14 Maggio 1943 – Una giornata qualunque.

di ALFIERO ANTONINI ♦

Luci dell’alba invadono la scena, rosate, dolci, serene sul mare calmo.

Voci dai banchi di pesce per richiamare gli avventori. Chiacchiericcio delle donne al mercato. I bambini accompagnati all’asilo e a scuola dalle madri. Sembra tutto normale.

Improvvisamente un brontolio lontano, piano piano cresce il suo rumore, aumenta fino a diventare un rombo di tuono. Il cielo si oscura  a ondate successive, le fortezze volanti oscurano il cielo .Crepitio di mitraglie, esplosioni: crollano i palazzi, c’è un fumo acre. Tutto si sta trasformando intorno a noi- continuano le esplosioni e i crolli, si odono grida di donne, imprecazioni di uomini, pianti disperati dei bambini. Ancora scoppi, crolli rumorosi, si alzano colonne di fumo nero che si solleva dagli incendi.

Tutta la città è distrutta,  specie il centro, anche le chiese non sono più che ruderi fumanti, Santa Maria, la cattedrale. Le mura romane ora sono un ricordo. Forte Michelangelo colpito in più parti, l’arsenale del Bernini sembra un residuo fossile ancora fumante accompagnato dalle voci della gente che è in cerca delle persone care e del pianto dei bambini che non capiscono  tutto questo sfacelo e non riconoscono più la casa degli avi e il cortile dove fino a ieri hanno giocato con altri bimbi che ora, forse, non ci sono più.

Il cielo ormai è tornato sereno e sgombro, ma non è più azzurro. Si è trasformato con il fumo degli incendi che hanno permeato anche l’aria. Mi accorgo improvvisamente che dopo tutto il frastuono è arrivato un silenzio insopportabile, imprevisto, legato sapore di morte più forte e assordante più del frastuono di prima.

Silenzio tutto il giorno. Non so quanto sia durato. Civitavecchia non sarà più la stessa. Un silenzio che assorda più dei rumori assordanti degli scoppi di prima che ormai mi sembrano trasformarsi in musica dal timbro triste. Come offuscato e triste è l’animo di chi crede di sentire quella strana melodia e… le parole che l’accompagnano, pesanti come macigni che cadono da un crinale della montagna, rompendo un silenzio irreale. Invece era solo una pausa dell’anima che chiedeva pietà.

Un grido, basta guerre, basta con i genocidi, basta con i soprusi dei forti contro i deboli , dei ricchi contro i poveri, dei malvagi contro le donne e i bambini. Ma uomini, di quale razza siamo? O meglio di quale specie animale? Per gli animali almeno c’è la scusa della sopravvivenza, ma per te, uomo o donna, che scusa c’è?

Cupidigia, superbia, potere, sopraffazione ingiusta. Non c’è merito in tutto questo, c’è  solo vanagloria, disprezzo degli altri, dei più deboli. ‘’Dio, se ci sei ferma tutto questo.’’ Oggi la punizione inflittaci è questo covid 19 con le sue varianti, e ancora sembra che l’uomo non abbuia capito che è solo con i suoi comportamenti ed usando l’intelletto che potrà vincere la battaglia  contro il virus e le nostre possibili speculazioni che lo accentuano. La musica e le luci che accompagnano il racconto si perdono nell’aria trepida della sera, trasformandosi in una melodie triste ma, un poco dolce…che dà pace e fa sperare che tutti noi, come dopo il diluvio universale, diventiamo più saggi così torneremo ad amarci e a rispettarci aiutandoci l’un l’altro

ALFIERO ANTONINI