Porto, Turismo, Idrogeno.
di TULLIO NUNZI ♦
Il declino economico nasce dall’incapacità di adattare vecchi modelli produttivi a realtà modificate.
I segreti di successi passati possono tramutars spesso in fallimenti futuri.
Dico questo pensando alla uscita del carbone e alla ipotesi da tutti contrastata, almeno a parole, di avviare la costruzione di una nuova centrale a gas.
In momenti di crisi epocale si possono palesare prospettive di cambiamento epocale, che tuttavia hanno bisogno di un autore politico.
Eventi traumatici quali il covid mettono in discussione la validità delle vecchie forme del sapere, di vecchi modelli e naturalmente richiedono un cambio di paradigma.
L’ipotesi di una centrale a gas significherebbe devastare ulteriormente un territorio che da 50 anni subisce servitù energetiche.
Il ricorso all’idrogeno prodotto da rinnovabili potrebbe essere una parte di questo cambio di paradigma.
Ascoltando una serie di interviste fatte a sindaci degli ultimi 20 anni, tutti indistintamente, evidenziavano come il futuro di Civitavecchia, fosse legato all’andamento del porto, e ad uno sviluppo turistico di un sistema che, a tutti gli effetti, ha i fondamentali per recuperare quella vocazione turistica che l’aveva caratterizzato prima della guerra.
Un consistente patrimonio Unesco, un patrimonio naturalistico che ha estimatori nei paesi nordici, un patrimonio archeologico di tutta rilevanza, un turismo balneare che vede numerose presenze turistiche (2 milioni e mezzo di passaggi) che sono un patrimonio consistente per una promozione turistica, una posizione importante da un punto di vista logistcico, la vicinanza con Roma.
Condivido l’opinione dei vari sindaci che un sistema turistico territoriale, una marca turistica, potrebbe essere l’ elemento di sviluppo, ovviamente se si decidesse di non avviare la costruzione di una centrale a gas; sarebbe la fine di ogni ipotesi di sviluppo turistico.
Dovremmo accontentarci di gestire i croceristi (un segmento del turismo) fino quando il porto di Fiumicino non diventerà competitivo.
Il turismo vive di territorio, il territorio è il contenitore dei vari segmenti turistici, una centrale a gas ed una giungla di ciminiere determinerebbero la fine di ogni vocazione turistica della città e del territorio.
Porto, turismo, idrogeno, potrebbero essere gli elementi su cui tentare di rilanciare questa città e il territorio circostante.
Forse un sogno? Ma credo che l’utopia debba essere una dimensione che non deve mai mancare nella politica.
Classe politica figlia del tempo, debole confusa, carente di progettualità: mentre invece sarebbe necessaria una visione, la capacità di cogliere il quadro d’insieme.
Spero di sbagliarmi ma quello che vedo è una politica assai autoreferenziale che non riesce a coagulare bisogni e progetti emergenti dalla società.
Gran parte dei corpi intermedi tifano chiaramente per la costruzione della centrale a gas per ovvii motivi economici o per motivi sociali. Altri non hanno le capacità per avviare un progetto. Manca un autore che riesca a convincere, che significa vincere insieme, per fare prevalere una idea comune.
Convincere dovrebbe essere abbastanza facile, visto che a parole tutti si dicono contrari alla centrale a gas ma in questa città esiste un virus orrendo, che è la vocazione al suicidio, e ragionamenti paradossali di intelletti intellettuali abilissimi a rovesciare la frittata (vedi la centrale a carbone).
Una città che non ha ancora deciso il suo futuro, una città con il porto, ma che non è città porto. Una città che vive di terziario, ma al terziario dà pochissima importanza; una città ibrida.
“Codesto oggi possiamo dirti, ciò che non siamo ciò che non vogliamo”.
In questa mancanza di vivere politico in questa assenza di partecipazione collettiva, in questa carenza di dibattito culturale, in una città che dovrebbe discutere per una visione comune, ma dove molto spesso si è settari come degli eunuchi, credo che alla fine il referendum sulla centrale possa essere l’unico strumento capace di saltare il monopolio dei partiti quali organi esclusivi nella definizione dell’agenda politica.
Ci vorrebbe un folle shakespeariano, un finto matto che dica le cose come stanno e lo avvii.
TULLIO NUNZI
Senza una classe dirigente che guardi al lungo termine è impossibile avere un progetto di futuro da perseguire. Cerchiamo di ‘rimediare qualche quattrino, qualche posto di lavoro per ‘grazia ricevuta’, pretendendo che altri costruiscano il nostro futuro senza che ne indichiamo l’indirizzo. Forse, senza dirlo, speriamo che l’emergenza resti eterna, nell’emergenza c’è chi ci sta bene, del resto è più facile tendere il cappello per le offerte in cambio dell’inattività politica necessaria al perseguimento di un progetto di largo respiro. Invece di confrontarsi con i grandi attori del territorio perché si facciano protagonisti della nostra ‘visione’, andiamo a batter cassa a titolo di risarcimento. Sinceramente non mi pare che ultimamente si sia andati oltre questa pratica negli ultimi tempi, e forse neppure nei precedenti.
Il mondo cambia, l’Europa immagina il ‘green new deal’, e noi? Rimaniamo ancorati alle logiche dei grandi poli energetici e del traffico delle merci? Quando capiremo che è ora di cambiare?
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E’ vero ciò che scrivete riguardo la classe politica e di tutti i veltri ai guinzaglio del potere economico. Tuttavia,tuttavia…Per anni abbiamo ospitato migliaia di croceristi e personale marittimo . E’ vero che molti di loro vogliono solo vedere Roma. E’ pur vero che molti, specie il personale, rimaneva in città. Che si è fatto per loro? Non parlo della la politica, intendo l’intrapresa cittadina. Molti venivano attirati da Tarquinia ove un bravissimo imprenditore offriva loro un parco divertimenti e shopping di prodotti del territorio consegnati al loro domicilio americano. Quelli che vagavano (e vagano) in città facevano (e fanno) un pò di foto, comprano un gelato, acquistano dai “vu comprà”, entrano in qualche negozietto che offre ciò che si offre in tutto il mondo. C’è stato qualche sforzo a realizzare una “competenza distintiva”, di porsi in vantaggio competitivo rispetto (certo non a Roma) a luoghi esterni più dinamici? Vantaggio derivante, peraltro, dal fatto di essere il punto di raccolta (vantaggio estremo!!).Abbiamo mai compreso che significava fare di Civitavecchia il centro di produzione di iniziative per lo sfruttamento delle ricchezze del territorio extra cittadino ? La città non offre ricchezze competitive rispetto al territorio ma poteva essere il centro di gravitazione territoriale per i prodotti di un area vasta. Poteva essere il luogo di costruzione dei “pacchetti turistici”. Tutto questo avrebbe richiesto una “visione” di ampio respiro, fuori dalle ristrette mura campanilistiche. Quando ero amministratore del Parco di Vulci ho patito per trasformare il luogo in un punto obiettivo: troppo lontano per i mezzi che partivano da Civitavecchia. Quando sono stato presidente di Port Mobility non sono riuscito a metter in piedi alcunchè. Forse mia incapacità!
Penso tuttavia, in onore alla legge di grandi numeri, che una qualche penuria di iniziativa imprenditoriale privata affianchi la mia negligenza manageriale ed il vuoto della politica..
Un pò di fantasia? Pensate se qui ci fossero stati i Romagnoli, oppure i Toscani, oppure una popolazione di Pusceddu (valle del Marta).
Ho esagerato a scapito della mia città? Forse sì. Tuttavia ritengo che sia giusto togliere di mezzo l’energia sporca e dar spazio al turismo ma…..la croce il Venerdì Santo deve essere certo portata dai politici. Ma le catene? Chi deve affiancare i cruci-feri?
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Alcuni anni fa, eravamo nella Necropoli etrusca di Norcia, stavamo pranzando all’ombra di qualche albero, quando ci si avvicinarono due tedeschi con in mano un libretto. Volevano sapere dove si trovasse un grande tempio etrusco di cui noi ignoravamo l’esistenza. La foto che ci mostrarono ci lasciò a bocca aperta. Il racconto ci dice che noi stessi non conosciamo il nostro territorio, non lo conosciamo perché da un lato poco ci interessa, dall’altro chi dovrebbe e potrebbe, non fa nulla per promuoverlo. Metti insieme a questo la incapacità delle varie amministrazioni di mantenere un minimo di decoro urbano, le clientele energetiche e portuali e qualcosa d’altro, penso ad esempio alla divisione del tessuto sociale in parrocchie e parrocchie tute, e si ha il quadro della situazione. Un quadro che, evidentemente, richiede sinergie e comunione d’intenti come condizione essenziale. Nessuna categoria cittadina può ritenersi senza responsabilità o, se vogliamo, senza ruolo nel cambiamento che in tanti vorremmo. Ciò vale anche per chi fa ‘cultura’.
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