STORIE DI CIVITAVECCHIA.
Presentazione del volume Storia di Civitavecchia dalle origini agli albori dell’età moderna.da Traiano a Paolo II di Odoardo Toti.
Dopolavoro ferroviario, 5 novembre 1992
di FRANCESCO CORRENTI ♦
“Fù questa Città nella sua prima Origine chiamata Castel Vecchio, poscia Centocelle, et al presente Ciuita Vecchia, la qual diuersità di Nomi nacque per esser stata più e’ più volte destrutta dalli Saraceni, et altre barbare Nazioni, come Goti, Vandali,Unni & distrugitori di Roma, dell’Impero, e’ dell’Italia.” Inizia con queste parole il manoscritto casanatense Antichità e’ Memorie di Ciuita Vecchia portate alla luce dal Magnifico Dottore Signor Arcangelo Molletti Nobile Cittadino L’Anno 1700, primo tentativo pervenutoci di compilazione organica d’una storia urbana della città laziale, mai pubblicato e rimasto quasi sconosciuto, anche se consultato ed abbondantemente utilizzato dai successivi storiografi municipali. Ne ho pubblicato molti brani nel 1985 ed ho in programma di curarne l’edizione integrale, per le edizioni del CDU comunale, proseguendo le iniziative analoghe già attuate. Posso qui anticipare l’idea di condurre il lavoro con il contributo proprio dell’amico Odoardo, che ringrazio veramente di cuore per avermi voluto come relatore di questa sua nuova fatica.
Insieme ad una perduta scrittura redatta negli stessi anni da Giuseppe Rocchi, il lavoro del Molletti veniva a completare ed integrare le iscrizioni commemorative poste, probabilmente con il contributo di entrambi gli eruditi, ad esaltare i “fasti civici” nella sala consiliare del Palazzo Comunale (completato nel 1696) e consistenti in una serie di epigrafi latine, poi aggiornate fino al 1747, ciascuna dedicata ad uno dei fatti salienti della città, a partire dalla sua “fondazione” ad opera di Traiano. Queste iscrizioni, tramandateci dagli altri storiografi, rappresentano la prima presa di coscienza ufficiale, da parte di Civitavecchia, della propria storia, significativamente espressa nel momento in cui la riforma di Innocenzo XII ne faceva il capoluogo d’un distretto e la sede del governatore prelato posto a reggere la nuova entità territoriale, e sono all’origine dell’interpretazione tradizionale delle vicende cittadine, con tutte le imprecisioni e gli errori che la caratterizzano e che ancora vengono ripetuti, nonostante il lavoro di critica e di revisione scientifica compiuto da vari studiosi negli ultimi decenni.
La frase del Molletti riassume nel modo migliore gli elementi fondamentali di tale interpretazione – tratta in parte da fonti attendibili e per il resto da testi privi di alcun fondamento –, che attribuiva al centro portuale un’antichissima origine ed una ininterrotta esistenza, accompagnata da innumerevoli assedi e devastazioni, da cui – tuttavia – era sempre risorto immediatamente e gloriosamente.
Troviamo così, mescolati ad alcuni dati ineccepibili, molti elementi del tutto leggendari, come l’identificazione di Castrum Vetus con un ipotetico abitato nello stesso sito poi occupato da Centumcellae, le citazioni virgiliane dei Pyrgi veteres, da cui scaturiscono confuse evocazioni di un “lido pirgano” e d’un “mare cellese”, l’invenzione d’un immaginario Forum Cellae, che avrebbe dato il nome alla località civitavecchiese delle Forcelle, ed altre innumerevoli ingenuità e fantasie.
Accanto a questo tipo di notizie raccolte senza discernimento critico, il manoscritto del Molletti e le prime opere a stampa successive contengono altri tipi di errori, che sono divenuti, col tempo, i capisaldi d’una storia cittadina, assurta appunto a dignità di tradizione e, di conseguenza, difficilissima da sradicare dall’opinione pubblica.
In effetti, Civitavecchia può vantare una serie di opere, sulla propria storia, che raramente centri similari possiedono. Nello stesso secolo del Molletti, appaiono quasi contemporaneamente a Roma, nel 1761, l’Istoria dell’antichissima città di Civitavecchia scritta dal marchese Antigono Frangipani, Nobile Romano Conscritto e capitano col comando in capite della truppa pontificia di sbarco sopra li bastimenti da guerra papalini ed il volume Delle antiche Terme Taurine esistenti nel territorio di Civitavecchia, dissertazione in cui si premettono le memorie cronologiche di essa città e trattasi in fine delle native, ed avventizie qualità di sua atmosfera di Gaetano Torraca, Dottore di Filosofia e Medicina. Nel 1837 viene pubblicata, a Prato, la breve ma corretta monografia di Pietro Manzi (1785-1839) dal titolo Stato antico ed attuale del porto, città e provincia di Civitavecchia. Nel 1853 vede la luce postuma, a Roma, la Storia di Civitavecchia dalla sua origine fino all’anno 1848, scritta da Monsignor Vincenzo Annovazzi, Arcivescovo d’Iconio (1779-1850), fortemente influenzata dallo stato sacerdotale dell’autore.
Una storia indiretta di Civitavecchia, delle sue fortificazioni e dei fatti d’arme marinareschi che la videro implicata è contenuta nell’opera monumentale di Francesco (padre Alberto, da domenicano) Guglielmotti (1812-1893), dapprima apparsa sotto i singoli titoli dei vari saggi e poi riedita in dieci volumi, a cura della Tipografia Vaticana, tra il 1886 ed il 1893, come organica Storia della marina pontificia (dal Medioevo al 1807).
Una citazione a parte va fatta per i numerosi capitoli in cui il domenicano francese Jean-Baptiste Labat (1663-1738), essendo vissuto a Civitavecchia dal 1710 al 1716, descrive – nei Voyages en Espagne et en Italie – la città dei suoi tempi, ne riassume la storia, ne illustra le fortificazioni, i palazzi, le chiese, i costumi ed i personaggi, fornendoci un quadro completo e prezioso della vita cittadina, condito da una pungente ironia. Pubblicati, in otto tomi, a Parigi nel 1730 e ad Amsterdam nel 1731, i Voyages sono rimasti di fatto sconosciuti ai civitavecchiesi fino ai nostri giorni, anche se già il Guglielmotti e poi il Calisse ne citano alcuni brani.
Finalmente, dopo una prima edizione del 1898, Carlo Calisse (1859-1945) dà alle stampe nel 1936, in Firenze, la sua fondamentale Storia di Civitavecchia, in un volume di 867 pagine corredato da un’imponente documentazione bibliografica, che è e rimarrà l’opera storicamente più completa e letterariamente più pregevole sulla città. Purtroppo, anch’essa, in alcune parti, non è esente da errori.
Anzi, proprio all’indiscussa autorità dell’autore, si deve l’avallo e la diffusione di alcuni tra i più gravi travisamenti della storia cittadina, soprattutto per quanto riguarda l’attribuzione alla città portuale dei documenti (relativi ad un periodo di quasi seicento anni) pertinenti alla nuova Centocelle di Leone IV, dove furono trasferiti i profughi della “vecchia”, distrutta e resa impraticabile alle incursioni arabe del IX secolo.
Carlo Calisse chiude, degnamente, l’elenco degli storiografi municipali che possiamo chiamare “classici” e che, in un crescendo di scientificità e attendibilità, hanno formato quel corpus di documentazione su Civitavecchia, particolarmente valido per gli avvenimenti più vicini all’epoca degli autori, che non può essere ignorato da chi voglia ripercorrere consapevolmente la lunga vicenda storica della città o vi voglia trovare elementi per sviluppare riflessioni o studi specialistici.
A questo insieme di storiografie, interessante di per se stesso anche dal punto di vista sociologico e della storia di questo genere letterario, può essere ancora aggiunta un’opera, pur se rivolta al solo aspetto archeologico e, quindi, limitata alla trattazione delle età più antiche, fino all’epoca bizantina: il libro Centumcellae (Civitavecchia) – Castrum Novum (Torre Chiaruccia), pubblicato a Roma nel 1954, nella collezione “Italia Romana: municipi e colonie”, da Salvatore Bastianelli (1885-1975), studioso locale cui si devono, tra l’altro, interessantissimi appunti su innumerevoli ritrovamenti nel territorio, che però hanno potuto essere resi noti solo dopo la sua morte. In quest’opera, riassuntiva di molte precedenti comunicazioni, il Bastianelli ha fornito una ricostruzione della città romana e del suo porto, a volte discutibile, ma ricca di annotazioni e osservazioni derivanti dalla diretta conoscenza dei reperti archeologici (spesso, oggi perduti), per cui costituisce un’indispensabile base per ogni studio sull’argomento. In questo senso, non può essere taciuta l’attività di altri studiosi civitavecchiesi, come Fernando Barbaranelli (1907-1978), Fernando Cordelli (1899-1960) e, per quanto riguarda gli studi sul porto, Francesco Cinciari (1890-1980), che hanno lasciato un ricco patrimonio documentario di apporti alla storia locale.
I lavori e contributi delle ultime generazioni di studiosi che hanno finalizzato le loro ricerche all’approfondimento della storia di Civitavecchia, sotto diverse angolazioni, rappresentano una nuova fase degli studi; quella, appunto, dell’indagine mirata ad argomenti specifici, della rilettura degli avvenimenti alla luce delle aggiornate ed ampliate conoscenze, della revisione critica di precedenti impostazioni ed interpretazioni. Questo nuovo ciclo di ricerche si apre con la monografia Civitavecchia, il porto e la città di Pietro Attuoni, pubblicata a Roma nel 1958, in “Memorie della Società Geografica Italiana”, e con il saggio La città medioevale di Centocelle di Odoardo Toti, apparso nello stesso anno a cura dell’Associazione Archeologica “A. Klitsche de la Grange” di Allumiere. Si tratta di due lavori molto diversi, che tuttavia ben testimoniano il rinnovamento dell’approccio al tema storico.
Il primo fornisce un’esauriente sintesi delle conoscenze sulla città, impostata con un maggiore rigore rispetto a simili pubblicazioni edite in epoca fascista e inserendola in un’analisi demografica e socio-economica che apre prospettive per lo sviluppo delle attività portuali con grande anticipo sui tempi. Il secondo affronta, sia pure prendendo spunto da osservazioni contenute in pubblicazioni edite da tempo, le opere del Lauer, del Signorelli e del Silvestrelli (ma rimaste completamente ignorate a Civitavecchia e, quindi, senza effetti sull’evoluzione degli studi), la revisione metodica di quanto sostenuto dal Calisse circa l’immediato abbandono della città di Leone IV e la conseguente precoce rinascita del centro portuale. Si rinnega, così, una tradizione secolare e si distrugge il mito del vecchio marinaio Leandro, suscitatore dell’ottimo consiglio del ritorno alla vecchia città: lo stesso significato dello stemma municipale è posto in discussione. La prima edizione del saggio del Toti, peraltro, ha avuto pochissima eco e solo negli ultimi vent’anni, con la critica sistematica alla storia tradizionale, aperta da alcuni studi, si è potuto riscontrare il diffondersi d’una conoscenza aggiornata alle revisioni introdotte dai diversi contributi.
Tra questi va annoverato il bellissimo volume che rappresenta la seconda edizione, integrata nel testo ed arricchita da un’eccellente documentazione fotografica, de La città medioevale di Centocelle, che ha finalmente avuto un uditorio più vasto e più attento. Accanto ad esso vanno posti i contributi del Toti, apparsi in questi anni, sulla preistoria e protostoria del territorio civitavecchiese e dei suoi dintorni montani. Trattandosi di contributi non attinenti alla storia della città in senso stretto, non scenderò ad esaminarli nel dettaglio, ma basti dire che essi rappresentano una puntualizzazione molto precisa (e non priva di polemiche verso diversi orientamenti della cultura accademica) di vicende antichissime che costituiscono pur sempre la premessa della successiva storia cittadina.
Di essa, il volume che ho l’onore di presentare fornisce un nuovo ed inatteso approfondimento, che abbraccia il periodo dalle origini al 1471, ossia quell’amplissimo arco di tempo sul quale ancora occorre completare le analisi e le verifiche. Già questo ci dice che la Storia di Odoardo Toti non è una banale ripetizione di avvenimenti già narrati. Con puntuale e paziente lavoro, l’Autore ripercorre le vicende urbane, riesaminando tutte le fonti, sfrondandole da inesattezze e soprattutto attribuendole correttamente a Civitavecchia o a Centocelle, laddove il Calisse e altri avevano ingenerato quella gravissima confusione tra le parallele storie dei due centri medioevali. Ne scaturisce una lettura semplice e piana, corredata da innumerevoli osservazioni chiarificatrici, che consente finalmente di ripercorrere le vicende di Civitavecchia, senza essere indotti in errori e fantasie.
Indulgendo alla vanità, devo dire che ho visto con soddisfazione numerose citazioni di mie tesi ed opinioni, che il Toti condivide e riprende, come riprende anche la «rilettura critica» del mio sottotitolo. Così ho pure apprezzato l’impaginazione del volume, condotta con il criterio, già da me studiato e adottato in Chome lo papa uole, di fornire al lettore, sulla stessa pagina del testo, le note relative in una colonna laterale e non a piè di pagina o in chiusura. Un criterio, io trovo, che semplifica la lettura e consente un immediato riscontro delle fonti e delle precisazioni, altrimenti da molti trascurate.
L’opera, quindi, è di grande utilità. Dal punto di vista scientifico è ineccepibile, ma il suo pregio maggiore, a mio parere, va visto nell’occasione che offre al lettore disinformato sulla storia di Civitavecchia (compresi non pochi studiosi di chiara fama tuttora ancorati alle vecchie e tradizionali versioni) di conoscere l’autentico sviluppo di questa storia, in un racconto stringato ma esauriente.
Con modestia, l’Autore conclude il suo lavoro con questa frase: «Eliminando tutto ciò che appartiene alla città medievale di Cento celle ne è scaturita una storia di Civita vecchia rigidamente più veritiera, forsanche più affascinante, certamente più ricca di incognite, della quale ho semplicemente tentato di porre in un ordine di facile consultazione gli eventi che l’hanno costellata dalla fondazione alla fine del medioevo.»
Questo è il merito di Odoardo Toti e rende il suo lavoro un libro di testo che dovrebbe trovar posto nelle aule di tutte le scuole cittadine e nelle case d’ogni famiglia di Civitavecchia.
Avvertenza post scripta
In alcune situazioni professionali o di ruolo, esprimere pubblicamente la propria partecipazione al cordoglio pubblico per la scomparsa di persone conosciute e stimate fa parte dei doveri istituzionali. Molto diverso è lo stato d’animo, quando quella partecipazione sia basata su anni di rapporti di amicizia, di lavoro comune o di comune sentire.
È il caso, per me, della morte di Odoardo Toti ed ho già manifestato il mio dolore sincero per la notizia che mi ha raggiunto in momenti e luoghi inconsueti e non abituali.
La nostra amicizia, molto speciale, probabilmente non comprensibile a tutti, era tanto sentita da entrambe le parti proprio perché non dovuta a consuetudini quotidiane, a frequentazioni assidue o ad interessi materiali di qualunque tipo. Era un fatto implicito, spontaneo, nonostante la distanza e gli ambienti diversi da noi frequentati, malgrado alcuni fatti “estranei” avvenuti dopo il mio pensionamento e la conseguente interruzione degli incontri continui, proprio per via della lontananza e degli avvenimenti.
Fatto è che ci siamo, in vario modo, tenuti in contatto solo con saltuarie eppure molto significative conversazioni. Perché quando si sono verificati alcuni episodi di varia portata riguardanti gli ambiti che ci hanno unito fin dal momento della nostra conoscenza, è stato sufficiente scambiarci poche parole per essere immediatamente in piena sintonia, come del resto avveniva con altri amici e come avveniva fin dalla prima manifestazione pubblica – la mostra e tavola rotonda (e successiva pubblicazione) “Civitavecchia da salvare” del 18 settembre 1971 – quando abbiamo condiviso per la prima volta la volontà di restituire alla città, annichilita dalle distruzioni e dalle demolizioni, la memoria consapevole del suo passato, purtroppo privato irrimediabilmente di tanta parte del suo patrimonio materiale ma ancora immenso per il suo valore civile, sociale e culturale.
Per questo, ho preferito continuare un dialogo che – con le inevitabili variazioni della vita – si è certamente evoluto nel corso di tanti anni ma ha conservato, nelle varie circostanze, l’interesse di testimonianza diretta ed autentica dei rapporti interpersonali nei diversi momenti dell’esistenza.
Per questo, credo che, per quanto mi riguarda, il modo migliore per ricordare la nostra lunghissima amicizia fatta di stima reciproca e di condivisione di valori sia quella di riproporre a chi non l’ha ascoltata né letta la presentazione del primo volume dell’opera storiografica di Odoardo, esattamente così come l’ho pronunciata, senza abbellimenti e senza ritocchi, soprattutto molto sincera com’era in quella circostanza, in cui mi aveva chiesto di essere il relatore del suo lavoro storiografico.
Quei legami iniziali sono rimasti fino alla fine, fino agli ultimi contatti telefonici, anche se vi era una sostanziale, profonda differenza tra il modo suo ed il modo mio di occuparci del passato di Civitavecchia. Differenze dovute ai ruoli diversi, differenze dovute alle diverse professioni e differenze dovute al tipo di approccio, ma comune, forte e al di sopra di qualunque possibile discordanza di opinioni – basti pensare all’OC/CO dell’Ottimo Consiglio – o addirittura di attrito, era l’impegno profuso per la difesa dei valori e degli ideali che ci univano nella vera e propria lotta contro le mistificazioni e contro metodi, tendenze e mentalità basati su interessi molto diversi dai nostri.
Roma, 30 giugno 2021
FRANCESCO CORRENTI
Bellissimo ricordo, veritiero e ricco di documentazione. Invierò l’articolo a Ines, la figlia del professore Busnengo.
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