“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – DOPO VENTICINQUE ANNI E’ SCESO DALLA MOTO
di STEFANO CERVARELLI ♦
L’agorà sportiva, al pari di qualunque altro mercato o piazza, offre sempre occasioni, motivi d’attrazione che, in molti casi, vanno al di là del semplice, ma non banale, interesse agonistico per coinvolgere aspetti sociali, culturali, economici.
Tanti episodi, tanti personaggi animano quotidianamente la piazza sportiva, sia essa un “modesto” mercato cittadino oppure un grande centro “fieristico”, nazionale o internazionale; episodi, fatti, personaggi che costituiscono motivo d’interesse proprio perché il gesto atletico, tecnico, la performance sportiva non si esaurisce nei confini del suo svolgersi, tanto è vero che lo sport costituisce una delle maggiori attività dell’umanità, sia essa ricreativa, dilettantistica professionistica, sociale, terapeutica. Inoltre esiste anche una componente, come si può dire? sentimentale? dal sapore nostalgico che fa sì che lo sport si leghi alla nostra vita, scandendone passaggi, e facendo da riferimento a particolari situazioni e momenti; quanti di noi non possono dire che certe situazioni, certi ricordi tornino alla mente perché legati ad avvenimenti sportivi?
Tanto per fare un esempio, chi non ricorda le giornate di quel lontano 1982, quando l’Italia vinse il titolo mondiale? O ancor di più l’epica partita contro la Germania finita 4-3? Sono sicuro che tutti, nonostante gli anni passati, ricordiamo ancora benissimo cosa stavamo facendo dove e con chi eravamo in quelle occasioni. Così accadrà per le nuove generazioni, quando ricorderanno queste splendide giornate vissute dal nostro sport dicendo :”Si, mi ricordo quella vacanza, era l’anno che un italiano vinse per la prima volta i 100 m piani” , oppure: ”Ti ricordi quel viaggio? Era quando l’Italia divenne campione d’Europa”.
Bene, proprio in questi giorni, (quando questo articolo apparirà sul blog però di giorni ne saranno passati un po’) si è consumata una storia che senza nessuna ombra di dubbio è destinata a contraddistinguere una generazione, entrando prepotentemente nei suoi ricordi.
Il13 novembre ha dato l’addio al mondo delle corse un personaggio che è già leggenda: Valentino Rossi.
A Valencia “Vale“ (che ci sia un destino nei nomi?) ha concluso la sua lunga e meravigliosa carriera sportiva, la sua ultima gara si è trasformata in una passerella tra l’entusiasmo e il saluto dei 70.000 presenti sugli spalti; prima di lui era impossibile vedere tanto affetto degli spagnoli nei riguardi di un pilota italiano.
I suoi colleghi gli hanno tributato omaggio compiendo un giro d’onore, la festa è poi proseguita nel box di Valentino, tra balli, gag e abbracci dei tifosi; per lui si è scomodato anche Ronaldo (quello brasiliano) suo mito sportivo.
Nello sport ci sono campioni che lasciano un prima e un dopo; Valentino appartiene a questi, chiude un’era irripetibile: il 2022 sarà il primo anno dopo Rossi.
Novemilatrecentosessantadue giorni sono trascorsi dal primo giorno di prove libere in Malesia, era il 1996: lì con l’undicesimo tempo ottenuto da debuttante, a soli 17 anni, è iniziata la sua storia. Da Shah Alam fino a Valencia si snoda un film lunghissimo e bellissimo: era arrivato a salire in sella ad una moto, la 125, che era un ragazzino, scende da una Gp a 42 anni, futuro papà, per diventare leggenda; ma se è per questo non bisognava aspettare che smettesse, Vale con i suoi 25 anni di carriera , i nove titoli mondiali, con l’aver corso il 44% dei GP disputati nella storia del mondiale era già leggenda; per ricevere gli omaggi di tutto il mondo Valentino non ha dovuto certo aspettare gli ultimi giri sul circuito di Valencia.
Già da quando, in agosto, aveva annunciato il suo ritiro, sono iniziati a susseguirsi congratulazioni ed parole di elogio da ogni parte, sotto diverse e molteplici forme che hanno accompagnato, quello che si può definire, il più lungo giro d’onore mai concesso finora a un fuoriclasse. A Valencia c’è stato l’ultimo inchino di tutti nei suoi confronti, anche da parte, di chi sa che esiste il moto mondiale, grazie a lui.
E sempre grazie a lui se il moto mondiale trasmesso in TV ha sfiorato i 10 milioni di telespettatori in più di un’occasione.
I titoli vinti da Rossi, numeri che già da soli esprimono la portata del suo valore, quasi spariscono se vengono rapportati alla potenza sportiva, comunicativa, mediatica di un agonista, come oggi non è facile trovare.
Ha trasformato il suo sport, come fece Tomba con lo sci, rendendolo più popolare; ma più che per le imprese da pilota Vale è diventato un fenomeno al di fuori della pista perché è riuscito a battere la diffidenza di chi non aveva interesse verso il motociclismo; mai banale nelle dichiarazioni, estroverso animatore delle prove, con lui si faceva fatica a far rispettare i rigidi riti della GP.
Valentino era dissacratore ed irriverente, ha rischiato, come d’altra parte tutti i suoi colleghi, la vita ad ogni curva scherzandoci sopra, ha portato sulle tribune non solo appassionati dei motori, ma famiglie intere, creando una simbiosi magica tra atleta e pubblico, come faceva il suo grande amico Marco Simoncelli.
Ecco se c’è un neo nella sua carriera, del quale certo non si può imputare a lui, assolutamente, la responsabilità, è l’essere stato coinvolto involontariamente, come già dissi, ma solo per colpa di un beffardo destino, nella morte dell’ indimenticabile amico; una scena, un ricordo che Vale porterà sempre impressa nella sua mente, dietro quella faccia sbarazzina, da folletto.
Per amor di verità bisogna dire che in una carriera fantastica Rossi non ha saputo sottrarsi, a quella che oramai sembra essere divenuta un’abitudine consolidata di tanti campioni professionisti e di molti personaggi dello spettacolo: quello di eleggere domicilio fiscale in un paese diverso dall’Italia, con tutte le conseguenze giuridiche che ne conseguono.
Per ironia della sorte, nel giorno in cui Vale saluta, in pista non c’è Marc Màrquez, il suo più grande rivale, con il quale ha ingaggiato duelli mozzafiato al limite estremo del regolamento e del pericolo.
Màrquez ne è stato l’erede in fatto di vittorie, (otto mondiali) ma negli ultimi due anni ha dovuto rinunciare a molte gare per via di problemi fisici. L’operazione alla spalla, infortunata dopo una caduta e un recupero che si sta protraendo oltre le previsioni , ne rende impossibile la sua partecipazione; un quadro clinico che addirittura fa temere per il proseguo della sua carriera.
E vero che ci sono altri giovani e valentissimi campioni, anche italiani, che stanno attirando l’attenzione dei tifosi, ma sarebbe un brutto colpo per il mondo del motociclismo perdere contemporaneamente i suoi due piloti più rappresentativi.
A proposito di piloti, devo dire che in questo splendido 2021 per lo sport, non si può purtroppo annoverare nessun “casco” iridato: non accadeva dal 2017.
Parlavo prima di avvenimenti che fanno parte del bagaglio dei nostri ricordi in quanto ci hanno accompagnato per un tratto della nostra vita.
Ricordo che i primi anni della carriera di Valentino Rossi, furono contrassegnati da una specie di pandemia da “ febbre gialla” i colori della sua scuderia.
Da questa epidemia non si salvò neanche mia figlia; la ricordo, poco più che adolescente, stare al tavolo con pazienza certosina, armata di pinzette e piccoli cacciaviti a montare i pezzetti della costruzione in scala della mitica Honda con la quale Valentino Rossi vinse il primo titolo mondiale nella classe cinquecento, mentre il pilota la guardava da un post alle sue spalle.
STEFANO CERVARELLI