Il ruolo della donna nell’antichità
di ANTONIO MAFFEI ♦
In questi ultimi giorni ho terminato una ricerca su La figura femminile in area medio-adriatica dal IX al VII secolo a.C.
Prendendo atto che SpazioLiberoBlog è Un Luogo Aperto In Cui Confrontare Le Idee, presento di seguito una breve sintesi della mia ricerca con l’augurio che possa trovare un adeguato interesse nei lettori.
Nei recenti studi una branca rilevante della ricerca archeologica, inserita in un settore di più estesa applicazione dell’archeologia post-processuale il cui ambito d’attenzione è l’individuo, ha incrementato l’interesse per gli studi di qualità, che pur non producendo la totale rinuncia ad un’archeologia esclusivamente femminile, stabilisce la consapevolezza dell’influenza che l’appartenenza al genere maschile o femminile ricopriva all’ interno delle antiche società.
In un recente articolo si è parlato di Achille, Ulisse, Dante, Omero, Iliade e Odissea, personaggi e componimenti che hanno fatto riaffiorare nella mia mente alcune reminiscenze scolastiche.
Nei poemi omerici l’attività principale del contesto sociale è la guerra, nel quale gli uomini hanno il predominio, al contrario la posizione della donna è molto limitata.
Nell’antica Grecia la politica, la cultura, le leggi, erano dottrina degli uomini, e le donne erano confinate alla mansione passiva domestica che imponeva la completa remissività al padre e, in seguito, al marito. La donna era carente di molti diritti posseduti dai cittadini adulti e liberi.
La donna poteva essere solo bella, eccellere nei lavori domestici e soprattutto doveva obbedire:
“Su, torna alle tue stanze e pensa all’opere tue,
telai e fuso; e alle ancelle comanda,
di badare al lavoro, all’arco penseranno gli uomini
tutti, e io sopra a tutti, mio qui in casa è il comando.
Dice a Penelope suo figlio Telemaco, e Penelope obbedisce.”
(Odissea vv. 358-59)
Andromaca stessa nell’Iliade è sempre una donna la cui mansione è all’interno della casa, e la cui attività è quella domestica, come lo stesso Ettore le rammenta quando parte per la guerra:
“Su, torna a casa, e pensa all’opere tue,
telaio e fuso; e alle ancelle comanda
di badare al lavoro; alla guerra penseran
gli uomini,
tutti e io sopra tutti, quanti nacquero a Ilio”
(Iliade libro VI, vv. 490-493)
Tale atteggiamento era collegato alla concezione sociale patriarcale tipica dei Greci e di tutte le popolazioni indoeuropee, concezione che è rimasta inalterata sino quasi ai nostri giorni e che ha caratterizzato la Civiltà Occidentale per molti secoli.
Gli Etruschi, come popolazione pre-indoeuropea, avevano una diversa concezione sociale dai Greci e dai Romani che costituiva un retaggio dell’antichissima impostazione sociale matriarcale.
La donna etrusca nelle società antiche era la più libera, la più raffinata, la più elegante. L’arte etrusca, con un avvincente viaggio nell’universo femminile, mostra la donna indipendente e bellissima e che godeva di un livello molto elevato di libertà, autonomia, cultura ed emancipazione.
In ambiente tirrenico nel periodo racchiuso tra il IX e VII secolo a.C. si osserva un sobbalzo nello sviluppo formativo della struttura sociale che porta alla formazione dei gruppi gentilizi e che avrà il suo apice allo fine del periodo orientalizzante.
Quasi contemporaneamente, senza dubbio per l’influenza esercitata dalle comunità tirreniche, uno sviluppo simile si verifica nel versante adriatico, anche se con alcune diversificazioni.
L’esame di questi eventi si basa principalmente sull’analisi dei rituali funerari, che rappresentano infatti la strada con cui la società evidenzia, in maniera completa e significativa, l’insieme delle identità sociali che compongono il livello di ognuno dei suoi componenti.
Il territorio medio-adriatico come concezione culturale si contraddistingue come uno spazio che mostra una certa uniformità, ancora più evidente tra l’ambito piceno e quello del comprensorio di pretuzio, ad un punto tale che spesso quest’ultimo è stato molte volte considerato dei “Piceni d’Abruzzo”.
I ritrovamenti archeologici evidenziano che le sepolture femminili si mostrano maggiormente complesse e ricche di quelle maschili: i corredi funerari evidenziano una graduale crescita qualitativa e quantitativa dei manufatti deposti e si osservano sepolture che primeggiano per ricchezza riguardo ad altre. Gli archeologi affermano infatti che le deposizioni femminili sono un’indiretta manifestazione della ricchezza e del potere dei loro mariti e che in quanto sopravvissuti alle mogli avevano provveduto alla loro rilevante sepoltura.
Dalle sepolture femminili studiate spicca la figura di donne talmente ricche da permettersi di agghindarsi con indumenti suntuosi e raffinati ornati di oggetti preziosi.
Le donne picene per la cura del corpo disponevano di sostanze utilizzate per il trucco, allo stesso modo della testimoniaza offerta per la donna etrusca dalle fonti antiche e dalle pitture parietali delle tombe.
Frammenti di piattelli, piccoli vasi, e di ciste sono collegati all’utilizzo di ombretti e alla presenza di astucci forniti di tutti gli arnesi per truccarsi. Si suppone l’impiego di profumi, forse provenienti dall’oriente, senza escludere riproduzioni locali, così come avvenne di frequente per i manufatti ceramici.
Tutti questi oggetti testimoniano l’importanza conferita alla donna nella diffusione degli averi attraverso l’esercizio del matrimonio, e chiarisce anche l’enfasi conferita alla maternità e all’essenza riproduttiva della donna. In tal modo si può interpretare anche la presenza dei pendenti ad ascia indicanti un significato simbolico connesso alla fertilità femminile.
Tra le popolazioni picene il ruolo ricoperto dalle donne era quello di moglie e madre, indipendentemente dalla posizione sociale. Essendo compreso nell’insieme sociale la sfera femminile si trasforma gradualmente in base all’ influenza reciproca con le altre compagini sociali, di conseguenza i ruoli femminili possono essere totalmente compresi soltanto se esaminati all’interno del vasto complesso che compone l’intera società.
Questo è valido in modo particolare per la tipologia di società dell’VIII secolo a: C. Con la graduale diversificazione della compagine sociale e la formazione di gruppi prevalenti all’interno della società, la conferma del proprio complesso di privilegi è basato principalmente sull’ereditarietà della famiglia, ovvero sulla paternità e sulla maternità.
Il riconoscimento dei figli di una donna può essere accettato solamente se ha luogo per mezzo di rapporti sessuali socialmente consentiti, cioè tra una donna e l’uomo che ne ha ottenuto il diritto. Solo con la legittima unione matrimoniale la donna può legittimamente diventare madre. La parola “matrimonio” ha infatti il significato letterario di “presupposto giuridico di mater“. Con il matrimonio è stabilita la sicurezza della parternità.
Le fonti antiche testimoniano che alla donna era vietato bere vino puro perché poteva produrre adulteri e aborti. La moglie deve essere pura, fedele e virtuosa.
Tale atteggiamento, come ho già evidenziato nelle righe precedenti, è la diretta conseguenza della concezione sociale patriarcale che avevano le popolazioni indoeuropee.
Sulla sponda adriatica sinistra e destra, le componenti culturali di varia matrice, ma specialmente alpine-sudorientali (culture dei Campi d’Urne), pannonico-danubiane, venete e medioadriatiche si combinano variamente.
L’elevato livello di prosperità economica di queste società fece sì che, già in età arcaica (dal sesto secolo avanti Cristo), il ruolo della donna avesse iniziato a subire delle modifiche: se prima le donne erano essenzialmente madri dedite alla cura della famiglia, a partire da quest’epoca cominciarono a “uscire” dalle mura domestiche per partecipare in maniera sempre più attiva alla vita pubblica.
Le rappresentanti adriatiche del “gentil sesso”, pur non raggiungendo mai i livelli culturali e d’autonomia delle donne etrusche, iniziarono a vestirsi e a comportarsi in modo più accurato. Si nota una più spiccata differenziazione sociale e di genere; le donne scelgono una manifestazione ridondante dei beni di lusso puntando in particolare su una “composizione barocca” degli oggetti di ornamento.
Il ritrovamento di una statua evidenzia questa nuova fase di comportamento sociale:
“Nonostante la frammentarietà della statua è stato possibile ipotizzare che la donna avesse il braccio sinistro sollevato verso il corpo nell’atto di stringere fra le dita il pendaglio della collana, mentre il braccio destro era verosimilmente lasciato cadere fino a piegarsi in corrispondenza della vita. La donna indossava una veste probabilmente leggera alla quale era abbinato il corpetto ricoprente il seno e il busto fino alla vita e le braccia con lunghe maniche, il corpetto è decorato nelle parti superiore e inferiore e sui bordi delle maniche da una banda rossa rilevata. La stessa fascia rossa è ripresa nelle spalline che sorreggono il corpetto al quale sono fissate da due grandi fibule ad arco serpeggiante decorate da pendagli trapezoidali anch’essi dipinti di rosso. Dello stesso colore è l’ornamento appeso al collo in richiamo dell’ambra generalmente usata negli ornamenti reali. In corrispondenza della scapole il corpetto è coperto da un elemento quadrangolare sul quale sembra cadere una lunga treccia. È stato ipotizzato che gli arti inferiori (mancanti) fossero vestiti da una lunga gonna di cui è stato individuato il lembo superiore in corrispondenza della schiena. I capelli erano forse raccolti e coperti da un velo che si allargava in corrispondenza delle spalle.” (Goggi 2017)
ABTONIO MAFFEI
Grazie Antonio Maffei per il tuo articolo,la conoscenza della figura femminile nella storia è un importante strumento per capire l’evoluzione dei costumi, mentalità e pregiudizi, soprattutto in una realtà patriarcale come quella italiana dove soltanto con la legge 442 del 1981 (pensa) si aboliscono le norme sul cosiddetto “delitto d’onore” e sul matrimonio riparatore, quindi dopo la legge sul divorzio del 1974 e la successiva riforma del diritto di famiglia!!
Continua questo percorso storico- archeologico per far comprendere come mai ancora oggi le donne devono difendere il loro diritto di esistere.
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Grazie Antonio per il tuo accurato articolo
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Interessante ma noi donne abbiamo ancora tanta strada da fare
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Antonio, hai fatto bene a ricordare come la donna etrusca costituisca eccezione rispetto al mondo greco-romano. Mi permetto di rilevare che questo dipende dal non-indoeuropeismo dei Rasenna (la lingua ce lo insegna). Dunque, il popolo in questione risente dell’influsso “mediterraneo pre-invasionistico condividendo con altri (Minoici,Asia minore….) il culto ancestrale della Grande Madre e una spiccata materlinearità (escludiamo la mitica e fallace teoria del matriarcato di Bachofen). E’ ,come tante volte ne abbiamo parlato, con l’ondata dei Kurgan (Marja Gimbutas!!) che si inserisce la paterlinearità con tutto il dramma degli dei maschili e delle ierogamie di Zeus atte a sostituire i culti femminili.Da quel momento la donna avrà il suo tormentato percorso che le colleghe commentatrici hanno fatto subito rilevare giustamente. Un giorno potremmo parlare di questa causa primordiale del dominio del maschio? (la teologia, in particolare,conserva pienamente l’eco lontanissimo di questo inizio).
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