“Bacigalupo, Ballarin, Maroso…”
di VALENTINA DI GENNARO ♦
Nell’autunno del 1945 mio padre e la sua famiglia tornano a Civitavecchia, sarà assegnata loro una casa, poco più di una baracca, nel cortile di un caseggiato, ad uso abitativo per gli ufficiali dell’esercito giunti in città per la ricostruzione, e che collaboravano con i militari angloamericani rimasti in città dai giorni della Liberazione.
Mio nonno Danilo, rimasto senza lavoro negli anni dello “sfollamento”, spalava le macerie del centro storico in rovina. Aveva però allacciato dei rapporti con il comando delle truppe degli alleati durante il soggiorno viterbese.
Una volta a Civitavecchia, divenne il responsabile degli approvvigionamenti alimentari della caserma angloamericana.
Si lamentava che i militari semplici, impiegati in cucina, lo trattassero con diffidenza. Un ufficiale raccolse le sue lamentale e con fare cerimonioso lo proclamò “Sergent Shit”.
Durante quei primi anni del dopoguerra, quel cortile, diventa lo scenario di tante storie, che hanno tutte, come colonna sonora, la telecronaca delle partite del Grande Torino, della tromba suonata dagli spalti per dare la carica a Valentino Mazzola che si arrotolava le maniche della divisa, e partiva la rimonta del Toro.
I bambini sono appassionati di calcio, seguono le partite dei loro idoli: “Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Castigliano, Rigamonti, Grezar, Menti, Loik,Gabetto, Mazzola, Ossola.”
Superga non è poi così lontana, ma il Grande Torino è il simbolo della rinascita.
Giocano tutti in quel cortile, bambini e ragazzi che hanno meno poco, altri niente, orfani di guerra, che soffrono la fame, ma anche figli di ufficiali con l’accento del Nord Italia, da sfottere un po’.
Pochi anni fa, un amico di infanzia di mio padre, un amico del “campaccio”, mi ha raccontato di come nella cucina di mia nonna Ilde trovasse sempre un piatto di pasta in più, anche per lui.
Quando lavoravo nella direzione nazionale di Rifondazione Comunista, nel dipartimento che si occupava delle tematiche relative alla giustizia, ho conosciuto il magistrato Giovanni Palombarini.
Mio padre mi aveva raccontato che anche lui, figlio di ufficiale, era un bambino di quel cortile. Mi feci avanti, mi presentai, gli chiesi se ricordava. Gli si illuminó il viso al ricordo di quei tempi. “Tuo padre non mi faceva mai giocare.”
Ma l’amicizia più salda fu quella con tre fratelli. Si erano conosciuti proprio il giorno del rientro a Civitavecchia. Avevano assegnato loro due alloggi vicini. Quelle due famiglie, i cui ricordi sono diventati i racconti della mia infanzia, si aiutarono a vicenda a scaricare le poche cose riportate a casa. Hanno diviso poco pane e tanta vita.
Salutati con abbracci fraterni durante le partenze per il servizio militare. Il vestito buono alle comunioni, ai matrimoni. Le sveglie all’alba tra pasticcerie e distributori.
Finché hanno lavorato, prima della pensione, si sono visti tutti i giorni.
VALENTINA DI GENNARO
Bellissimo ricordo, uno scorcio di esistenze che si rincorrono nel tempo
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E’ il mio grande (unico) ricordo che ho del calcio. Ho presente il momento in cui apprendo la notizia di Superga. Sono nella stanza di mamma, davanti al comò.Allora sapevo e so i nomi degli eroi.
Tutti scomparsi ed immediatamente passo tutto me stesso alla Juve.
Accusa perenne di Ettore contro il rinnegato.
Ma, a mo’ di giustificazione: non avevo più quella squadra.
Scomparsa. Avvolta nel nulla.
Avevo bisogno di credere in qualcosa di forte.
Chiarita la giustificazione?
Una voce stonata urla:
“Rinnegato! ” ( è quel barboso di mio fratello!!)
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Carlo mi fa personaggio di una storia di pura fantasia. Che tifasse Torino lo vengo a sapere solo ora, io lo ricordo solo juventino (mi domando: ma se proprio voleva restare in Piemonte, perché non optare per il Casale o la Pro Vercelli? Forse perché non vincevano da tempo e a lui piace stare dalla parte dei vincenti ?).
A ogni modo, io nacqui venti giorni prima dello schianto di Superga ed ero troppo occupato a ciucciare latte per perdere tempo a dargli del rinnegato e fargli crescere un’improbabile barba.
P.s,: Anche la mia poco vincente squadra a un certo punto scomparve, non fisicamente, ma per bancarotta e ricominciò dalla C2 con altra denominazione. Mai mi sognai di abbandonarla.
Per cui, se sono ancora in tempo, volentieri do adesso del rinnegato a mio fratello perché in ogni caso, seppur con organico di minor valore, il Torino ha continuato a esistere anche dopo Superga.
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Racconto che evoca tante emozioni. Sono ancora del Torino (quello), non ho mai cambiato squadra, per affetto verso mia mamma. E conservo l’album a fumetti, uscito allora, con il racconto dell’ultimo viaggio.
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Brava Valentina, mia nonna, alta, slanciata, bionda, con gli occhi azzurri, veniva da lassù, era di Novara, un poco sotto la Val d’Ossola. Episodi dell’ultimo fascismo, Repubblica di Salò e repubblichini a commettere assassinii sono riaffiotati dopo. Ricordo invece la mia infanzia con i miei cugini torinesi che negli anni ’50 calavano da noi “terroni”, forti del mito del “Torino”. Gioia, spensieratezza, prese in giro e mia nonna, alta, dal fare aristocratico, che aiutava a sbarcare il lunario stirando le camicie degli ufficiali venuti dal Nord.
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