NOTIZIE DALL’IMPERO DI HURLUBIÈRE
di GIORGIO LEONARDI ♦
«I popoli, una volta abituati ad avere padroni, non riescono più a farne a meno».
(Jean-Jacques Rousseau, “Discorso sulla disuguaglianza”, 1755)
Forse nulla accade che non sia già stato scritto, in un modo o nell’altro, fosse anche solo a livello fantastico o simbolico. La letteratura offre sempre un rifugio efficace alla deriva della superficialità contemporanea. E così, in questi tempi di forti conflittualità, con un tessuto sociale lacerato e a pezzi, mi torna alla mente l’impero di Hurlubière, che ha come capitale Hurlu e il cui imperatore si chiama Hurlubleu. Non è uno scioglilingua né una filastrocca per bambini, è il luogo immaginario che fa da sfondo a un racconto filosofico partorito in pieno Ottocento dalla mente bislacca di Charles Nodier, uno di sana e robusta tempra romantica. Quella che segue è una mia lettura personale.
Il protagonista della storia è Berniquet, un buffone di corte che, prima di arzigogolare sulle sue avventure, nelle primissime pagine del racconto narra del suo arrivo nell’impero dell’insigne Hurlubleu. All’interno di questo Stato vige una religione che venera una divinità, un Pipistrello sacro che, secondo la credenza del luogo, quando stende le sue immense ali copre il sole e fa calare la notte su tutto il Paese, e secondo la miope visione dei suoi abitanti anche sul mondo intero. Tutto andò bene a Hurlubière fino a quando si fecero strada, all’interno del suo corpo sociale, due filosofi che diedero inizio a una feroce controversia su una questione da loro giudicata esiziale: l’origine del Pipistrello. È nato da un uovo bianco, sosteneva uno. No, è nato da un uovo rosso, asseriva l’altro. L’indole umana è agonistica e per natura è facile indurla al conflitto, quindi i due non ebbero difficoltà a istigare i cittadini, attirandoli alle loro rispettive tesi, puntando sull’attitudine del branco e sul cieco istinto gregario della massa. A Hurlubière si formarono allora due fazioni che iniziarono a combattersi con violenza tra loro, creando un’insanabile spaccatura sociale. Un popolo spaccato è debole, si sa, e quindi più facilmente condizionabile e addomesticabile. E fu così che la popolazione del luogo fu preda del losco gioco ordito da entrambi i filosofi. Hurlubleu però, sebbene dispotico, contrariamente a molti capi di Stato era anche saggio: voleva l’armonia e la felicità dei suoi sudditi. E così, anziché eccitare gli animi e acuire le divisioni, tentò una soluzione per pacificare e riunire il suo popolo per il bene collettivo. Dall’alto della sua autorità sentenziò che l’uovo era sia bianco che rosso, a seconda che si considerasse la parte esterna o interna del guscio. E quindi nessuno aveva ragione e nessuno aveva torto. Tuttavia la smania di predominio delle due fazioni non si placò di fronte a questo commendevole compromesso. I due filosofi, tra gli schiamazzi dei rispettivi postriboli ideologici, continuarono ad accendere lo scontro che arrivò a fare, secondo le cronache di Hurlubière, cento milioni di morti.
Il fanatismo, dice Emil Cioran, è «una tara capitale che dà all’uomo il gusto dell’efficacia, della profezia, del terrore: lebbra lirica con la quale egli contamina gli animi, li sottomette, li stritola o li esalta».
Ma è a questo punto che – si racconta – a Hurlu giunse Berniquet. Il sagace giullare usò la semplice logica, e fece subito notare che i pipistrelli, essendo mammiferi, non possono nascere da un uovo, smascherando così in un sol colpo i due beceri filosofi che avevano palesemente mentito, millantando una verità impossibile, per seguire in realtà solo un mero tornaconto personale e un’ignobile sete di predominio. L’imperatore Hurlubleu, indignato, li fece allora decapitare entrambi, in quanto seminatori di odio e di divisioni tra i cittadini… perché pur essendo un sovrano tirannico non era corrotto. Certo, è solo una storiella letteraria.
Comunque l’imperatore raccontato da Nodier deve aver pensato che era meglio far rotolare due teste piuttosto che mandare a rotoli un intero Paese. Ma quando alla guida di una nazione non c’è uno come Hurlubleu, e neanche una mente sveglia come Berniquet, essa resta inevitabilmente in balia di spregiudicati “filosofi” che, per miseri interessi di parte, versano veleni nelle coppe e soffiano sul fuoco delle divisioni.
La scomoda realtà dei nostri tempi ci avvisa che, scatenata la naturale aggressività umana, la sana dialettica viene fagocitata dalla violenza dell’eristica. «La violenza è la retorica della nostra epoca», scriveva Ortega y Gasset nel 1930. Quasi cento anni dopo l’assunto è ancora tristemente valido, con l’aggravante che l’attuale sistema della comunicazione (dai “media” ai cosiddetti “social”) si alimenta di quest’imbarbarimento, volteggiando sulle coscienze come uno stuolo di avvoltoi su una pastura di carogne. Giullari e buffoni di corte non mancano neanche a noi, ma non intelligenti e avveduti come Berniquet. Abbiamo anche “filosofi” dispensatori di false verità, che urlano (in francese “urlare” si dice “hurler”) da una parte e dall’altra, come nell’impero di Hurlubière, con capitale Hurlu, governato dal sovrano Hurlubleu. Con la differenza però che da noi, invece di far rotolare teste, va direttamente a rotoli il Paese.
GIORGIO LEONARDI
Eh… si di questi tempi si urla assai.
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Decisamente troppo, infatti. E sottolineo anche che “hurler” significa anche “ululare” e, per estensione, in senso figurato “fare a pugni”.
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Un divertissement pieno di spunti di riflessione, Giorgio. Un apologo che mostra quello che forse sta accadendo da noi. Mi ha ricordato quella parte dei Viaggi di Gulliver dove si parla degli accademici di Lagado e mi domando se questo racconto non potrebbe aver ispirato Jarry.
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Grazie Ettore. Swift era un maestro di satira. Lagado è un’allegoria che attraversa i tempi, i secoli e la storia. Quanto a Jarry (con riferimento evidente al celebre “Ubu roi”), sicuramente sì. Il movimento surrealista francese ha attinto a piene mani alla cifra grottesca e fantastica della poetica dei Nodier e di quella generazione di “bousingots”, “petits romantiques” (i cosiddetti “Jeunes-France”) che io amo molto. “Briganti del pensiero” che nascono dalla costola “frenetica” del primo Hugo, di Gautier e Nerval, scrittori sottovalutati come “il licantropo” Pétrus Borel, di cui il “mio” Janin fece il verso nel romanzo “L’asino morto”. I surrealisti sono assolutamente loro debitori.
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Bellissimo esempio di quella scrittura filosofica affidata al fantastico che la Francia ha espresso con spirito raffinato, ironicamente salottiero. E che a noi(eccezion fatta per le Operette morali di Leopardi) purtroppo manca. Noi offriamo però materiale sempre nuovo.. de nobis fabula narratur!!!
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Grazie Caterina. Osservazione giusta, la nostra letteratura nell’Ottocento (al netto dei tre grandi) è stata provinciale. La capitale europea era decisamente Parigi. Però vorrei ricordare la parentesi breve ma feconda della nostra Scapigliatura (su cui mi sono formato negli anni accademici e post-accademici). La vena ironica e corrosiva, il gusto per il grottesco e l’eccesso, tentando di recuperare proprio le esperienze poetiche d’oltralpe vanno riconsiderate e rivalutate nel quadro delle nostre lettere. Si pensi al poema “Re Orso” di Arrigo Boito, su tutti. Sulla nostra contemporaneità stendiamo invece, giustamente, un velo pietoso.
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Giorgio, più che alla lettura del Contratto sociale di Rousseau, citato nel frontespizio, e dopo la bagarre contemporanea dei cinque stelle sulla democrazia diretta, il tuo divertissement filosofico mi rimanda all’ avventura di Gargantua e Pantagruel, ai paradossi di Emile Cioran e, come invita Ettore, al re Ubu, che riprende i tuoi ” giochi linguistici” intorno all’uovo; insomma in quell’assurdo che ci apre a soluzioni immaginarie e , in quanto tali, alternative: il tuo è un divertissement che fa vedere l’attualità con una ironica prospettiva diversa. Ciao Giorgio, Paola
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Ciao Paola, è bello vedere come l’utilizzo di un’opera letteraria richiami, a cascata, riferimenti a tante altre. La bellezza della letteratura (e lo dice un comparatista) è proprio quest’intreccio di richiami e riferimenti. Ovviamente in questo caso ci si può muovere, a largo raggio, su tutto lo spettro degli “irregolari” della letteratura, compreso Rabelais. Ma anche il poco noto (e di poco successivo) Béroalde de Verville. Un universo di autori, fino a Queneau e Perec, spesso marginalizzati proprio per il loro essere fuori dai giochi delle accademie. Grazie dell’apprezzamento.
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