IL DIALOGO
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
In alcuni recenti articoli colleghi del blog si indignano contro la discriminazione causata da razzismo con particolare riferimento agli USA.
E’ una reazione che non può che essere condivisa ponendo, tuttavia, in risalto il fatto che la discriminazione, oggi, è un fenomeno che si allarga oltre il colore della pelle riguardando le fedi religiose, il pensiero politico diverso dal dominante, la cultura, la nazionalità (si pensi ai preconcetti nord-sud in seno all’Europa).
La discriminazione basata sul concetto di razza è “scientificamente” una idiozia, eticamente una cosa ignobile. L’argomento è stato tanto ampiamente discusso da apparire ovvio il giudizio appena dato. In questa sede vorrei tralasciare questo aspetto della discriminazione.
Pertanto, avanzo alcune considerazioni sulla discriminazione “extra razziale”. Certamente meno odiosa della discriminazione basata sul colore epidermico ma fondamentale per comprendere il clima drammatico che caratterizza, oggi, il nostro mondo.
La discriminazione nord-sud oggi si presenta nel senso di un preconcetto che i “Paesi frugali” hanno rispetto ai Paesi mediterranei: “ è inutile aiutare chi scialacqua e gozzoviglia allegramente. Che imparino ad essere laboriosi e misurati”. E’ pur vero che noi italiani facciamo di tutto per screditare l’immagine (indecisionismo politico, infiltrazioni mafiose, disordine organizzativo, patologie della burocrazia, lungaggini processuali, inaffidabilità negoziale del settore pubblico, evasione fiscale…..), tuttavia, avanzare un preconcetto in un giudizio generale è commettere una specifica fallacia logica. Precisamente, in luogo di confutare la verità di un argomento in discussione si sollevano dubbi sulla condizione culturale dell’avversario: ” è un italiano, dunque…” La patologia ha il nome di argumentum ad hominem, fallacia logica abbastanza comune che pone chi la commette in una condizione di ragionare in modo scorretto in termini logici (come dire”ha detto solo”cavolate”).
Ma è la discriminazione religiosa quella che più fa paura perchè sfocia in terrorismo. La discriminazione delle fedi ha scatenato da sempre guerre, assassinii, violenze inaudite. Oggi questa discriminazione è viva ed ancora penetrante (si pensi all’ultimo atto: Santa Sofia ieri museo di tre religioni, oggi moschea). Può essere interessante soffermarci un po’ di più su questa drammatica discriminazione e sulla ricerca delle incongruenze che comporta.
Tre sono le forme patologiche che possono darsi nell’atteggiamento religioso.
Primo, la mia fede e basta! Solo la mia fede vale ed è quella vera, il resto è escluso!
Secondo, la mia fede rappresenta tutto ciò che c’è di vero ! La mia fede include, a ben vedere, tutte le altre!
Terzo,ogni religione è valida perché tutte hanno lo stesso fine! Le religioni sono tra di loro parallele!
Esclusivismo, inclusivismo, parallelismo. Con queste patologie noi possiamo esser certi di disporre di violenza, incomprensione, guerre economiche seppur mascherate da conflitti religiosi. Come disinnescare questa bomba a tempo?
Dialogo è il termine giusto. Ma non dialogo affetto da patologia. Non si potrà mai dialogare se si è malati di esclusivismo, inclusivismo, parallelismo. Per avere dialogo immunizzato da patologia è necessario “iniettarsi” un farmaco- premessa.
Nessuna religione può vantare il diritto di aver svelato pienamente il mistero del reale.
Questa proposizione, dunque, costituisce di necessità la premessa al dialogo.
Il dialogo non potrà mai essere “dialettico” cioè una sfida tra avversari con il fine di stabilire che “vinca il migliore”. Un dialogo così significa competizione, lotta, agonismo, guerra di parole, anticipo di una guerra guerreggiata.
Esiste un effetto sostanziale del dialogo non dialettico : il dialogo serve per conoscere se stessi! Spesso si pensa, errando, che dialogare significhi tentare di modellare l’altro secondo la nostra prospettiva. Infilar dentro la scatola cranica dell’altro il proprio pensiero. Nel dialogo dialettico è proprio questo che si fa.
Ma dialogare (non dialetticamente) significa, innanzitutto, impararsi, conoscersi, amarsi attraverso lo “specchio” dell’altro. Vedere nell’altro la possibilità di esplorarsi (desiderio di essere desiderati, riconosciuti dall’altro). Questo effetto ci dice chiaramente quanto abbiamo bisogno dell’altro, lo speculum riflettente per intravedere noi, superando l’ignoranza che noi abbiamo di noi stessi.
Ecco perché la discriminazione oltre che argomento di riprovazione etica è argomento di stupidità intellettiva. Senza l’altro io non valgo, non valgo perché non mi riconosco, non mi misuro. Per l’altro non intendo il prossimo soltanto ma il “non prossimo”, il diverso da me, il mètron con il quale misuro me stesso.
Se il dialogo è essenziale per ogni persona, immaginiamo quanto valga tra persone di fedi diverse, pronte all’attacco, all’accanimento, pronte alla sfida dialettica. La religione dell’altro non è una sfida ma il modo con il quale io posso arricchire la mia fede perché ogni fede è complementare all’altra. Come il singolo individuo vede nell’altro il riflesso di se stesso, così nell’altra religione io posso conoscere meglio la mia fede.
Tutto quanto detto ha un nome, un predicato che qualifica l’azione sia nel campo individuale che in quello della fede (o non- fede. Il discorso vale comunque anche per il cosi detto” ateismo”).
Il predicato è tolleranza.
CARLO ALBERTO FALZETTI
Tolleranza : bella parola ma difficile da attuare; spesso la tolleranza nasconde anche una certa dose di menefreghismo; credo che comunque è un esercizio che dovremmo imparare a fare
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E comunque Carlo hai il grande merito ( me lo prendo anche io) di fare articoli brevi che si leggono volentieri
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Se ti ascolta Bernardo di Chiaravalle ti fa infilzare con la spada dell’arcangelo Michele…
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