Quando i (commercianti) civitavecchiesi cacciarono l’ebreo (commerciante).
Dedicato ad Italia Astrologo, civitavecchiese, trucidata ad Auschwitz
di ENRICO CIANCARINI ♦
Una bella novità nel campo della storiografia civitavecchiese è il recente saggio di Silvio Serangeli Battelli a vapore. La rinascita di Civitavecchia. L’osservatorio di Stendhal. I diari di viaggio (1818-1848) pubblicato da Gangemi Editore International. Edizione particolarmente curata dal punto di vista grafico in cui risalta il ricco patrimonio iconografico del libro, molto del quale proveniente dalla collezione personale dell’autore.
Serangeli da anni si è dedicato con ammirabile passione allo studio della figura di Henri Beyle, meglio noto come Stendhal, per oltre dieci anni console francese in Civitavecchia. Alla base della ricerca del giornalista e storico sono i documenti diplomatici che Stendhal o il suo segretario Tavernier inviavano a Parigi riportanti numerose osservazioni sul commercio navale che si svolgeva nello scalo pontificio. Traffico che raggiunse il suo apice quando la tecnologia dell’epoca varò le navi a vapore. Da Marsiglia verso Palermo si inaugurarono nuove e più veloci linee regolari che prevedevano una tappa nella nostra città. Il movimento fra la Francia e la Penisola preunitaria registrò un incremento notevole di passeggeri e merci, con risvolti positivi sulla cultura e sulla società delle città interessate.
Aspetti della storia ottocentesca di Civitavecchia che già il professore Giulio Guderzo aveva trattato nel suo saggio del 1995 Vapori e sviluppo. La parabola di Civitavecchia. In quegli anni la città gode di un relativo benessere che avrà purtroppo termine con l’unificazione politica della Penisola e lo sviluppo di un altro mezzo di trasporto a vapore: la ferrovia.
A Serangeli va il merito di restituirci lo spaccato quotidiano di quanto accade sui moli e nelle vie civitavecchiesi a metà dell’Ottocento grazie alle ampie e accurate ricerche portate avanti in archivi e biblioteche di numerose città che hanno restituito giornali e materiale documentario dell’epoca.
Di speciale interesse e qualità i capitoli dedicati ai viaggiatori stranieri impegnati nel Grand Tour italiano che giungono a Civitavecchia sui veloci e comodi vapori che hanno catturato e restituito nei loro diari di viaggio molte immagini caratteristiche della piccola cittadina portuale.
L’apprezzato e conosciuto stile giornalistico di Silvio Serangeli rende piacevole e scorrevole la lettura del volume, che si apre con la presentazione di Fabrizio Barbaranelli, si snoda in ventidue agili capitoli e si chiude con una vasta bibliografia focalizzata su pubblicazioni d’epoca.
Nella lettura mi ha attratto un ragionamento dell’autore che mi ha rimandato all’antico proposito di condurre una ricerca sulla reale presenza ebraica a Civitavecchia in epoca moderna.
Serangeli nel capitolo La città ricorda il progetto di papa Innocenzo XII che alla fine del XVII secolo intende permettere ed agevolare lo stabilirsi di una comunità di ebrei a Civitavecchia al fine di sviluppare il commercio in città, ramo in cui i figli di David hanno eccelso in ogni epoca e allora in varie città italiane come Livorno e Genova. Per questo viene costruito un quartiere che ancora oggi è chiamato dalla popolazione Ghetto ma che non ha mai ospitato ebrei. Serangeli afferma che “se gli ebrei non arrivarono mai non fu, come si è tramandato anche da parte di alcuni storici locali, per l’opposizione delle comunità di Genova e, soprattutto, di Livorno; la spiegazione è più semplice, a Civitavecchia non ci fu mai una comunità ebraica perché non c’era commercio che potesse in qualche modo attrarla e la stessa libertà di altre città, come aveva ben compreso il domenicano padre Labat” (pp.60-61).
Andò veramente così? I commercianti ebrei non vi si stabilirono mai “perché non c’era commercio” e libertà di culto? Qualcuno si oppose alla loro venuta e permanenza a Civitavecchia?
Per confutare tale opinione, alquanto diffusa in città, espongo ai lettori le pagine di un antico giornale e quelle più recenti di un saggio storico che ci aiutano a fare luce su aspetti poco noti della storia cittadina. Partiamo da lontano, nel tempo e nel luogo, in quella Vienna asburgica del 1692, dove si accumulavano notizie da ogni parte della Penisola e molte delle quali venivano stampate su una striminzita gazzetta dal lungo titolo: Avisi italiani, ordinarii, e straordinarii, dell’anno 1692.
Su Il Corriere ordinario del 21 agosto leggiamo:
Roma, 2 Agosto […] Havendo la Comunità degli Ebrei fatta una essibizione à N.Sig. di slargare il Porto di Civitavecchia in modo tale, che sia capace à ricevere qualsivoglia Vascello Mercantile; il tutto à loro spese; come anche accomodarvi un Borgo, e farvi un Ghetto per loro abitazione; & in brevità di tempo introdurvi le merci, e’l traffico, niente meno di quello di Livorno, e di altri delle Spiaggie d’Italia; Sua Santità non solo gliene hà passato il Chirografo, mà gli hà costituito il Colonnello Ceruti, per formarne il dissegno, e costruirne la fabrica: e si crede, che detto Porto goderà Scala Franca, secondo che godono molti Porti d’Italia; e tengono perciò all’ordine gli Ebrei 300.000 Scudi”.
Un progetto magnifico, un’enorme quantità di denaro posta a disposizione dello sviluppo della città. I grandi progetti lanciati nella nostra modernità non sono perciò una novità se già trecentoventotto anni fa un giornale annunciava questo faraonico proposito della comunità ebraica.
Due settimane dopo, un altro avviso è pubblicato su Il Corriere ordinario del 4 settembre:
Roma, 16 agosto […]. È necessario confessare, che S.B. vorrebbe arricchire di Entrate la Camera, e ne fa tutto il possibile, particolarmente in rendere Civitavecchia Porto Franco, affine di risparmiare alla Camera stessa 100.000 Scudi, che vi spende l’Anno. Sente per tal fine quasi ogni giorno i progetti, che le fanno gli Ebrei, per formare colà il Ghetto; & à questi pensa concedere tutt’i Privileggii, che godono quei di Livorno; e sono concordi gli Ebrei di Roma, che nel Ghetto di Civitavecchia venghino ad abitare due Casate primarie del Ghetto Veneto, due di quello di Ferrara, e due dell’altro di Livorno”.
Sua Beatitudine Innocenzo XII vuole forse concedere ai commercianti ebrei la gestione del porto di Civitavecchia? Gli ebrei romani hanno contattato i loro correligionari di Venezia, Ferrara e Livorno per costituire un “consorzio” per addivenire al controllo dello scalo pontificio? Le quattro comunità sosterranno insieme l’ingente sforzo finanziario? E infine, il corrispondente da Roma della gazzetta viennese quanto è introdotto nelle segrete stanze del Vaticano o quanto lavora di fantasia? Domande legittime che ci poniamo leggendo quanto scrive l’anonimo cronista.
Ma tutto “ciò poi non avvenne” come scrive Carlo Calisse nella sua Storia di Civitavecchia (1898).
Pochi giorni dopo, su Il Corriere ordinario del 10 settembre, i sogni iniziano a svanire:
Roma,23 agosto […]. Nel medesimo giorno di Martedì si tenne una lunga Congregazione à Palazzo, per essaminare i mezzi di far Porto Franco à Civitavecchia senza disturbo della Religgione Cattolica; sopra di che presentemente si studia; come anco per istabilirvi una Colonia di Ebrei; sperandosi, che dall’introduzzione del Comercio in detto Luogo sia per nascere non solo à questa Città di Roma grandissimo benefizio, ma insieme à tutto lo Stato Ecclesiastico”.
Si cercano altrove i mezzi per finanziare lo sviluppo commerciale di Civitavecchia non si vuole assolutamente disturbare i devoti della religione cattolica introducendo nella città portuale i troppi giudei. Qualcuno si ricorda che la cittadina è la porta marittima della Capitale del Cattolicesimo!
Su Il Corriere ordinario del 24 settembre finalmente si mette la parola fine al grandioso progetto:
Roma, 23 agosto […]. & oggi si è pure incagliato il quasi conchiuso affare del Ghetto per gli Ebrei à Civitavecchia”. Due righe bastano per archiviare i buoni propositi dei commercianti ebrei e far svanire la somma astronomica di 300.000 scudi da investire sullo sviluppo di Civitavecchia.
Ma quei soldi c’erano? Arnaldo Massarelli nel suo bel saggio Il Ghetto pubblicato sull’undicesimo Bollettino della Società Storica (dicembre 2011) riporta le considerazioni della speciale Congregazione che analizzò il progetto di coinvolgere la comunità ebraica romana nello sviluppo commerciale di Civitavecchia (documento custodito nell’Archivio di Stato di Roma):
Su […] gli ebrei non porsi grave affidamento, perché li Romani (ebrei) hanno poca facoltà e con questa occasione domandano privilegi esorbitanti per le loro università di Roma, che li forestieri (ebrei) commodi di altri porti non verranno a Civitavecchia, anzi che li Genovesi, per altro attentissimi sul negozio, abbino ultimamente stimato essere espediente alla Repubblica ed al commercio, scacciarli da Genova”. Un bluff per ottenere vantaggi a Roma per tutta la comunità?
O qualcuno è intervenuto a Roma per bloccare quel progetto troppo sbilanciato sugli ebrei? Forse l’assentista di Civitavecchia, che gestiva per conto della Reverenda Camera Apostolica lo scalo civitavecchiese? In quegli anni è il romano Alessandro Zinaghi, che di cauzione “per sicurtà del materiale farà un deposito di sc. 20.000 in tanti luoghi di monte”. Nel 1698 Zinaghi scappa a Livorno perché la sua impresa è fallita lasciando debiti per 40.000 scudi (lo scrive il Guglielmotti).
Forse sono i cardinali di Curia ad arginare i desideri del pontefice? Prelati genovesi o livornesi attenti agli interessi dei loro stati? Insomma Innocenzo XII non può realizzare quello che desidera e alla fine emette l’Editto del 26 settembre 1692 per il potenziamento del porto di Civitavecchia.
Ne dà notizia Il Corriere ordinario del 15 ottobre: Roma, 27 settembre […].Si vidde in quel giorno affissa ne’ Luoghi publici una stampata Notificazione, per invitare i Negozianti al traffico nel Porto di Civitavecchia, esortando essi, & altri, à fabbricarvi Case, Magazzeni, e Botteghe, sul terreno, che dalla Camera Apostolica sarà gratuitamente assegnato à quelli, che à tali Edifizii vorranno contribuire: il che si farà con grande utile de’ medesimi, stante la facilità, che trovaranno ad effettuarli. Hanno gli Ebrei di Ancona stabilito à tal effetto un Fondo per 12.000 Scudi; & essendovi molti, e molti altri ben intenzionati, sperasi, mediante la concessione del Porto Franco, Immunità, grandissimi Privileggii, & Essenzioni, siano à Maggio prossimo alzate molte delle dette Case; con supposto che à quel tempo anco potranno esser finiti gli Acquedotti, per condurvi l’Acqua Traiana; lavorandosi à tal fine incessantemente d’ordine della Santità Sua, che vi spenderà 60.000 scudi […]. Come si legge sono cifre notevolmente più basse.
Settanta anni dopo Frangipani nello scrivere di questo progetto, postilla che “fu sospesa la venuta di detti ebrei, e si farà bene a non farli mai venire”! Così noi avemmo il Ghetto ma non gli ebrei!
Quindi gli ebrei a Civitavecchia non vennero mai per commerciare ed intraprendere attività?
Nel gennaio del 1998, il cardinale Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo le intenzioni di papa Giovanni Paolo II, dispose l’apertura ufficiale agli studiosi dell’Archivio del Sant’Uffizio.
La possibilità di consultare le carte d’archivio del Sant’Uffizio e dell’Inquisizione romana, riservate per secoli, ha permesso a molti studiosi di svolgere nuove ed interessanti ricerche sul rapporto fra lo Stato della Chiesa e gli Ebrei a Roma e nel resto d’Italia.
La storica e professoressa Marina Caffiero nel 2013 pubblica sulla rivista dell’Università La Sapienza Dimensioni e problemi della ricerca storica un saggio intitolato Gli ebrei romani tra Rivoluzione e Restaurazione. Insediamento e cacciata degli Ascarelli da Civitavecchia.
Nell’Anno santo del 1825, proclamato da Leone XII, amico di quel marchese Vincenzo Calabrini, mercante di campagna ed eclettico imprenditore, troppo spesso dimenticato dalla storiografia civitavecchiese, il Collegio romano dei Mercanti Fondacali “sosteneva che la causa della decadenza e del fallimento dei mercanti cristiani stava nella concorrenza libera fatta dagli ebrei, <<che vendono a prezzi minori perché vendono robba di scarto o fraudolenta>>. I mercanti richiedevano perciò il ripristino delle antiche leggi ecclesiastiche <<e la fine di questa libertà di traffico e di acquisti e di vita fuori dal Ghetto>>.
Anche a Civitavecchia, pochi mesi dopo nel maggio del 1826, i commercianti chiedono l’espulsione dalla città del commerciante ebreo Angelo Ascarelli e della sua famiglia, rei di vivere fuori del Ghetto, che nella cittadina portuale esiste solo di nome ma non di fatto. “Si rimise così in moto la macchina dell’antisemitismo popolare e soprattutto mercantile che in questi anni cercava di liberarsi della concorrenza ebraica”. È concessa una proroga di due anni alla famiglia Ascarelli, necessari per sistemare gli affari, riscuotere i crediti e rimpatriare nel ghetto capitolino.
Aprile 1828: la famiglia rivolge una supplica al pontefice, cui ricorda i servizi forniti alla Reverenda Camera Apostolica “in qualità di fornitrice del vestiario delle truppe pontificie, compresi li Corazzieri, nonché del casermaggio nei Presidi di Ferrara, Ancona, Civitavecchia e S. Leo”.
Gli Ascarelli sono arrivati a Civitavecchia nel 1783, in sei: il capofamiglia Alessandro, la moglie e la figlia, il nipote Alessandrino, e due garzoni e “aveva fissata bottega ed abitazione nel Borgo di Civitavecchia per mercanteggiare”. La famiglia vive e lavora fuori del ghetto, fra i cristiani.
Il Sant’Officio di Civitavecchia, cioè i Domenicani di Santa Maria, provano a fargli chiudere bottega e a cacciarli dalla città già nel 1793. Gli Ascarelli rimasti nella Capitale intervengono direttamente su Pio VI affermando “l’utilità della presenza dei loro parenti in una cittadina assai scarsa di mercanti e di commerci. La loro attività aveva avuto l’effetto benefico, per tutta la città, di far aumentare di molto il giro degli scambi, dei traffici e delle merci disponibili e inoltre aveva richiamato sulla piazza molti altri mercanti, provenienti anche dalle province limitrofe dello Stato e perfino dal regno di Napoli, che prima si dirigevano su Livorno e Genova. Di conseguenza, era cresciuto, <<con gran vantaggio pubblico>>, lo smercio di prodotti locali all’estero, con relativi introiti per le dogane, alle quali proprio gli Ascarelli da soli – veniva sottolineato – versavano in un anno più di tutti gli altri mercanti di Civitavecchia insieme”.
Pio VI, soppesando le ragioni e le tasse pagate dagli Ascarelli, gli concede di rimanere in città.
Trascorrono pochi anni e di nuovo i commercianti ebrei vengono denunciati. Nel 1801 lo fa Giulio Giuliani, di professione “cioccolatiere”. Le accuse spaziano dal dimorare in casa di un cristiano, tale Cioccolani, di non chiudere bottega nei giorni festivi, di non portare il segno distintivo dell’essere ebreo, di non ritirarsi in casa prima dell’una di notte, di frequentare i caffè e il teatro della città, di avere vita sociale con il primo facchino della Dogana, e addirittura le donne ebree passeggiano per la città accompagnandosi a donne cristiane. Subito il Vicario dell’Inquisizione apre il processo e convoca Alessandro Ascarelli per chiedergli conto di tutte queste gravi trasgressioni. Gli chiede se possiede un permesso che gli concede di abitare fuori dal ghetto romano. Il mercante ce l’ha, è una licenza concessa da Pio VI in data 19 marzo 1793:
In vista della informazione presa sul Memoriale de’ Fratelli Ascarelli Ebrei per permesso di poter continuare la loro dimora in Civitavecchia, e ritenere aperto il loro Fondaco, considerando la Santità Sua, che fin da molti anni i Medesimi hanno fissato colà una tal dimora, ed aperto simil fondaco, il quale può essere vantaggioso come al pubblico commercio, così al privato commodo di quegli Abitanti, è benignamente condiscesa ad ammettere la loro istanza […].
Ormai la Famiglia Ascarelli dalle originarie sei persone, ha raggiunto un numero consistente di membri, oltre trenta. Hanno comprato un fondaco dai Manzi. Si è costituita una solida ed attiva rete commerciale fra le Case Ascarelli che hanno sede a Roma, Livorno e Civitavecchia.
L’anno dopo, nel 1802, il Popolo e i Negozianti di Civitavecchia insistono nel chiedere la cacciata degli “spocchiosi ebrei, che guardano con scherno i poveri mercanti cristiani da loro rovinati”. I documenti d’accusa sono firmati da 84 mercanti che reclamano l’immediata espulsione degli ebrei in quanto “non necessari al commercio della città” e da 49 “padri di famiglie povere” pronti a sostenere le ragioni dei mercanti civitavecchiesi, certamente solo per puro spirito cristiano.
Il Sant’Uffizio dispone il 24 marzo 1802 “che fosse concessa una proroga agli ebrei e che questi nel frattempo tenessero chiuso il negozio e procedessero alla vendita delle merci a porte chiuse. Con un altro ricorso gli Ascarelli protestarono e chiesero di poter almeno tenere aperta la metà della porta. Il ricorso, con la soluzione proposta, fu accolto”.
Sono gli anni in cui i francesi vanno e vengono da Roma, al Campidoglio si esaltano Liberté, Égalité, Fraternité. Gli ebrei sono dichiarati liberi e gli Ascarelli rimangono a Civitavecchia.
La fine della presenza degli Ascarelli a Civitavecchia è decretata da Leone XII, rigidamente antisemita, che a Roma impone la chiusura degli 84 magazzini e delle 41 botteghe ebree situate fuori del Ghetto, cui allarga i confini per custodirvi tutti i “giudei” romani. L’eccezione civitavecchiese degli Ascarelli non può essere sopportata ancora per molto. I 45 anni di presenza in città non hanno valore per chi ha in potere le loro esistenze. Sono si concesse delle proroghe, sostenute dal Vicario del Sant’Uffizio, ma solo per recuperare 4.000 scudi di crediti vantati verso i civitavecchiesi. Nel marzo del 1829 gli Ascarelli ritornano a Roma, per essere di nuovo ristretti nel Ghetto. La loro esperienza commerciale civitavecchiese si è così conclusa, con gravi perdite per loro ma soprattutto per Civitavecchia che vede restringersi la sua economia legata al commercio.
Ultima annotazione: gli storici civitavecchiesi dell’Ottocento, Annovazzi e Calisse, non ricordano nelle loro Storie questa famiglia e quanto si adoperarono i commercianti civitavecchiesi nel cacciarli, certamente più devoti che preoccupati della concorrenza commerciale degli Ascarelli.
Civitavecchia si riscatterà nel 1934/38 con l’ospitalità data ai ragazzi ebrei di tutta Europa simpatizzanti del Bethar e frequentanti la locale scuola nautica dove nacque la Marina d’Israele.
Un grazie pertanto a Silvio Serangeli e Marina Caffiero che con i loro scritti hanno arricchito la storiografia civitavecchiese facendoci scoprire pagine più o meno belle della nostra Storia.
ENRICO CIANCARINI