Il contesto

di SILVIO SERANGELI

È capitato che, rimettendo in ordine una cassapanca abbiamo ritrovato alcuni albumetti fotografici della nostra gioventù: di mia moglie e mia. Nessuna nostalgia, ma l’emozione e il sorriso che quelle immagini, per la verità con i colori un po’ sbiaditi ci hanno suscitato. «Ma eravamo così? Incredibile!» Mi spiego: le foto, quelle vere con la reflex e il rollino d’ordinanza, erano quelle scattate da un compagno al Congresso Regionale del PCI del Veneto Anni Settanta. Nell’immagine più significativa comparivamo noi due rispettivamente con eskimo capelli lunghi barba fluente sciarpona rossa, cappottone militare con alamari sciarpona rossa a coprire la testa, perché in quei giorni a Venezia faceva proprio freddo.

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Accanto a noi la Renata e Roberto anche loro in abiti d’ordinanza con Roberto che portava il basco con la stella rossa, e poi fitti fitti la Monia con Amedeo, la Carla col basco con Nello anche lui con barba e capelli lunghi: tutti insegnanti emigrati nelle pianure venete, tutti in posa, sorridenti e giovani con il pugno chiuso, quello col braccio giusto: il sinistro. Eravamo a Venezia, con i vaporetti che sfrecciavano nei canali con le bandiere rosse al vento dei compagni, ma non era carnevale. C’erano le riunioni dei gruppi di studio di noi delegati, i seminari, le discussioni. Quella foto, che ora ci fa sorridere significava, e significa tanto lavoro di preparazione, l’orgoglio di appartenere a un movimento di donne e uomini che ci credeva, e ancora ci crede, che si era mosso a spese proprie, in cinque su una vecchia Ritmo con il pan biscotto e la salama, che aveva provato una forte emozione a seguire l’intervento conclusivo al Teatro Malibran del compagno Pajetta. Fu una bella semina che portò a un prosperoso raccolto: alle elezioni conquistammo i comuni del Polesine: da Porto Tolle e Contarina  fino a Lendinara e Castelmassa: il feudo storico dei preti, dei Bisaglia e dei Bernini. Furono eletti sindaci alcuni nostri colleghi insegnanti. Questo era il contesto di quella foto. E, invece, nella ricostruzione della storia recente il giornalismo da poltrona sparge a piene mani giudizi e commenti a dir poco dispregiativi.

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Dietro quella foto, al libretto di Mao, distribuito nel nostro porto, agli scritti di Lenin, ai volumi del Capitale di Marx, alle lettura di Gramsci c’è da valutare il momento storico, la realtà e, soprattutto, l’onestà delle persone. Il contesto. Mi suscita un profondo disgusto la disonestà dei giudizi che sanno di provocazione di alcuni cosiddetti giornalisti notisti alla Francesco Merlo che cita Lenin come se fosse un gangester, parla di Stalin e di Mao come due sanguinari, per aggiunta ci mette anche Togliatti, e non salva neppure Berlinguer. Ma questi signori che hanno sempre galleggiato nella brodaglia del giornalismo in doppio petto, in quel terzismo comodo a far carriera, fatto di niente, sanno chi erano e chi sono quegli sciagurati che allora ed ora, hanno creduto e credono, a una visione diversa di questo mondaccio. Ricordo ancora quando in alcune casoni polesani: un fornello e la camera col letto con il gabinetto in comune nell’aia, scorsi sopra il letto, al posto della madonna e del crocefisso, l’immagine di Giuseppe Stalin. Era forse l’apologia del terrore? Quegli uomini, quelle donne l’avevano messo lì perché era il simbolo contro i  soprusi degli agrari; era il liberatore dai fascisti e dai nazisti. Che male c’era? Che male abbiamo fatto a leggere il Libretto Rosso? A gridare gli slogan del Movimento e del Partito.Scansione 4 2

Non abbiamo niente di cui vergognarci. Non abbiamo mai lanciato un sasso, meno che meno una molotov, studiavamo leggevamo e molto e ci incontravamo nelle case, come qualcuno di questo Blog ricorda bene, perché non avevano una sede. Illustravamo le relazioni e ci confrontavamo sulle letture assegnate per la settimana: i due volumi del Mandel, Perchè il Vietnam resiste? di Chesneaux, Marcuse e Gramsci, Lenin, Trotsky,  le Poesie e Canzoni di Brecht:  La scritta invincibile. Tutti comprati a rate, un po’ al mese. Il manuale dell’agitatore operaio, che costava 700 lire, che prestai e non mi fu più restituito, era gratis perché l’aveva scritto uno dei nostri.

Scansione 7Niente canne spinelli e derivati, qualcuno si atteggiava sostituendo le nazionali esportazioni con le pestifere gauloises, ci concedevamo qualche boccione di vino nelle scampagnate del 25 aprile e del 1° maggio. Ci siamo smarcati dagli errori e dagli orrori. Che ne sanno i Merlo e i merletti? Ignorano volutamente il contesto, quel contesto. E ci speculano, loro i liberal di che? In questa deriva reazionaria,  a braccetto coi loro colleghi che hanno fatto carriera sull’onda del Movimento e del Partito. Ci sono molti che magari non blaterano certo nei talk show televisivi  che sono rimasti ai valori  della solidarietà, della militanza senza più il Partito con onestà, nella vita quotidiana, ora come allora. Il contesto, in questi anni, è cambiato, tira una brutta aria. Nessuno replica ai Francesco Merlo Fiat Repubblica e ai tanti derivati perché sta bene e prospera in questo pantano, fino a mettere sullo stesso piano  fascismo e Resistenza, fino a vergognarsi della propria storia e di quelli che magari, fino a qualche tempo fa lo hanno votato e portato a spalle in Parlamento.  Buon per loro. Ma il filo rosso che abbiamo imparato a tessere allora non si  è mai spezzato.

SILVIO SERANGELI