“CHE AMBIENTE CHE FA” DI LUCIANO DAMIANI – STOP ALLE AUTO TERMICHE UN NUOVO TERRENO DI SFIDA O UNA POLITICA MONCA?

di LUCIANO DAMIANI

Il futuro, ci piaccia o no, reclamerà il suo spazio e chi resta indietro sarà altrettanto inevitabilmente schiacciato e costretto ad inseguire chi é stato più lungimirante e più coraggioso.

Uno dei temi più divisivi di questi giorni é la risoluzione del Parlamento Europeo che indica nel 2035 la data di STOP alla vendita delle auto termiche. Questa decisione rientra nella strategia globale che vede per il 2050 la neutralità climatica della UE, l’azzeramento o comunque la neutralizzazione delle emissioni di CO2 in atmosfera per contrastare i cambiamenti climatici denunciati, ormai da tempo, dalla comunità scientifica mondiale.

Sebbene la commissione trasporti abbia preventivamente dato parere negativo, per molte delle motivazioni che vengono espresse nei dibattiti di questi giorni, l’Assemblea ha deciso di fissare il termine del 2035 per la vendita di auto ad emissioni “0”, in buona sostanza non si potranno più vendere nuove auto e piccoli furgoni con motori termici. Più precisamente:

“La legislazione approvata prevede l’obbligo per nuove autovetture e nuovi veicoli commerciali leggeri di non produrre alcuna emissione di CO2 dal 2035”.

Da qui al 2035 é previsto uno step che abbasserà le emissioni ammesse:

“Gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 sono stati fissati al 55% per le autovetture e al 50% per i furgoni”.

La legge delega alla Commissione Europea il compito di monitorare l’andamento del mercato delle auto nell’ottica del raggiungimento dell’obiettivo:

“Con cadenza biennale, a partire dalla fine del 2025, la Commissione pubblicherà una relazione per valutare i progressi compiuti nell’ambito della mobilità a zero emissioni nel trasporto su strada.”

E non è detto che proprio queste verifiche possano consigliare modifiche sostanziali di questa norma, norma che, per altro, non é sancita del tutto mancando ancora un passaggio, sia pur formale, presso il Consiglio Europeo, saranno quindi possibili, sebbene improbabili, ritocchi dell’ultim’ora.

È anche prevista una graduale riduzione degli incentivi per il quale si prevede uno specifico calcolo in base ad un fattore denominato ZLEV. Detta in parole povere man mano che il parco auto si adeguerà agli obiettivi di emissioni “0” minori saranno gli incentivi. C’é da pensare che non convenga attendere troppo? Vedremo.

“Con 340 voti favorevoli, 279 voti contrari e 21 astensioni, i deputati hanno approvato l’accordo raggiunto con il Consiglio sugli obblighi di riduzione delle emissioni di CO2 per nuove auto e nuovi furgoni, in linea con gli ambiziosi obiettivi climatici dell’UE”.

Non si può dire che in questa occasione il Parlamento Europeo abbia mostrato gran comunione d’intenti ed anche alcuni governi, non molti a dire il vero e fra questi il nostro, hanno espresso una forte contrarietà a differenza dei maggiori paesi dell’Unione che hanno fatto propri gli obiettivi della transizione e, in questo caso, anche il metodo.

Le emissioni da traffico veicolare hanno la responsabilità di una larga fetta delle emissioni di CO2, per comprenderne la misura uno studio di ISPRA riporta che le emissioni di gas serra da trasporti sono il 25% del totale ed il 93% di questo 25 é da addebitare al trasporto stradale. Da questa considerazione nasce, evidentemente, la necessità di intervenire legislativamente e nel modo più tempestivo possibile, su questo specifico settore, decisamente più importante nel bilancio delle emissioni e delle responsabilità di altre modalità di trasporto (navi, aerei e treni sono responsabili per percentuali ad una cifra rispetto al totale delle emissioni dovute ai trasporti.

La torta indica chiaramente quanto sia rilevante affrontare il tema del trasporto stradale. Si tratta di affrontare oltre il 20% delle emissioni totali.

L’obiettivo é ambizioso, non c’é dubbio, é molto ambizioso perché richiede una trasformazione rapida dell’industria e con essa dei lavoratori, basti pensare all’indotto della produzione dei motori termici. É ambizioso perché richiede politiche commerciali all’altezza della sfida, attualmente i costi sono decisamente elevati, troppo elevati per pensare ad una trasformazione di massa del parco auto europeo, forse anche da qui a quindici anni. Un’altra sfida da non sottovalutare é il cambio di mentalità dell’utenza abituata ad un comportamento assolutamente diverso, l’auto elettrica richiede infatti di controllare lo stile di guida, di programmare le fermate per la ricarica e soprattutto la pazienza di “attendere”. E poi occorre disporre di una rete di “colonnine” sempre più adeguata e disporre di sufficiente produzione di energia sostenibile, senza la quale si vanificherebbe, se pur in parte, la sfida ambientale.

In queste sfide risiedono la gran parte delle obiezioni di chi chiede più tempo per questa transizione, a queste si aggiunge l’obiezione politica relativa alla temuta disoccupazione indotta ed all’assoggettamento alla Cina.

Ma l’Europa si é data l’obiettivo strategico della neutralità ambientale per il 2050, un tempo troppo lontano o troppo vicino a seconda dei punti di vista, ma, il cambiamento climatico non é un punto di vista, é ormai indubbiamente un dato di fatto al quale occorre dare risposte quanto più efficaci e rapide possibile, ammesso e non concesso che siamo ancora in tempo, che non abbiamo, come alcuni affermano, superato il punto di non ritorno ovvero quel punto oltre il quale qualsiasi cosa facessimo non otterremmo alcun risultato positivo, saremmo cioé inevitabilmente travolti da un cambiamento incontrollabile ed irreversibile con esiti ancora non del tutto chiari ma dei quali facciamo esperienza ogni qualvolta i disastri climatici ci toccano. Sinceramente spero che i negazionisti del cambiamento climatico abbiano ragione. Saremmo tutti contenti di aver sbagliato tutto.

E dunque la UE si é data un obiettivo di transizione, a dire il vero non é la sola, la data del 2035 é la data fatidica per Regno Unito, Giappone, alcuni stati USA ecc… ci sta ragionando anche la Cina, con buona pace di quanti vedono questo provvedimento come uno stravagante dictat della nomenclatura europea.

La direzione quindi é segnata, inevitabilmente segnata e non sono poche le case automobilistiche che hanno dichiarato, da tempo, la cessazione della produzione di auto termiche, chi prima e chi dopo (alcune ancor prima del 2035) ed in anticipo sulle decisioni politiche. Chi dice che si tratta di una “imposizione della UE” in modi più o meno coloriti se ne faccia una ragione, é un indirizzo a livello mondiale e non c’é alcun complotto. L’unico complotto é quello che vede più o meno tutti, pur con le tante contraddizioni che sarebbe disonesto negare, impegnati nel contrastare il cambiamento climatico, non per niente il mondo si riunisce ogni anno nella conferenza COP, purtroppo con risultati scadenti, ma tant’é.

Il mondo é fatto di paesi e regioni geografiche assai differenti, differenti in termini di tecnologia, ricchezza, in termini sociali e politici ecc… e ci sono differenze anche all’interno della UE. A volte, in fatto di differenze, ci distinguiamo dagli altri paesi, quelli fondatori, ad esempio, perché con quelli dovremmo rapportarci. Ci differenziamo anche nel trend di crescita degli EV.

“Durante il terzo trimestre del 2022, in termini di volume, le auto elettriche hanno fatto segnare una crescita del 22% con 259.449 unità immatricolate in tutta l’Unione Europea. Ad eccezione di Danimarca (-2,6%) e Italia (-35,0%), tutti i mercati UE hanno contribuito a questo risultato con guadagni anche a tre cifre per Cipro (+490,0%), Lettonia (+231,8%), Romania (+213,4%) e Bulgaria (+101,7%)“.

Siamo uno dei paesi fondatori dell’Unione e ci si aspetterebbe di reggere il trend degli altri, in questo come in altri settori, ma purtroppo dobbiamo registrare ritardi dello sviluppo. Quando da noi le colonnine per la ricarica erano una rarità altrove erano già realtà diffusa. Il trend negativo delle immatricolazioni trova uno dei motivi in questi ritardi infrastrutturali, ma non é certamente l’unico.

Seguendo i social, ed alcune trasmissioni televisive, si nota la natura di ‘tifoso’ insita negli italiani, non si affronta il tema con il dovuto distacco, ma ci si accalora e la discussione parte da posizioni da affermare mettendo in luce tutti quegli aspetti che portano l’acqua al proprio mulino per l’affermazione della propria verità. Bisognerebbe invece trattare i vari aspetti, i pro ed i contro per, se mai, riuscire a produrre un giudizio ragionato, ma siamo tutti tifosi e partigiani, tanto partigiani da pensare che la nostra situazione sia tipica di tutti gli italiani, per cui se l’auto elettrica non é utile a noi non é utile a nessuno.

Ma la cosa che fa pensare, nell’ottica ambientale, é che le discussioni sulle EV non parlano di ambiente e di clima, ma di ‘quanto e se conviene’. In una infinità di post si fanno calcoli sul costo del kWh se si prende da casa, dalle colonnine ecc.. Questa cosa dà la misura dell’attenzione all’ambiente dell’italiano medio, che in questa questione si dimentica del tutto dell’inquinamento da trasporto intrappolato fra i palazzi delle città e dimentica le malattie che provoca ed i costi sanitari che ne derivano. La transizione verso l’elettrico non ha la sua motivazione nel ‘risparmio’ o nella ‘convenienza’, ma nella esigenza di abbattere le emissioni. Da qui la considerazione che i cittadini sono chiamati ad essere protagonisti, anche facendosi carico della scomodità di avere un EV, perché é indubbio che l’auto elettrica sia scomoda e richieda un cambio di mentalità.

Tutta questa discussione però é zoppa, qualcuno ha detto che “l’auto che inquina meno é quella che non c’é”. In questo piano europeo per il trasporto sostenibile manca del tutto il trasporto pubblico e c’é da domandarsi se abbia senso un impegno così importante verso la conversione del parco auto senza un altrettanto significativo impegno sul fronte delle virtuose alternative al trasporto privato. Il fatto che per portare noi stessi, che pesiamo circa 80 kg., da un punto ad un altro, siamo abituati a spostare una macchina che pesa una tonnellata e più, dovrebbe farci ragionare sul modello di trasporto. Il trasporto privato, per sua natura, non é certo amico dell’ambiente, va ripensato e dovrebbe esserlo dalla UE proprio quando questa affronta certi temi, quando progetta strumenti strategici per raggiungere la neutralità climatica. Certo se fosse in qualche modo ‘imposto’ il trasporto pubblico si leverebbe prepotente la protesta: “Ci vogliono togliere la libertà”, già il “ci vogliono” é stato lanciato con la farina d’insetti, figuriamoci se la UE si svegliasse un giorno pensando di sottrarre spazi al trasporto individuale, altro che levata di scudi. Ma l’esperienza altrui ci insegna che il trasporto pubblico può in larga parte prendere il posto di quello privato, basta che le limitazioni al privato vengano utilmente compensate dal trasporto pubblico efficace, sarebbe solo questione di tempo. Al momento però non pare che il legislatore europeo si stia interessando del trasporto pubblico, tutto pare lasciato alle iniziative degli amministratori locali che potrebbero certo fare di più se fossero supportati da un piano dal respiro europeo. Ma, anche in questo, dobbiamo registrare un netto ritardo, basta mettere a confronto le reti del TPL delle nostre città con quelle di altre simili europee. Chi ha avuto modo di provare le metropolitane di certe capitali europee può far bene il paragone con la metro milanese e la risibile metro romana, anche per il trasporto di superficie spesso i paragoni sono inclementi. Siamo per altro in ritardo anche per quanto riguarda i percorsi riservati alle bici e le proteste si levano ogni qualvolta si pensa di chiudere una qualche via. Il piano ha quindi una certa dose di ipocrisia perché non considera di affrontare il tema del trasporto pubblico.

La rete del TPL di una città europea di 80.000 abitanti Ma se il passaggio alle EV richiede un mutamento sostanziale nella psicologia dell’automobilista, cosa occorrerà perché si scelga di lasciare l’auto per prendere il trasporto pubblico, cosa occorrerà perché il protagonista del trasporto si trasformi in trasportato?

Forse, come per altre cose, occorrerà prima una certa dose di costrizione perché tutto diventi infine usuale e comunemente accettato. É compito della politica anche quello di formare le coscienze civiche, di plasmare la società, ed un modello virtuoso di trasporto non può che passare da un primo momento nel quale la gente si vedrà in qualche modo ‘obbligata’, ‘privata della libertà’, ma poi diventerà tutto usuale e normale. A noi non resta che affrontare l’inevitabile cambiamento oppure di opporci ad esso, ma in questo secondo caso faremmo una battaglia di retroguardia conservatrice. Il futuro, ci piaccia o no, reclamerà il suo spazio e chi resta indietro sarà altrettanto inevitabilmente schiacciato e costretto ad inseguire chi é stato più lungimirante e più coraggioso, si tratta di scegliere se essere protagonisti attivi e trainanti o pesi trainati al rimorchio. L’unica cosa sensata che si possa fare é accettare la sfida è tirarsi su le maniche.

LUCIANO DAMIANI

Foto di copertina: una postazione comunale di ricarica alla quale é connessa un’auto di car sharing comunale.
La normativa:
https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2023-0039_IT.html
Le emissioni dei trasporto stradale in Italia.
https://www.isprambiente.gov.it/files2021/eventi/evento16apr2021_emissioni_strada.pdf

https://spazioliberoblog.com/