9 OTTOBRE 1963 IL VAJONT, UNA QUESTIONE DI PIL
Dev’essere una caratteristica di coloro che raggiungono una certa età, quella nella quale i ricordi lontani riaffiorano, ricordi che la gran parte della gente non può avere, ricordi che i giovani non possono avere.
Mentre scrivo, a pochi giorni dalla ricorrenza, mi chiedo se i media se ne ricorderanno, un immane muro d’acqua si abbatte, la sera del 9 ottobre su Longarone portando via con se 1917 persone.
Wikipedia riporta che un muro d’acqua, alto 250 metri, superò la diga del Vajont riversandosi a valle. Un testimone racconta che prima dell’acqua giunse lo spostamento d’aria. Ma quant’è grande un muro d’acqua alto 250 metri, cosa si prova a vederlo. Era scesa già la sera da qualche ora e probabilmente in pochi la videro, le testimonianze riportano un gran rumore, lo spostamento d’aria e lo sguardo attratto da uno strano bagliore in direzione della diga. Sinceramente non riesco ad immaginare che effetto possa fare l’esperienza di un simile evento. La domanda rimarrà inevasa, speriamo: quant’è grande un muro d’acqua alto 250 metri?

La diga del torrente Vajont (Wikipedia)
“Era stato dunque concepito un grande sistema di vasi comunicanti, con piccoli dislivelli tra di loro, sfruttati da piccole centrali (Pontesei, Colomber per il Vajont e Gardona) e tutti confluenti nella centrale principale di Soverzene (da 220 MW, al suo tempo la più grande d’Europa).Era stato dunque concepito un grande sistema di vasi comunicanti, con piccoli dislivelli tra di loro, sfruttati da piccole centrali (Pontesei, Colomber per il Vajont e Gardona) e tutti confluenti nella centrale principale di Soverzene (da 220 MW, al suo tempo la più grande d’Europa).”
Ma, come spesso accade, si fecero i conti senza l’oste, anche all’epoca l‘importante era partire e si partì a prescindere da considerazioni geologiche che si fecero in seguito, ad opera già in avanzato stato di compimento, non si poteva certo più fermare.
A beneficio di chi non conoscesse la faccenda:
“Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, però, si staccò dalla costa del Monte Toc (notare che il nome di tale monte, in friulano, è l’abbreviazione di “patoc”, che significa “marcio”, “fradicio”) una frana lunga 2 km di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e terra. In circa 20 secondi la frana arrivò a valle, generando una scossa sismica e riempiendo il bacino artificiale.”
(La Stampa 9/10/2008)
L’immagine rende bene l’idea della dimensione della frana rispeto alla diga ed al suo invaso. (3B Meteo)
L’idea che le frane presenti non fossero preoccupanti, al dire dei geologi dell’azienda costruttrice e proprietaria: la SADE (all’epoca l’energia elettrica era privata, la nazionalizzazione venne poco prima del disastro quasi contemporaneamente), permise i permessi pubblici e l’avvio ed il proseguimento dei lavori. Anche allora il controllo pubblico usava prendere per buona la documentazione prodotta dagli stessi interessati, oggi succede la stessa cosa, non posso fare a meno di pensare allo studio di ENEL sullo stato di salute del nostro comprensorio. Cito dalla documentazione prodotta dall’ente elettrico a corredo del procedimento autorizzativo alla conversione a carbone della centrale TVN:
“nel territorio di Civitavecchia ci si ammala di più poichè è maggiore l’abitudine al fumo delle sigarette”
Insomma, per la SADE e per i funzionari del ministero, non c’era da preoccuparsi più di tanto, nel caso gli ingegneri si inventeranno qualcosa, si vada avanti con i lavori.
Ma gli allarmi della popolazione che vedeva la terra muoversi e le case tremare, alcune perizie che non lasciavano dubbi, ed una frana in un bacino vicino, misero con le spalle al muro la società che fece appello ai suoi ingegneri: inventatevi qualcosa la diga si deve fare. Fra i tanti avvertimenti il 22 marzo 1959 una frana di circa 3 milioni di metri cubi di roccia si riversò nel bacino della vicina diga del Lago di Pontesei, opera che era stata completata solo due anni prima dalla stessa SADE
Ed ecco la soluzione, l’idea fu più o meno questa “facciamo cadere la frana, il lago sarà diviso in due ma un tunnel sotterraneo unirà i due invasi, otterremo la sicurezza e salveremo la diga anche se con qualche milione di metri cubi in meno.”
Ma il diavolo fa le pentole e si scorda i coperchi.
Nel marzo del 63 la produzione di energia elettrica diventa statale per cui anche le dighe debbono passare alla gestione pubblica, la diga del Vajont ancora non è sicura, la frana non è stata fatta cadere che solo per una piccola parte e il pericolo è ancora tutto li. Gli ingegneri della SADE avevano intanto stabilito una quota di sicurezza, ovvero un livello dell’invaso sufficientemente sicuro per evitare il formarsi di un onda capace di devastazione in caso dell’improvviso distacco della frana, ma occorre che la diga nel passaggio di mano, venga valutata, quindi si decise di riempirla oltre il limite di sicurezza per tirare su il prezzo, stiamo parlando di milioni di metri cubi mica spiccioli.
Iniziò il percorso di consegna e nel frattempo i segnali di allarme divennero ogni giorno più importanti, qualcuno decise di riportare il livello del serbatoio ai valori ‘sicuri’, ma, il diavolo non fa i coperchi, ci vuole tempo per svuotare la diga. Alle 22,30 del 9 ottobre il fianco del monte Toc, il monte marcio, piombò nel lago sollevando una immane onda che piombò, come in un film fantasy sull’abitato di Longarone, 1917 vittime, un paese raso al suolo.

Il comune di Longarone completamente raso al suolo, così come altri agglomerati vicini. (Veneto Vox)
E’ una questione di PIL, l’economia del profitto prima di tutto.
Oggi l’invaso è stato prosciugato, la diga e li, intatta ed inutile, in pratica non è mai stata operativa, monumento all’idiozia umana.
Riferimenti:
Lo spettacolo di Marco Paolini
https://www.youtube.com/watch?v=hjx0iQYoSRI
Informazioni, resoconti e riferimenti nella pagina dedicata su Wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont
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L’etica della responsabilità!!
Ogni impresa ha responsabilità nei confronti di tanti detentori di valore. Si pensa, errando, che l’impresa abbia un solo detentore di valore: l’azionista a cui deve il profitto. Ma esistono anche altri detentori di potere ai quali l’impresa deve qualcosa: i lavoratori, cui deve il benessere, i consumatori, cui deve qualità, lo Stato , cui deve i contributi giusti, infine la comunità cui deve sicurezza ecologica. Hai perfettamente ragione.Si pensava ieri che unico fosse lo “stakeholder. Lo si pensa oggi. Forse lo si penserà domani.
La Cina ha creato un Vajont colossale. Eppure l’etica della responsabilità non è minimamente accennata nei discorsi dei policy makers (Le critiche di Trump originano dalla competizione, nulla hanno a che vedere con questioni di etica della responsabilità). Grazie per il ricordo.
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Prego, si dice che sia importante mantenere la ‘memoria’, credo abbia realmente una certa importanza, sicuramente per me è importante.
Riguardo all’etica debbo dire che è un valore spesso accantonato,a volte anche da chi ha buone intenzioni e buoni sentimenti. Dobbiamo fare i conti con un sistema sociale e con valori che, ci piaccia o no, ci hanno permeato da tempo, e ci vuole un forte spirito autocritico per liberarsene, o per lo meno per esserne coscienti. Magari, ricordando cose di un tempo andato, riusciamo a vedere più chiaro dentro noi stessi.
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