Perché Sanremo è Sanremo

di VALENTINA DI GENNARO ♦

In questa edizione del Festival della Canzone italiana di Sanremo molti sono gli argomenti e le suggestioni che meritano di essere esaminate non solo come fenomeno di costume, ma che come specchio di qualcosa che nella società sta comunque accadendo già da tempo. 

Un punto su tutto: la violenza di genere, la rivendicazione dei diritti riproduttivi, l’autodeterminazione sul proprio corpo e del proprio corpo come argomento diffuso. 

Chiara Ferragni ha, da tempo, sposato e rivendicato per sé alcune categorie storiche del femminismo.

Come, ad esempio, fuggire dalla dicotomia madre/puttana, dal liberare il tempo della cura da quello del lavoro, il non essere additata e pensata come oggetto e la libertà di mostrare il proprio corpo. 

Chiara Ferragni è una imprenditrice, grandissima imprenditrice di successo. Basti pensare al solo suo ingresso nel cda di Tods e a che cosa ha prodotto in termini finanziari.

 È un imprenditrice che non si interessa di ingiustizie sociali, ma fa la carità. Non si interessa della intersezionalità delle tematiche di cui parla e del nesso che esiste, e c’è da sempre, tra capitalismo e patriarcato.

La proprietà privata nasce ed insieme ad essa nasce il concetto di eredità di beni. E con l’eredità la necessità che la paternità fosse sicura e la successione salva. Da qui la millenaria ricerca a normare il corpo della donna e la sua sessualità fino ad arrivare adesso alla precarietà del mondo del lavoro, alla sostituzione del welfare sulle spalle della cura delle donne. 

È possibile, e lo è per molte donne, per molte femministe, rivendicare alcuni diritti per sé senza mettere in discussione l’architettura del sistema che ha prodotto quel vulnus? 

Mentre per me non lo è, capisco allo stesso tempo che veicolare messaggi positivi sull’autodeterminazione delle donne non è certo uno sbaglio.

Unico effetto collaterale: la semplificazione. Semplificazione che esiste e permea molti ormai dei campi di questo mondo e di cui certo non abbiamo bisogno. 

Un altro caso. La maternità non voluta. Quella nemmeno cercata o forse oggetto di grandi rimpianti. 

Il punto che non viene indagato o approfondito è questo: sarà possibile pensarsi non sempre in confronto con la maternità? Saremo sempre semplicemente madri o non madri? Ci si dovrà sempre giustificare se si è fatto l’una o l’altra scelta? Saremo mai anche altro diverso dal materno?

Anche qui la prova sanremese mostra il limite di un’analisi che va oltre. E a chi andrebbe dato più respiro. 

La narrazione su una donna che non è madre per scelta, come quella della donna che abortisce, sarà mai scevra da quella del dolore?

“Da tutte le parti questo corpo che mi abita e che abito sfugge e mi torna, come se fosse l’anguilla della mia coscienza, un’anguilla attaccata a me” . Diceva Rossana Rossanda.

Sarà possibile approfondire, e fare propri per sempre, elementi centrali dei diritti delle donne senza conoscerne le implicazioni profonde e le connessioni con altre grandi e permeanti rivendicazioni come quella contro il neoliberista o il razzismo.

VALENTINA DI GENNARO

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