I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.
di EZIO CALDERAI ♦
Capitolo 23: L’insensata follia della Prima guerra mondiale, generatrice della Seconda. L’Europa
nelle mani di due terribili autarchie: nazismo e comunismo. Churchill, Roosevelt, Truman, Marshall
dimostrarono che la politica o è coraggio o non è.
La storia non è avara di prove della stupidità dell’uomo. Nel 1914 a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia, vennero uccisi da un nazionalista serbo-bosniaco. Fu la scintilla che scatenò la Prima Guerra Mondiale, che ingoiò la vita di generazioni di ragazzi inconsapevoli. Morirono a milioni nelle trincee puzzolenti, una morte orribile, seconda soltanto a quella patita dai marinai e rematori fenici a Salamina, ma nel 1914/18 non c’era Eschilo a condannare con i suoi versi, ad un tempo monumentali e sublimi, la hybris dei potenti della terra.
I superstiti vennero falcidiati dalla “Spagnola”.
Le conseguenze per i Paesi che avevano perso la guerra furono tremende: i vincitori imposero ai vinti riparazioni per somme e condizioni folli; l’Impero austro-ungarico scomparve, così, semplicemente, e Vienna, fino a pochi anni prima la nuova Atene, divenne una fogna a cielo aperto; la Germania cadde in una crisi terribile, paragonabile a un pozzo nero senza fondo, l’inflazione raggiunse livelli parossistici, lo sprazzo di luce della Repubblica di Weimar non riuscì a illuminare le città tedesche, in primo luogo Berlino, corrose dalla povertà, dalle privazioni, dalla corruzione e dalla prostituzione umiliante.
Le potenze alleate, Francia e Inghilterra, dimenticarono in fretta che, senza l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America, probabilmente non ci sarebbe stata nessuna vittoria.
In Francia sembrava che i fuochi d’artificio ottocenteschi non fossero mai finiti.
I quattro moschettieri dominavano il tennis mondiale, il tour de France in bicicletta era la gloria nazionale, Parigi era la regina d’Europa e il Can Can continuava a furoreggiare.
Gli inglesi, sportivi più snob, si lanciarono in imprese per terra e per mare: scoperte geografiche, scavi archeologici, incetta di tesori antichi in tutto il mondo per la gloria del British Museum.
Nel frattempo, entrambe le nazioni che avevano vinto la guerra vivevano sulle spalle delle colonie.
***
Nessuno sembrava accorgersi di quel che stava accadendo in Europa. Eppure, di cose ne erano successe e ne stavano succedendo. Tutti i giorni.
La Rivoluzione d’Ottobre aveva fatto della Russia una repubblica comunista. I Romanoff vennero confinati e trucidati. In Italia il potere venne preso da una formazione autoritaria di destra, che in breve si trasformò in dittatura, guidata da Benito Mussolini, un ex socialista. In Germania una popolazione esausta, che per anni era andata al mercato con le carriole e i carretti per portare i soldi per comprare quattro cose da mangiare, si stava riprendendo; nutriva un odio profondo per le nazioni che avevano strangolato, con le riparazioni di guerra, uomini, donne e bambini.
Nel 1933 elezioni democratiche portarono al potere Hitler e il suo partito revanscista.
Nessuno si chiese chi fossero quei nazisti, né quando nel 1938 fecero della Cecoslovacchia il Protettorato tedesco di Boemia e Moravia, né l’anno dopo quando occuparono parte della Polonia, spartendosela con l’Unione Sovietica. Ancor prima, durante la guerra civile in Spagna, Germania e Italia collaudarono l’efficienza del loro apparato bellico.
Francesi e britannici avrebbero dovuto capirlo nel 1938 quando si recarono a Monaco per tentare una pace in extremis con Hitler. Non ci riuscirono, ma fecero finta di niente, anche quando Hitler l’accordo lo fece con Stalin per spartirsi la Polonia. Quando la delegazione inglese, guidata da Chamberlain, tornò a Londra, l’accolse Churchill con un saluto sprezzante: «Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore avranno la guerra».
Se ne accorsero nel 1940 quando in meno di un mese e mezzo le Panzer-Division occuparono il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e arrivarono a Parigi. C’erano voluti quasi due anni perché Francia e Gran Bretagna si accorgessero che era iniziata la Seconda Guerra Mondiale. Ormai era tardi. Fecero in tempo a capire che essi stessi, con lo scellerato trattato di pace di Versailles, avevano acceso la miccia, che avrebbe incendiato prima l’Europa e poi il mondo.
Nel 1919 gli uomini riuniti nella Reggia di Versailles, nei loro frac e nelle loro redingotes, non si lasciarono guidare dalla ragione, rimasta negli eleganti cappelli a cilindro, consegnati ai valletti prima di sedersi al tavolo sfarzoso delle firme. Nessuno pensò di mettere davanti a ciascuno degli illustri sovrani, capi di stato, diplomatici e generali, una copia dell’acquaforte di Francisco Goya titolata dal grande maestro spagnolo «Il sonno della ragione genera mostri».
Nessuno poteva immaginare, tanto meno i francesi, imprigionati nella loro boria, quali mostri avessero scatenato, depredando la Germania occupata e dilapidando i soldi della vittoria.
I francesi non videro il miglioramento delle condizioni di vita nella Germania del dopoguerra, né la formidabile crescita dell’industria pesante; nel loro orgoglio smisurato, pensarono: «una vittoria è per sempre». Nessun ammodernamento di uomini e mezzi dell’esercito. Quando iniziarono le ostilità, la presunzione li portò a credere che i crucchi li avrebbero attaccati dove dicevano loro per cui allestirono la famosa linea Maginot. I tedeschi furono così screanzati da passare per i boschi delle Ardenne e in pochi giorni arrivarono a Parigi. La pace, che i francesi chiesero con il cappello in mano, costò la completa sottomissione, gestita da un governo collaborazionista guidato dall’eroe di Verdun, il Generale Philippe Pétain.
I francesi riscattarono l’onore perduto grazie al maquis, gli intrepidi combattenti della resistenza, ma dovevano passare quattro anni prima che Parigi tornasse libera.
Anche gli inglesi incontrarono difficoltà tremende. Più di duecentomila soldati erano bloccati, praticamente indifesi, insieme a non meno di centotrentamila tra francesi e belgi, sulla spiaggia di Dunkerque. Gli inglesi, però, mostrarono tutt’altra tempra. La loro Marina era rimasta intatta, ma la forza morale di un intero popolo venne esaltata da un leader, Winston Churchill, di eccezionale coraggio, tra i pochi in quei giorni che capì che Hitler e i nazisti rappresentavano un pericolo mortale non solo per l’Europa, ma per l’umanità intera. Solo la resistenza di Churchill, convinse Roosevelt, Presidente degli Stati Uniti, ad entrare in guerra nello scacchiere europeo pur dopo Pearl Harbor.
In cinque giorni vennero evacuati da Dunkerque 338.000 uomini. La Marina inglese, certo, ma anche centinaia e centinaia tra pescherecci e imbarcazioni private da diporto, tra cui una minuscola di 4,6 metri, che divenne il simbolo di quello che fu definito il «miracolo delle piccole barche».
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I nazisti, dopo aver commesso atrocità che il mondo non aveva mai conosciuto, furono annientati dalle potenze occidentali. Ancora una volta, tuttavia, la guerra non sarebbe stata vinta senza l’apporto degli Stati Uniti. Le forze in campo, la straordinaria efficienza dell’industria americana, ma, secondo molti, prevalsero valori e principi, sia morali sia religiosi, sostanzialmente comuni.
Fu grande anche il contributo alla vittoria dell’URSS. La resistenza di Stalingrado ai nazisti è entrata nella leggenda.
Durante il conflitto uomini e donne impegnati in guerra si comportarono come gli autentici epigoni della civiltà greca, romana, giudaico-cristiana, che aveva saputo difendere nei secoli le proprie convinzioni, conservando, purtroppo tra non poche eccezioni, la capacità di convivere con altri popoli ed altre culture.
Caddero anche i regimi fascisti, primo quello italiano. Non c’è regime dittatoriale e totalitario che non sia orribile e non abbia commesso crimini orrendi, ma, rispetto ai nazisti, i fascisti italiani potevano passare da boys scout deviati. Subito dopo la guerra, la solidarietà con i comunisti russi si ruppe e calò la cortina di ferro. Ci sarebbero voluti più di quarant’anni perché i paesi dell’est europeo e la stessa Russia riacquistassero la libertà. Già prima erano filtrate le atrocità commesse dall’impero sovietico prima e dopo la guerra mondiale, quando l’URSS cadde, salì uno tsunami di orrori, repressioni, gulag, con la lugubre conta delle vittime, molte rimaste senza nome.
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Non per omaggio al popolo ebraico, che lo meriterebbe e lo merita, la guerra la vinsero, con i loro corpi, con la loro intelligenza per sfuggire alla morte, anche gli ebrei perseguitati.
A parte i ceppi con la croce di David nei cimiteri americani, specie quelli in Normandia, si calcolano in sei milioni gli ebrei sterminati dai nazisti. Decine e decine di migliaia si salvarono, grazie alla loro abitudine a fuggire, a nascondersi e a innumerevoli italiani, francesi, olandesi, polacchi, norvegesi, i tantissimi in Europa che rischiarono la vita per salvare i fratelli ebrei.
Questo insensato disegno strategico di cancellare gli ebrei dal mondo e dalla storia, che i posteri hanno diversamente chiamato (shoah, soluzione finale, olocausto), anche se non c’è definizione che possa descrivere l’orrore, denota la stupidità dei nazisti, che forse, se non avessero disperso enormi risorse, in uomini e mezzi, per lo sterminio, non avrebbero perso la guerra.
Ecco perché ho sempre pensato che i corpi delle vittime ebree, in una nemesi divina, abbiano portato i tedeschi a una rovina sempre troppo tenue per quello che avevano fatto.
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Per la fortuna dell’Europa i leader occidentali che avevano vinto la Seconda guerra mondiale erano di altro spessore rispetto a quelli che erano usciti da Versailles, i quali non si resero conto che, mentre firmavano la pace, stavano preparando un secondo e ancor più terribile conflitto.
Churchill, i presidenti americani Franklin Delano Roosevelt e Harry Truman, naturalmente, ma, a mio avviso, non ci sarebbero stati né ordine, né sicurezza, né ripresa economica in Europa e in Giappone senza il genio di George Marshall, capo di stato maggiore dell’esercito americano dal 1939, due volte Segretario di Stato. Un genio della logistica, ma soprattutto un genio umanitario senza eguali. Non rimase insensibile di fronte alle macerie che sfiguravano contrade e città d’Europa, alle ferite materiali e spirituali di milioni di uomini e donne e capì, soprattutto, che senza sostenere le economie e la vita dei vinti e delle vittime non ci sarebbe stata pace.
Il “Piano Marshall” salvò l’Europa e le consentì di ripartire, ma il grande Generale aveva anche capito cosa sarebbe successo in Europa se gli americani l’avessero lasciata inerme di fronte alla Unione Sovietica. Marshall sapeva che Stalin non era più buono di Hitler e solo chi non voleva non vedeva quello che era accaduto e stava accadendo nell’immensità dell’Impero Sovietico.
EZIO CALDERAI (CONTINUA)
Che bel ripasso di storia, caro Ezio riassumi brevemente uno dei periodi più brutti dell’Umanità con un controllo preciso delle parole e delle espressioni tale da modulare con un ritmo serrato e oggettivo lo svolgersi dei fatti. Dovresti cercare assolutamente di pubblicare questo tuo sforzo letterario perché sarebbe un dono per tutti
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