IL MONDO DELLA VITA
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Da molti anni abito il mio corpo.
Abito un sistema complesso che spesso agisce senza che io ne sia consapevole. Sangue che circola, alchimie viscerali. Nervi in tensione, polmoni che respirano.
Eppure io non sono il mio organismo. Io sono un corpo non soltanto un organismo.
Corpo è esser nel mondo.
Il corpo non è un oggetto come lo sono tutte le cose che percepisco: uomini, animali, pietre, alberi che io incontro nella quotidianità. Il corpo è sempre con me , come un ombra, un ombra che non è mai di fronte a me come lo sono gli oggetti. Con il corpo io produco il mondo della vita che mi appartiene, costruisco il mio ambiente.
Io sono un vissuto, uno stile di vita, una serie di relazioni, un ideale, un insieme di amori, un intrigo di abitudini, un senso di vita.
Il corpo è la mia esistenza. L’organismo non è il mio corpo ma solo una modalità dell’essere corpo seppur vitale.
Dunque, dovrei correggermi: da molti anni “vivo” il mio corpo!
Quando il dolore mi invade non è l’organo colpito che soffre ma è il fatto che io perdo la relazione con l’esser nel mondo: il mio ambiente si ritrae, perdo la relazionalità, mi incurvo su me stesso in quanto organismo lacerato.
Questa premessa è necessaria per affrontare una domanda, meglio, la domanda per eccellenza: che cosa è la vita?
Ebbene, io mi ascolto vivere quando il mio valore esistenziale ha un senso.
Ma quando questo si esaurisce lentamente per poi svanire del tutto, il valore biologico può sostituire questa mancanza esistenziale?
Se quel mondo della vita è morto del tutto a cosa vale far sopravvivere il meccanismo biologico?
La “morte biologica” è cosa diversa dalla “morte esistenziale”. Se giacendo in un letto di ospedale o in casa ho perso del tutto il mio mondo e, dunque, sono morto umanamente perché si continua a pensare che la vita sia fondata solo sulla materia animata : il paziente è “in vita” e lo è solo perché ancora il suo organismo reagisce ove stimolato artificialmente!
Perché si “riconosce la morte” solo e soltanto per cause organiche?
La vita ha nell’organismo la condizione necessaria ma questa condizione non è sufficiente ad esprimere “la vita” per la premessa sopra esposta .La vita non potrebbe mai identificarsi soltanto con il funzionamento dell’organismo. La vita presuppone l’organismo in funzionamento (bene o male che sia)ma presuppone sostanzialmente che il mio ”mondo della vita” sia possibile
Ci fu tempo in cui corpo era prigione di qualcosa che apparteneva al Totalmente Altro. Il corpo disprezzato perché impedimento alla salita trascendente ( Platone e Cristianesimo).
Ci fu un tempo in cui il corpo si considerò massa estesa al pari di ogni cosa al mondo contrapponendolo alla materia pensante (da Cartesio in poi) .
Oggi il corpo è il mondo della vita.
E la vita è ciò che Welby fa intendere e che Enrico ha citato nel suo articolo: ciò che mi è rimasto non è più vita.
CARLO ALBERTO FALZETTI
Ciao Carlo, buongiorno.
Nel tuo ragionare di corpi, nel tuo pensarti corpo, quanto c’è di femminista! Una donna non può mai non sentirsi corpo, non essere un corpo osservato. So che tu ne parli per arrivare a riflettere di quando ci è ancora possibile dirci vivi.
Vorrei scriverti, però, la mia citazione del cuore:
«Da tutte le parti questo corpo che mi abita e che abito sfugge e mi torna, come se fosse l’anguilla della mia coscienza, un’anguilla attaccata a “me”» Rossana Rossanda.
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Caro Carlo
Hai reso perfettamente i concetti di vita biologica e corpo ( o vita biografica come qualcuno la definisce ) e le loro differenze ontologiche che sembrano annullarsi o non essere percepibili durante il corso della nostra esistenza, ma che vengono drammaticamente alla luce quando corpo e vita rimangono incatenati all’ organismo in una sorta di subalternità o sottomissione. Una prigione dalla quale c’è una sola via d’uscita: privilegiare il proprio diritto a vivere o morire. Non riesco a credere che la vita sia indisponibile per se stessi, ma condizionata da norme morali e religiose che decidono per tutti, considerando la vita solo un insieme di apparati e organi da mantenere in vita.
Enrico
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Le riflessioni proposte da Carlo evocano un aspetto della questione trascurato dalle prospettive organicistiche. Il corpo che vive, ama, soffre, si trasforma, muore è anche un linguaggio che non ha bisogno di parole: è “un linguaggio da cui siamo parlati”.
Nicola
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Sì. Carlo. Quando cessassero irreversibilmente le relazioni affettive e sociali, le emozioni, Il gusto per le cose, il piacere estetico, la capacità di commuoversi, la curiosità, la consapevolezza del tempo, il sentire insieme, i valori morali, la pulsione dello spirito, quando insomma precipitassero nella dimenticanza le tre anime del mito platonico, che resterebbe? Non un roi dechu, che almeno percepirebbe con dolore il regno perduto, ma un organismo privato di coscienza, una macchina mal funzionante affidata ad altrui manutenzione, un feticcio corporeo, non vita, ma simulacro di vita.
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Ma ragazzi, dal corpo talor dolente, il vostro sentimento dell’esistenza è una vibrazione vitale, un empito di intelletto ed emozioni che coinvolge solo a leggervi! E necessariamente persone così intrise di passione ed entusiasmo (nel senso etimologico del termine) non possono pensarsi né essere pensate in condizioni di deprivazione di questo patrimonio vitale! O è così, cioè come aedificatio plenae vitae o non lo è. Tertium non datur. Dunque proseguite con il vostro canto alla vita. Il corpo non è quello degli a atomi-patologie e dei fisiologi, o perlomeno non è solo quello. Il corpo è anche dimensione culturale. Vi abbraccio con il mio animo e il mio corpo! ♥️
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E’ Husserl che conia il neologismo ” Lebenswelt “: la filosofia è considerata un oltrepassamento pratico del naturalismo ( le scienze naturali). I filosofi, questi funzionari dell’umanità, devono comprendere il perchè della crisi della razionalità europea ed indicare nel mondo della vita il fondamento dimenticato delle scienze. Chi si situa nel mondo della vita pone al centro un ” orizzonte di cose che non sono meri corpi, bensì oggetti di valore”. Prima di ricevere pieni diritti di cittadinanza linguistica il vocabolo doveva apparire un ibrido mostruoso, un ” centauro concettuale”, composto da Welt, che allude alla totalità compatta, durevole, corposa del ” mondo” e da Leben, che rinvia alla multiforme, fragile, caduca finitezza della “vita”.
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