi o feriti, rimango i capitani: gli unici capi che condividono il destino con i loro soldati. E’ stata una battaglia senza speranza, ma grande. Soli, senza rinforzi, isolati nella fiumana degli invasori che ci assalivano e ci circondavano da tutte le parti, abbiamo combattuto per le strade, per i viali, per le piazze di Udine”.
Onore ai caduti.
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Quante belle tarsie storiche in questo mosaico del blog grazie alla ricostruzione di fatti celati, misinterpretati o deformato da censure o propaganda avverse. Grazie ancora una volta al vostro impegno di scrupolosi ricercatori
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Grazie Paola e Caterina di aver riconosciuto il lavoro svolto per amore della verità.
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CIAO, il mio bisnonno si chiamava Giuseppe Morini ed era un sergente bersagliere in Bicicletta…sto cercando di ricucire la Soria per capire se fu proprio il mio bisnonno a compiere quel gesto, se aveste informazioni in merito o dirmi dove posso recuperare le informazioni ne sarei felice!
grazie mille
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ps…il mio bisnonno però non era di Civitavecchia ma di Città di Castello…
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