RUBRICA “BENI COMUNI”, 43. COLOSSI E NINFETTE NEL PORTO DI CEÑCELLÆ

a cura di FRANCESCO CORRENTI

In questa puntata della rubrica ho voluto rendere evidenti fin dal titolo alcune questioni che devo chiarire a tutti i costi, per ribadire concetti che ho trattato in altri miei lavori ma di cui non vedo ancora la piena accettazione nella civitavecchiografia ufficiale e condivisa. Tra i tanti miti alimentati da vari autori sulla storia di Civitavecchia, alcuni sono duri a sparire, nonostante le dimostrazioni e le prove in contrario. Uno di questi miti è la supposizione che nella “città romana” esistesse un “Colosso”, cioè una statua colossale di Nettuno o del “fondatore” Traiano, prendendo spunto dal “Braccio” in bronzo ritrovato nella darsena. Su questa ipotesi si può tranquillamente concordare, ma senza troppe possibilità di ricostruirne la forma e la posizione, se non basandosi sulla fantasia, perché non abbiamo altri elementi concreti. L’immagine del sipario del Teatro Traiano dipinta da Francesco Podesti nel 1844 e scomparsa esattamente un secolo dopo è perfetta per dare corpo alla fantasia. Ma sulla realtà del Colosso, ne riparleremo tra poco.

Un altro mito è quello che riguarda Cencelle, cioè la città fondata nell’854 da Leone IV per trasferirvi il vescovo e la cattedra episcopale di Centumcellae dopo l’assalto saraceno, la probabile occupazione per qualche tempo, il saccheggio e le distruzioni, con la conseguente fuga della popolazione, poi trasferita nella nuova sede montana, lontana dal mare. Oltre alle altre vicende leggendarie, come il fatto che il nome di Centumcellae fosse trasferito alla nuova non in quanto “ragione sociale” ma “a memoria della vecchia patria, ad augurio di presto riaverla, quasi ad illusione di non trovarsene lontani”, così come il rapido “ritorno” alla Civita Vecchia – che invece era l’indicazione con cui ci si riferiva alla città abbandonata e ridotta in macerie per le devastazioni e i crolli sopravvenuti –, il mitico vecchio marinaio Leandro, la mitica quercia e l’Ottimo Consiglio, è emblematica la “spiegazione” del diminutivo.

“Una nuova Centocelle si ebbe per tal guisa sui monti, come rocca e vedetta di quella che giaceva disfatta sul lido; una nuova Centocelle, che, nel parlare del popolo, divenne poi Cencelle, e tale rimase lungo tempo per nome al castello, e si conserva tuttora alle ruine di esso (C. Calisse, Storia, p. 68). Ma “Cencelle” non era un diminutivo dovuto al “ridursi” dell’importanza della Leopoli, ma l’abbreviazione propria del parlare corrente, che tende a contrarre le parole, a “mangiare” – per così dire – le sillabe, a restringere anche i nomi propri di persone e personalità: «a Ce’» per Caio Giulio Cesare, «Pino» o «Pi’» per Giuseppe o anche «Peppe»/«Peppino»/«Pino» (Garibaldi), «Ami’» per Amintore… Un uso rimasto ancora oggi con le sintesi (odiose!) da telefonino: «ki», «xkè», «cmq», ne parlava su Repubblica Francesco Merlo (Acronimi e sesso per i digitantes), o appunto negli acronimi come Lgbt al posto dei più lunghi sostantivi delle varietà di orientamento interpersonale. Per cui, per farla appunto “breve”, io sono  «cnvt» (convinto) che anche in latino, come ho esplicitato nel mio titolo della puntata «odn» (odierna), già lo stesso Marco Ulpio Traiano / MUT e Plinio Secondo junior / PSJ, nell’eloquio colloquiale, fuori dalle epistole e dai panegirici, dicevano di darsi appuntamento per il w/n (weekend) “ad Cencellas”.

Ritorno adesso sulla questione del Colosso. Tre studiosi di chiara fama, Adolfo Modesti, Ennio Brunori e Adelmo Covati, con la collaborazione di S.E. Mons. Girolamo Grillo Vescovo di Civitavecchia-Tarquinia, hanno curato l’ottimo volume Civitavecchia nella medaglia pontificia (1508-1857), opera completa, precisa, corredata da illustrazioni ben selezionate. E tuttavia, a p. 58, contiene la didascalia di una figura che dice: «L’Acquedotto sistino di Civitavecchia in un affresco nella Biblioteca Vaticana, Salone di Sisto V (tra il 1588 e il 1589 erano stati incaricati degli affreschi nelle sale di Sisto V: Cesare Nebbia, Paul Brill e Giovanni Guerra). Da rilevare la figurazione di una statua colossale, forse di Traiano, al termine dell’acquedotto.»

Della vasta serie di vedute di quei pittori, commissionata dall’entourage di Sisto V Peretti mi sono occupato molto e a lungo, già negli anni del liceo, poi con sopralluoghi e rilievi fotografici nel 1982 (con Bruno Fabbri) e ne ho riferito al Convegno di Perugia nel 1989 (Francesco Correnti, Ricerche sulla storia urbana di Civitavecchia: un metodo di anastilosi grafica dei centri storici scomparsi, relazione al convegno di studi “Il Rilievo tra Storia e Scienza”, Perugia, Palazzo dei Priori, Sala dei Notari, 16-18 marzo 1989, pubblicata in “XY, Dimensioni del disegno”, a. V, n. 11-12, 1991, pp. 72-93, Roma, Officina edizioni, 1991). Rinvio i lettori a quella pubblicazione ed a quanto ne ho scritto su Chome lo papa uole… e in altri lavori. La mia opinione sul “Colosso” e dintorni, compresa la spiegazione del termine “Ninfette” usato nel titolo di copertina, la lascio trovare ai lettori in un safari tra le mie schede di ricerca di allora – delle quali mi avvalgo qui come pezze d’appoggio –, nel duplice intento di mostrare il mio metodo di ricerca e di analisi delle fonti e di dare agli amici del blog il piacere di una lettura che metterà alla prova la loro pazienza e costanza.  

Scheda 1589-90 / a

Cesare Nebbia (o allievi), Urbs sitiens…, affresco. Già in Palazzo Peretti, poi nel corridoio al piano della Cappella nell’Istituto M. Massimo alle Terme, ora nella nuova sede all’EUR nella Cappella dell’Immacolata. Scheda creata il 4 apr. 1982.

Cesare Nebbia, da Orvieto (Terni), ca. 1536-1614 ca., opere in: S. Lucia del Gonfalone, Oratorio del Crocifisso, S. Giovanni in Laterano, S. Spirito in Sassia, S. Pietro (due evangelisti sui pennacchi della cupola), Salone Sistino della BAV, Villa Grazioli a Frascati. Cfr. Vitalini Sacconi, p. 14: “Analoga veduta [a quella del Danti] di CV riappare … in un altro, un tempo nel palazzo Peretti (oggi all’Istituto Massimo), a ricordo degli acquedotti fatti erigere dal pontefice marchigiano”. Vedi in «Il Massimo», a. XL, n° 1, febbraio 1962, p. 6: nel salone del palazzo cinquecentesco costruito dal Fontana (le misure indicate sembrano eccessive: sono moltiplicate per 10! vedi retro quelle giuste / FC) vi era la bella arma pontificia in legno (di Gaspare Guerra) al centro del soffitto [vedi foto ivi] ed “un fregio alto metri 2,50, ove erano affrescate da Cesare Nebbia o da qualcuno della scuola, sotto l’incubo della fretta, le opere monumentali erette o restaurate da Sisto V (…) nei cinque anni del suo pontificato. (…) Ciascuno dei quattordici affreschi, fatti riportare dal p. Massimo su tela ha in calce come didascalia un distico latino: i versi, pieni di spirito e di espressivo laconismo, furono dettati dal poeta Guglielmo Blanco e costituiscono, anche presi a sé, un vero gioiello”. (“Una specie di storia delle nostre premiazioni” del padre Ciro Piccirillo S.J., loc. cit. pp. 5-12). 

Vedi dello stesso A., “Il Municipio di Roma contro gli affreschi di Villa Peretti in «Il Massimo», a. XLI, n° 1, febbraio 1963, pp. 6-9: tratta del distacco degli affreschi effettuato nel 1888 e altre notizie con alcune foto. Vedi ancora stesso A., Le opere di Sisto V nelle pitture dell’antico palazzo Massimo alle terme”, in «Il Massimo», a. XXXV, n° 2, aprile 1957,  pp. 16.18, con notizie più precise dettagliate e varie figure.

Vedi Vittorio Massimo, Notizie storiche della villa Massimo alle Terme Diocleziane, citato ivi (Roma 1836).

Sopralluogo FC il 4 aprile 1982.

Distico:

vrbs · sitiens · mediis · poscebat · pocula · lymphis

qvæ · nunc · dvlci · gvttvra · lenit · aqva.

Interessanti anche i lavatoi e stenditoi a Termini.

Vedi  Annovazzi, 289: “Rinvenute alcune vene d’acqua non molto lungi dalla città furono queste allacciate, e condotte entro la città medesima, facendole sgorgare in sufficiente quantità da una ben’ornata fontana situata addosso alle mura castellane, che intersecavano (…) il luogo dell’ora detta piazza d’arme. (…) benefattore. a di cui lode leggevasi inciso in una lapide presso la stessa fontana il seguente distico:

vrbs · vicina · mari · mediis · sitiebat · in· undis

nvnc · dvlces · sixti · mvnere · potet · aquas.                     

Ma disgraziatamente quelle vene d’acqua vennero meno dopo pochi anni rimanendo così inutile l’edificio sotto di cui essi sgorgavano, e nello stesso modo molti tratti delle vecchie mura (ampliato che si fu il circuito della città…) anzi che essere di giovamento servivano piuttosto d’ingombro nell’interno della medesima; quindi furono demoliti, ed in realtà … Imperava allora … Urbano VIII ecc. [errato in parte. Continua poi parlando di leoni e della fontana di Innocenzo XI].

Ricostruzione ipotetica del salone papale in palazzo Peretti alle Terme

Scheda 1589-90 / b

Cesare Nebbia (o allievi), Urbs sitiens…, affresco già in palazzo Peretti, scheda creata il 4 apr. 1982

L’ambiente fisico in cui è inserita la città, a parte l’albero in primo piano, che ha solo funzioni decorative, evoca intatti scenari di colline boscose, che certo erano ancora quelli effettivamente godibili nei dintorni di CV. La tecnica di rappresentazione, che ricorda quella compendiaria ellenistica, vuol forse colmare con la rapida impressione d’insieme – oltre che esigenze di tempo (intonaci mal preparati o età del papa?) – la mancanza di precisi appunti del vero?

Certo, CV non dà l’idea di una città assediata dai monti, come qui è resa. Il sole è in imposizione impossibile (sia una nuvolosa mattina o cupo crepuscolo). Lo stesso porto è semplificato in due bacini con forme naturalistiche (specie la darsena, che sembra una caletta e non un bacino artificiale), dove il molo del Lazzaretto si confonde con l’antemurale e quello del Bicchiere è ignorato. Così il paesaggio è poco attendibile, anche se il grosso monte può essere quello di Ferrara e il borgo montano può simboleggiare Allumiere o Tolfa. Carattere simbolico avrebbero, quindi, le imponenti rovine (se tali sono) visibili sotto lo squarcio delle nubi, in posizione che certo non è quella delle Terme Taurine, anche se quasi certamente ad esse devono riferirsi (essendo Cencelle troppo lontana).

La sommarietà delle immagini è resa evidente dalla rappresentazione della Fortezza, qui tratteggiata con tre elementi prismatici ben lontani dalle tonde torri angolari, eppure evocanti la massa imponente del Forte con nell’alto mastio. Scarsa attenzione è data alla città, resa come un insieme di case, dove quelle più alte potrebbero rappresentare le torri delle porte. Nessuna evidenza è data a Santa Maria, così come ignorata la rocca e la sua torre, non sentita come elemento caratterizzante.

In questa serie di omissioni son comprese le nuove mura, pur così ben poste in risalto nel contemporaneo affresco del Vaticano, che doveva essere noto anche al Nebbia. Ecco allora che la cinta intorno alla darsena è un semplice muro sfinestrato, quasi un ferro di cavallo aperto tanto verso terra che verso mare, senza traccia dei bastioni sangalleschi con le loro così tipiche angolature. Ben chiusa sul porto è invece la città, con mura turrite. E qui sorge il dubbio se esse sono effettivamente quelle poi demolite da Urbano VIII o se, anche qui, la fantasia del pittore ci tende un tranello, come potrebbe parrebbe suggerire la porta Livorno (?) posta sulla bocca della darsena.

Ma accanto a queste notazioni approssimative, che sembrano il frutto d’un ricordo visivo assai sbiadito, due elementi son resi con fedeltà, sia pure simbolica: la chiesa, che è forse quella di San Paolo, fuori dell’abitato, di fronte al varco della darsena (Porta Marina) ma potrebbe anche essere quella di Santa Ferma (nel vicino Prato del Castellano, e sarebbe la sola immagine pervenutaci!) e l’alta spirale, “anima d’una torre”, ben descritta e nota e qui resa nella sua evidenza di rudere d’una chiocciola imponente (antica torre, probabile faro). Per la chiesa vien da chiedersi se l’alta torretta sia un campanile (come conferma l’affresco vaticano, con più snella figura) o locali ospedalieri, come suggerirebbero certe fonti scritte. Apparente mistero nel dubbio, infine, la bianca figura umana che sembra danzare sui tetti là dove dovrebbe innalzarsi l’alta torre della Rocca, dietro la quale termina, chiaramente, il lungo snodarsi delle arcate dell’acquedotto.

Si tratta d’una figura allegorica o di una figura reale? Ricordiamo che l’affresco aveva ai suoi lati le rappresentazioni, in forme di figure muliebri, della Felicitas e del Subsidium, chiaramente allusive all’opera del pontefice Felice ed ai suoi effetti sulla popolazione. Evidentemente, anche questa è un’allegoria: la “dolce acqua”, anche se la figura sembrerebbe poco decifrabile, il sesso è incerto ma si può propendere per il femminile e non è chiaro se sia nuda o vestita, nel suo candore “trasparente”.

Due ipotesi [come ho ricordato qui per la rubrica, Nota FC 2023] sono state fatte in proposito: che rappresentasse un supposto “Colosso” esistente nella supposta “città romana” (si pensi al braccio di Nettuno ritrovato sul fondo della darsena ed ora al Museo Gregoriano) o che rappresentasse una statua (anche di dimensioni ridotte, ma qui ingrandita per evidenziarla) che il papa pose o intendeva porre a “mostra” dell’acqua. La posizione nel contesto urbano è inequivocabilmente quella della fontana che ci è nota e che secondo V. Annovazzi (Storia, 291) era stata adorna di due leoni e d’un albero, ma la mostra romana del Mosè dimostra che un elemento statuario poteva ben essere nei desideri di Sisto V. In tal caso, si dovrebbe ritenere che la statua, non realizzata per qualche motivo, sia stata sostituita dall’albero, di cui sappiamo il trasferimento – dopo la demolizione della fontana – “ai piedi del […] palazzo [della Comunità, come suo emblema], sull’angolo del primo rione della città hanno (Annovazzi, ibidem). Ma entrambe queste ipotesi sono contraddette dai fatti. Certo, visto il colore marmoreo, non si tratta del presunto Nettuno o di analoga statua bronzea, quale un Traiano o altro imperatore, riciclato da Sisto nel suo arco trionfale addossato alle mura. Neppure una statua in marmo, però, è plausibile, perché altri erano gli elementi decorativi di cui abbiamo notizia e per una considerazione evidente, di cui ci rendiamo conto a osservare bene il simmetrico affresco Cur Dryades video dedicato alla “bonifica” pontina, dove le bianche figure sono addirittura due: una in atteggiamento simile a quella di CV, l’altra giacente, in atteggiamento di riposo, tra i rivoli (verrebbe da chiamarli “pisciarelli”) del pendio convogliati ad unica foce. Il che mi fa propendere, anzi mi convince del tutto, per l’interpretazione mitologica: sono le ninfe o driadi delle acque. Altro che colossi! Simpatiche, snelle, fresche, guizzanti Driadi, Naiadi, Ninfe, diciamo pure Ninfette!

Scheda 1587-88

Fontana a ridosso delle mura castellane presso la Porta Corneto interna (demolita, con quella contrapposta di Urbano VIII, sotto Innocenzo XI)

Torraca 53: Aggiunse fortificazioni e artiglieria alla parte di mura1 rimaste ancora non munite. Fontana2

1 Vite di Sisto V. Stemmi molti del medesimo &c.

2 In una lapide di questa Fonte era inciso il distico seguente:

vrbs vicina mari mediis sitiebat in undis

nvnc dvlces sixti mvnere potet aquas.

Cfr. Molletti, pp. 132-133

Sisto 5°. fece fare una magnifica Fontana attaccata alle mura Castellane antiche col prospetto verso la Strada maestra della Città in forma di Arco Trionfale con bellissimi Ornamenti di Colonne et altri Conci di Travertini di ben inteso disegno e la prima volta che gettò l’acqua doppo eʃser stata terminata vi si trovò presente il medemo Sisto il quale dotò poi questa Fontana e suoi Aquedotti con il Bollo del Pane venale à raggione di mezzo quatrino per pagnotta, il quel datio non si paga dà chi compra il pane, mà dal Fornaro che lo fabbrica e qua rendita ascendeua quando la Città affittaua il Forno intorno à 900: Scudi l’Anno; il qual Forno e datio fù poi annesso à quelle celle, Galere che si dirà appresso. Sopra della Sudetta Fontana in una gran Tauola di Marmo si legge: uono questi Versi

Urbs vicina Mari, mediis sitiebat undis  / Nunc dulcis Sixti munere potabat aquas.

Vedi fontana di Urbano VIII, anno 1631-32

àDisegno di Domenico Castelli riguardante la facciata di Urbano VIII.

Scheda 1589-90 / c

Cesare Nebbia e aiuti, Urbs sitiens…, affresco della villa. Montalto [negativo FC/foto B. Fabbri 17.11.1982] ora nella cappella dell’Istituto M. Massimo all’EUR, scheda creata il 12 dic. 1982.

La villa fu costruita tra il 1576 e il 1581, su disegno di Domenico Fontana, anche a sue spese dopo che Gregorio XIII tolse al cardinal Peretti il “piatto” di 100 scudi mensili concesso ai cardinali poveri)

Insolera, I., Roma (Le città nella storia…), p. 170, n. 23, la ritiene mediocre e così gli affreschi che la decoravano.

Ibid. e in L. Càllari, Le ville di Roma, p. 152, l’elenco dei pittori. Quest’ultimo ricorda che gli affreschi sono conservati nel Collegio Massimo e che sono riprodotti dall’olandese Orbaan nel “Bollettino d’Arte” del Ministero Pubblica Istruzione, anno 1914.

Scheda 1589-90 / d

Cesare Nebbia e aiuti, Crux montes sidus…, affresco della villa. Montalto [negativo FC/foto B. Fabbri 17.11.1982] ora nella cappella dell’Istituto M. Massimo all’EUR, scheda creata il 12 dic. 1982.

In Guidoni-Marino, Storia dell’urbanistica / Il ’500, fig. 666, è pubblicato l’analogo affresco in Vaticano, che rappresenta la platea populi vista dando le spalle al Tevere, con la fontana dalla parte opposta a quella di questo affresco.

Dalla simile veduta di G.B. Falda (1665) [vedi Vedute di Roma ex lib. FC] si rileva che questa è quella esatta: altro indizio per ritenere questa serie posteriore a quella vaticana, cioè ad opere eseguite.

Scheda 1589-90 / e

Cesare Nebbia e aiuti, Currite felices…, affresco della villa Montalto [negativo FC/foto B. Fabbri 17.11.1982] ora nella cappella dell’Istituto M. Massimo all’EUR, scheda creata il 12 dic. 1982.

L’affresco risulta più completo ed esatto di quello analogo nel Salone Sistino della Biblioteca Vaticana (1587-89) [v. illustrazione in Insolera, Italo, Laterza, Roma 1980, fig. 174 e qui scheda 1588-90, G. Guerra ecc./verso] dove manca la balaustra intorno alle vasche e dove la fontana a muro sulla destra (abbeveratoio per cavalli) è sproporzionatamente grande. Manca qui la scritta riportata nell’affresco del Vaticano:

coepit · pont · an · i · absolvit · iii · m · d · lxxxvii,

ma la disposizione delle parole sull’epigrafe, l’atteggiamento del Mosè ed i gruppi laterali sono più fedeli alla realizzazione, anche se le proporzioni generali della mostra risultano qui falsate.

Scheda 1589-90 / g

Cesare Nebbia e aiuti, Cur Dryades video…, affresco della villa Montalto [negativo FC/foto B. Fabbri 17.11.1982] ora nella cappella dell’Istituto M. Massimo all’EUR, scheda creata il 12 dic. 1982.

L’affresco rappresenta il territorio pontino e glorifica la bonifica sistina, affidata da Sisto V all’architetto urbinate Ascanio Fenizi nel 1586 ed i cui lavori egli stesso si recò a visitare nell’ottobre 1589 (v. Orsolini Cencelli V., Le paludi pontine, 1934, p. 119). Il papa morì il 29 agosto 1590 di malaria.

Fu riaperta la foce del Fiume Antico, che prese il nome di Fiume Sisto, presso la Torre Olevola. La scena è di fantasia. La torre è forse Torre Paola (altre torri tonde della zona erano la Cervia e la Moresca o Falconara, la prima ricostruita modernamente e la seconda distrutta nel 1809 da una flottiglia inglese) [v. De Rossi, Torri costiere]. Sullo sfondo, forse, il borgo di Sezze. Anche qui, come nell’affresco su Civitavecchia, le figure bianche, indubbiamente le ninfe delle acque (Driadi).

cvr · dryades · video · virides · ianiare · capillos ·

an · qvia · stagnantes · sixtus · ademit · aquas.

Le Driadi, che alcuni (v. Felice Ramorino, Mitologia classica illustrata, Hoepli, Milano 196715, p. 210) raggruppano con le Amadriadi, sarebbero secondo altri mitologi le stesse divinità chiamate Oreadi od Orestiadi. Specificatamente ninfe delle querce (ẟϱύϛ = quercia, cfr. Giacomo Prampolini, La mitologia nella vita dei popoli, Hoepli, Milano 19422, vol. II, p. 35) sono in generale dee dell’umidità, cioè delle acque che scaturiscono dai monti (poi furono concepite come divinità dei monti stessi). Cfr. Domenico Bassi, Mitologia greca romana, Sansoni, Firenze 1924, p. 138-140-141.

Le divinità proprie delle acque erano le Naiadi.

FRANCESCO CORRENTI

https://spazioliberoblog.com/