ANATOMIA DI DUE BANDE (V)

 

di CLAUDIO GALIANI ♦

DAVIDE CONTRO GOLIA

Azioni spavalde

Sin dai primi di ottobre le truppe tedesche cominciano a rastrellare sistematicamente la fascia collinare, cercando di snidare le bande in via di formazione e di bonificare il terreno dalle centinaia di soldati che vagano nella macchia.
Maroncelli riporta gli episodi che colpiscono direttamente la banda.

Il mattino del 6 ottobre, in località “ La Bianca “, forti contingenti di truppe tedesche hanno circondato l’abitato cogliendo di sorpresa gli abitanti. Alcuni partigiani attaccarono per rompere l’accerchiamento e fuggire nei boschi circostanti. Il patriota Remo Consolati rimaneva ucciso nel rapido combattimento.”
“ Tre giorni dopo, all’alba del 9 ottobre, in località Monte Cucco, nel Comune di Civitavecchia, le truppe tedesche hanno circondato la macchia dove erano accampati un gruppo di militari sardi sbandati dopo l’8 settembre. Essi avevano accettato di operare sotto il comando della nostra formazione. Per non essere catturati ingaggiavano un combattimento durato per circa due ore. Alla fine riuscirono a rompere l’accerchiamento e portando i feriti a spalla la maggior parte dei combattenti italiani si mise in salvo. Nove patrioti erano rimasti sul terreno. Anche i tedeschi avevano subìto una forte perdita tra morti e feriti.”

Dieci, alla fine, sono i morti da parte italiana, un tenente e nove militari, e quattro i tedeschi che restano sul campo, più numerosi feriti.
Sullo scontro di Monte Cucco abbiamo anche la versione tedesca. Parla di 12 italiani, tra i quali un tenente, passati per le armi, e 14, in massima parte sardi, catturati. Non fa nessun accenno a perdite subite da parte tedesca.
La banda programma una serie di risposte spavalde, per marcare la presenza sul territorio.

Alle prime ore del mattino del giorno 20 ottobre approfittando del bombardamento aereo che stavano compiendo aerei alleati su Civitavecchia, fu effettuato un colpo di mano contro una batteria costiera onde metterla in condizioni di non poter operare per molto tempo.
Mentre alcuni partigiani tenevano testa a colpi di bombe a mano ai tedeschi addetti alla batteria altri toglievano dai pezzi otturatori e cannocchiali panoramici, che a combattimento ultimato venivano gettati in un pozzo, mentre una motocicletta prelevata nello stesso tempo veniva nascosta in una folta siepe.
Forze partecipanti: n. 20 partigiani;
Forze contrapposte: n. 50 tedeschi circa;
Perdite inflitte: n. 1 tedesco morto e 7 feriti;
Perdite subite: nessuna.

Dopo alcuni giorni fu portata a termine la seguente azione: un gruppo scelto di partigiani al comando del partigiano Foschi Amerigo affondava nel porto di Civitavecchia durante le ore notturne un piroscafo di piccolo tonnellaggio requisito dai tedeschi.
Forze partecipanti: n. 20 partigiani
Il giorno 31 ottobre veniva effettuato un colpo di mano alla Caserma “Duca degli Abruzzi” in Civitavecchia per asportarvi una stazione radio ricevente e trasmittente che fu poi piazzata al Comando dei Carabinieri di Allumiere.
I tedeschi di servizio a detta stazione in numero di cinque colti di sorpresa venivano legati e imbavagliati.
Forze partecipanti: n. 15 partigiani;
Perdite inflitte: nessuna;
Perdite subite: nessuna.
I primi interventi del gruppo sono quindi focalizzati sull’area portuale di Civitavecchia.
Ma dal mese di novembre crescono i rastrellamenti tedeschi, alla ricerca dei capi.
É un’azione alla cieca, tanto che Maroncelli, arrestato, viene rilasciato qualche giorno dopo senza essere riconosciuto.
La tattica tedesca si affina sempre più, allestendo un servizio di spionaggio, che procura informazioni per la cattura dei capi.

Infatti la mattina del 17 novembre, truppe addette al servizio di polizia militare, dopo avere avuto la segnalazione da parte di spie fasciste, le quali avevano segnalato ai tedeschi la presenza del comandante Maroncelli e di altri membri della banda in località Casalone, nel comune di Tolfa, circondavano detta località. Gli abitanti, uomini donne e bambini, vennero fatti uscire dalla casa colonica con le mani in alto. Vennero brutalmente interrogati ricevendo però sempre risposte negative. Esasperati per l’insuccesso della loro azione i tedeschi assassinavano barbaramente i patrioti collaboratori della formazione: Carlo Belfiore, Angelo Caciornia, Emiliano Santi e Luigi Gabrielli.

Vengono poste taglie fino a centomila lire sul capo di Maroncelli e Morra e la banda è costretta a spostare la sua azione verso l’interno.

La strategia della Giunta militare centrale

A dire il vero, gli arresti e i rastrellamenti si intensificano un pò dovunque e causano perdite al movimento partigiano, oltre che rappresaglie sulla popolazione.
Come Roberto Forti, dirigente della Resistenza romana, annota nelle sue memorie, il 2 novembre 1943, in un appartamento in via Torino, si svolge a Roma un importante incontro tra la Giunta Militare Centrale, emanazione del C.L.N., e alcuni capi politici e militari delle formazioni partigiane della provincia.
C’è da mettere a punto una nuova tattica, per superare i limiti mostrati nelle prime settimane dall’azione partigiana.
Già sono stati effettuati importanti atti di sabotaggio che, come era prevedibile, hanno suscitato la reazione dei tedeschi.
In assenza di alte montagne, i ristretti spazi di movimento non sono adatti all’ azione di grandi concentrazioni partigiane e favoriscono la loro individuazione e l’attacco da parte nemica.
E’ più difficile l’ approvvigionamento, crescono i rischi per la popolazione, si favorisce il controllo delle numerose spie che i tedeschi hanno messo in circolazione.
Viene fissato uno schema organizzativo.
Le bande devono dividersi in piccoli gruppi, mescolati con elementi locali, dispersi intorno ai distaccamenti nemici, per seguirne i movimenti ed effettuare attacchi a sorpresa.
E’ il metodo della guerriglia con azioni rapide, pronte ritirate e successiva ricomposizione.
E’ la tattica usata dalla Banda di Bieda dopo l’eccidio del 29 ottobre e da quella di Allumiere dopo il drammatico episodio del Casalone.

Dopo tali avvenimenti il Comando decise di spostare i distaccamenti in altro luogo.
Gli accampamenti furono stabiliti nei boschi intorno ad Allumiere, mentre l’attività della banda venne estesa fino a comprendere, oltre Civitavecchia ed Allumiere, i territori dei Comuni di Tolfa, Veiano, Barbarano, Bieda e Civitella Cesi.”

Sotto la pressione del nemico, la guerra di posizione si trasforma in guerra di movimento.
Partendo dai due poli di Bieda e Allumiere, le due bande accentuano i loro spostamenti, trovandosi spesso a incrociare i loro passi in un territorio che si fa sempre più stretto.

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Zona delle operazioni delle due bande

Un nemico potente e spietato

Fatto è che i nostri partigiani si trovano di fronte un nemico potente, sempre più aggressivo e spietato. Dal mese di luglio, le ambiguità del governo Badoglio hanno favorito un afflusso enorme di truppe specializzate tedesche nel Lazio.
Circa 300.000 uomini della 14° e della 10° armata sono concentrati nella regione, per la maggior parte a sud di Roma, per sostenere il fronte di combattimento; dopo l’ 8 settembre molti reparti occupano la capitale, per sopprimere ogni tentativo di difesa patriottica.
Anche nell’alto Lazio, nell’area tra l’Aurelia e la Cassia, è un pullulare di truppe.
Tra settembre e novembre, addetti alla difesa costiera lungo l’Aurelia, tra la foce del Tevere e Tarquinia, sono impiegati 14.000 paracadutisti della 2. Fallschirmjäger-Division.
La Divisione, costituita in Francia, nel mese di luglio viene trasferita in Italia, per occupare l’aeroporto di Pratica di Mare. In pochi mesi si rende protagonista di spietate operazioni di rastrellamento e rappresaglia.
Un suo reparto è responsabile dell’eccidio di Bieda, su cui stila anche una relazione.
Un altro reparto è protagonista dello scontro di Monte Cucco del 9 ottobre.
La sua azione repressiva è diffusa.
Il 9 settembre partecipa alle operazioni di occupazione di Roma e al disarmo delle forze armate italiane. Un suo reparto coopera alla liberazione di Mussolini sul Gran Sasso.
Il 18 ottobre svolge un ruolo anche nel rastrellamento del ghetto di Roma.
Con molta probabilità è responsabile della fucilazione del vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto alla Torre di Palidoro il 28 settembre, e di quella di Renato Posata, giovane universitario di Civitavecchia, il 1° ottobre.
Lasciandosi dietro questa scia del terrore, a novembre viene trasferita sul fronte orientale.
Viene sostituita lungo l’Aurelia dalla SS Panzergrenadier.
Nell’area opera la 3.Panzergrenadier-Division, giunta anch’essa in Italia nel luglio 1943, spostatasi a settembre verso Roma e poi verso sud.

Panzer Division Wehrmacht

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Immagini di repertorio:  Wehrmacht Division (in alto) – Panzer Grenader Division (in basso).

 

A partire dal 12 settembre assume i compiti di difesa costiera nell’area a nord di Gaeta.
Nel frattempo un suo reparto esplorativo occupa anche Civitavecchia.
Sulla Cassia opera con 24.000 soldati e 350 carri armati, acquartierati presso il lago di Bolsena e utilizzati per occupare Viterbo, Montefiascone, Orte, Orvieto e Terni.
Dopo l’ 8 settembre Kesserling, che ha a sua disposizione anche un reparto “cacciatori”, incaricati della repressione delle formazioni partigiane, sposta la sede del suo Comando da Frascati al Monte Soratte, dove resta fino al giugno 1944.
A Viterbo opera, alle dipendenze del Comando di Roma, un Comando territoriale, che sovrintende i Comandi dei vari centri.

Le bande

Elenchiamo, per un confronto impietoso, l’armamento dichiarato dalla banda Barbaranelli.

N°   74 moschetti 1891
“     11 fucili mitragliatori Berretta
“      5 migliatrici italiane Brera con abbondante scorta di munizioni.
“    32 pistole automatiche Berretta calibro 9 con dotazione di pallottole e caricatori.
“    18 pistole di vario tipo
“      2 pistole lancia razzi per segnalazioni
“  2476 caricatori di pallottole per moschetto Mod. 1991
“   800 pacchetti di pallottole per mitragliatore “Berretta”
“   416 bombe a mano di vario tipo.

Queste sono le armi consegnate agli Alleati.
Sono la fionda di un piccolo Davide che sfida un immenso Golia.
Considerando i membri di tutte le bande, grandi e piccole, che operano in quel momento nell’Alto Lazio, possiamo contare poche migliaia di combattenti.
La più numerosa e virulenta, la banda Arancio, protagonista di tante azioni e particolarmente temuta dal Comando tedesco, conta alcune centinaia di elementi, compresi molti militari di varie nazionalità che si sono aggregati.
Intorno ad essa ruotano in modo instabile vari gruppi locali.
Scarsi sono i contatti tra le diverse formazioni, dislocate in varie zone, diverse per nascita, per composizione, per ispirazione ideale e politica.
Particolarmente diffidente è la rete garibaldina, come appare dal giudizio sprezzante che sul comandante Arancio, personaggio controverso, emette ”Stefano”.

Detti notizia orale dell’esistenza nella selva del Lamone, oltre di un nostro nucleo, di una grossa formazione partigiana. Da un’ispezione, fatta per mio ordine da un compagno che mi aiuta nel lavoro, mi risulta quanto segue: nella zona c’è effettivamente stato un giro molto rilevante di elementi raggiungenti qualche migliaio. L’organizzazione peraltro della banda era difettosissima a causa soprattutto dell’elemento dirigente, certo Arancio, sedicente capitano, elemento tra il pazzoide e il delinquente, che millantando l’accreditamento da parte dello Stato Maggiore del Maresciallo Badoglio, con cui affermava di essere a contatto a mezzo di R.T., era riuscito ad imporsi come comandante, costruendo tutta una scenografia da comando di chi sa quali forze.”

Pur con questi limiti, sparsi tra le macchie delle colline, i partigiani rappresentano una continua spina nel fianco dei reparti tedeschi, con molteplici azioni di sabotaggio, a volte con scontri diretti e con il servizio di informazione che forniscono agli Alleati sui concentramenti e gli spostamenti di truppe.
Questo li espone a dure azioni di rappresaglia, che ne minano l’integrità e l’efficienza.
La tattica della guerriglia è la più adatta per rendere insicuro il territorio al nemico.

Un’arma mitica

Bisogna a proposito far cenno all’arma mitica dei partigiani, il famoso chiodo a tre punte, evoluto poi nella forma a quattro punte.
E’ un chiodo efficacissimo che, seminato sulle strade, è in grado di bloccare intere autocolonne, rendendole un bersaglio facile degli attacchi partigiani, ma soprattutto dei bombardamenti aerei.
L’uso dei chiodi assume un’ importanza strategica e il loro possesso identifica, agli occhi di tedeschi e repubblichini, l’appartenenza partigiana.
Lo stesso ”Stefano” , fermato durante una missione a Poggio Mirteto, riesce a salvarsi dall’arresto liberandosi furtivamente dei chiodi in suo possesso.
In uno scambio polemico tra il Comitato di Viterbo e quello di Civitacastellana sull’uso delle armi anche il chiodo diviene elemento di contenzioso.

Per i G.A.P vi abbiamo domandato a voi del Com. se funzionano, nell’interesse comune di spronarli, tanto i vostri quanto i nostri, al lavoro. Per i chiodi, al contrario abbiamo tutto il diritto di chiedervi se sono stati adoperati in quanto non ve li abbiamo mandati per tenerli sotterrati come ci risulta.

CLAUDIO GALIANI

… continua (il prossimo capitolo (VI) venerdì 26 luglio 2019)
https://spazioliberoblog.com/2019/07/26/cap-vi-in-lavorazione/