Ancora sull’autonomia differenziata: una cronistoria

di ANNA LUISA CONTU

 Dall’insediamento del governo Meloni molti ministri, privi di esperienza e di buon senso, sono sulle pagine di tutti i giornali per qualche loro discutibile dichiarazione. Pensano, così, di rendere evidente al pubblico il loro attivismo.

 C’è un ministro che non sta sui media ogni giorno, essendoci stato con effetti nefasti nel passato, che lavora nell’ombra ma procede alacremente nel suo progetto che è quello di incassare l’autonomia delle regioni del Nord.

 Questo progetto era ed è il core business del partito della Lega che fin dalla sua nascita si è indirizzato dall’obiettivo massimo della secessione a quello minimo della devoluzione alle regioni della legislazione sui principali aspetti del vivere civile.

 È dal 1994, anno del primo governo Berlusconi, che il progetto di ottenere maggiore autonomia per le regioni a statuto ordinario procede, tra strappi in avanti e ritorni indietro, senza che  il potente alleato, nonostante le promesse, abbia mai concesso granché al partito della lega.

 Il centro sinistra di allora, invece di contrastare l’ideologia dominante su “Roma ladrona” e “ il meridione dissipatore delle risorse pubbliche e del Nord” , con la riforma del   Titolo V  della Costituzione fornì un potente appiglio per le richieste leghiste.

 Approvata nel 2001 a maggioranza assoluta dalle due Camere, la riforma costituzionale del Titolo V della seconda parte della costituzione concedeva nell’art.116, comma 3 “ulteriori forme e condizioni di autonomia concernenti le materie di cui al terzo comma dell’art.117…”.

Nel numero di aprile 2001 della rivista de “il manifesto”, un articolo del giurista Giuseppe Ugo Rescigno denunciava, già allora,  i pericoli di un federalismo confuso e pericoloso “ destinato ad alimentare una conflittualità permanente tra varie istituzioni  e che mette in pericolo l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini ( sanità, tutela del lavoro) e le strutture portanti dell’unità nazionale ( l’istruzione, il sistema fiscale, le leggi elettorali, e persino la politica estera”. 

I tentativi di attuare le forme di autonomia concesse dal nuovo art.116  e richieste dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e le intese firmate col governo Gentiloni nel 2017 danno ragione a quell’analisi del prof Rescigno.

Quindi il ruolo del centro sinistra è stato di subalternità; invece di contrapporsi al centro destra, frenandone le spinte autonomiste, ne tollerò la politica e alimentò la sua cultura. Inoltre, all’interno del Pds e del centro sinistra esisteva una corrente che era fortemente autonomista e al federalismo si ispirarono tutte le leggi Bassanini, ministro della Funzione Pubblica nel governo Prodi, degli anni Novanta del secolo scorso, che promossero il decentramento amministrativo di funzioni statali conferito alle Regioni ed enti locali. Non a torto Bassanini è uno dei sessantuno “saggi” nominati da Calderoli per la definizione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni).  Certamente la nostra costituzione, all’articolo 5, riconosce e promuove le autonomie locali, nell’ambito, però, dell’unità e indivisibilità della Repubblica .

 La riforma costituzionale del Titolo V del 2001 fu il compimento di quella stagione di riforme, approvata a maggioranza assoluta sotto il governo Amato, anche lui nel novero dei saggi. Per le persone di sinistra più avvedute questa riforma è sbagliata e pericolosa, dilata a dismisura le competenze delle regioni non migliorando i servizi né la qualità della legislazione. Inoltre, essa rischia di balcanizzare la nostra repubblica, spaccare il paese in regioni ricche del nord che vogliono trattenere il 90% delle tasse e dei tributi pagati dai cittadini residenti, e le regioni del sud, diventate un deserto, con i giovani che vanno via, i vecchi abbandonati  con i servizi inesistenti e le mafie padrone del campo.  Per questo il prof Viesti parla di” secessione dei ricchi”

 Con La riforma del Titolo V, come ammoniva il prof Rescigno, la Regione non è più un ente con potestà legislativa numerata e tassativa, ma è lo Stato che diventa tale perché ogni materia che non gli viene espressamente attribuita, è di competenza esclusiva delle Regioni. (Nuovo articolo 117).

Se con i governi Berlusconi l’autonomia non procedeva, col centro sinistra al potere le cose andarono diversamente. Certo, quando era all’opposizione la destra scatenava la canea degli scontenti del nord, di quelli che minacciavano lo sciopero fiscale, di quelli che organizzavano i forconi in Jaguar.   Riproponevano con prepotenza la cosiddetta “questione settentrionale”.

Il processo di attuazione dell’art. 116, comma tre è cominciato sul finire del governo Gentiloni il quale, a soli quattro giorni dalle elezioni politiche del 2018, che il centrosinistra perse disastrosamente a favore dei 5 stelle, approvò tre accordi preliminari con le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Fortunatamente, con la fine del governo Gentiloni, quelle intese non ebbero seguito ma certamente saranno pronte per essere tirate fuori al momento propizio.

 La maggioranza formata da 5stelle e Lega, aveva nel contratto di governo, sottoscritto dai due partiti, l’autonomia regionale differenziata come uno dei punti qualificanti. Ma  all’interno del partito di Conte cominciò a crearsi, grazie ai deputati del sud e ad una certa resistenza dell’alta burocrazia,  la consapevolezza della pericolosità delle proposte  del partito leghista.

Il governo Conte 2, con lo scoppio della pandemia, ebbe altro da fare che lavorare per l’attuazione dell’art.116, comma tre riformato e tuttavia il ministro delle riforme Boccia presentò una legge quadro, così come la Gelmini nel governo Draghi, che il  ministro per le autonomie  Calderoli ha ripreso  con limature e integrazioni.

 Nel governo Meloni, Calderoli , un estremista autonomista e ministro per le autonomie è” l’uomo giusto al posto giusto “

Il 2 febbraio 2023 il ministro presenta e il Consiglio dei Ministri approva lo schema  di un disegno di legge:   “ Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata “  , scritto in pessimo italiano, in cui la parola più frequente è “immediatamente”, come a sottolineare l’urgenza che lo muove.

  Lo schema approvato conferma” la trattativa riservata di stampo privatistico tra il ministro e le regioni” ( M. Villone) con l’esautoramento del Parlamento che avrebbe solo funzioni di indirizzo, senza possibilità di emendare le intese, né queste possono essere sottoposte a referendum confermativo.

Tra le incerte attribuzioni delle competenze tra Stato e Regioni, la disposizione dell’ art.117 comma m  dà  esclusiva competenza allo Stato per  la definizione dei Lep ( i livelli essenziali delle prestazioni) concernenti i diritti civili e sociali da garantire a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale.

 Sessantuno saggi, di varie aree culturali, sono stati nominati dal ministro per definire i LEP, e come spiega il prof Rescigno “ci sarà uguaglianza tra i cittadini solo nel minimo e totale disuguaglianza al di sopra del minimo garantito”. Sappiamo le richieste delle regioni del nord di trattenere il 90% delle tasse e dei tributi che i cittadini che vi risiedono pagano. Nel 2017 la regione Veneto ha approvato una legge al riguardo, dopo che la Corte Costituzionale ne aveva bocciato una simile nel 2014 perché essa avrebbe “ inciso sulla coesione e la solidarietà all’interno della Repubblica, nonché sulla sua unità giuridica ed economica “ .

Avrei ancora tanto da scrivere. Sarà occasione di un altro articolo per Spazio Libero blog. Termino con le parole del prof Carlo Iannello, dell’università della Campania:

“L’esito disgregativo e antiunitario che sta assumendo l’attuazione del regionalismo differenziato non stupisce. Si tratta della logica conseguenza di un dibattito sull’autonomismo riemerso nel nostro paese sul finire degli anni ’80 del secolo scorso, in coerenza con i postulati neo-liberali che contestano la stessa azione redistributiva dello Stato. Dibattito che nel nostro paese è stato animato da una forza politica antistatale e antiunitaria, la Lega Nord, che ha sempre contestato il ruolo dello Stato e affermato l’obiettivo di far restare “ al Nord le tasse del Nord”. Obiettivo in contraddizione con l’unità nazionale che se prima era perseguito con una proposta eversiva di stampo secessionista, oggi si cerca di camuffarlo sotto le spoglie di un progetto attuativo  di una disposizione costituzionale sfruttando i margini di ambiguità introdotti dalla pessima riforma del Titolo V del 2001”.

ANNA LUISA CONTU

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