SHOAH E FOIBE
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Il vero dramma a cui assistiamo ai giorni nostri è il risentimento.
Il risentimento di chi per decenni ha dovuto tacere di fronte a chi faceva memoria delle vittime del fascismo tedesco ed italiano.
Il risentimento è stato il frutto della coscienza infelice di chi seguendo e credendo in una ideologia ha dovuto per questo accollarsi il costo di azioni indegne. Una guerra di aggressione è sempre, in ogni tempo e luogo, scandalo della ragione e trionfo del lato belluino dell’uomo. Ma, se nel corso dell’aggressione si commettono atti atroci, il costo morale può divenire insopportabile.
A fronte di tale disagio morale si pone in essere, generalmente, una strategia atta a compensare la colpa storica con un evento da esibire come prova di atrocità consumata anche dalla controparte. L’oblio inesorabile dei fatti storici costituisce, per le generazioni successive all’evento tragico, un fattore permissivo e facilitante del meccanismo della compensazione.
Da ciò la contrapposizione, avvenuta in questi decenni, del “giorno della Memoria” con il “giorno del Ricordo”. La contrapposizione dello sterminio ebraico con le atrocità delle foibe e dei gulag.
Tutto ciò non certo per fini pietistici o di lotta contro la bestialità umana ma solo e soltanto per “pareggiare i conti” a livello di mera comunicazione politica o partitica. La coscienza infelice viene così placata ridonando dignità all’idea offesa dalla storia passata.
Ebbene, tutto questo non può che essere rifiutato in termini di principio di giustizia storica.
Per giustificare tale rifiuto necessita distinguere due termini che non possono essere confusi: la “categoria storica ”da una parte, il dramma umano dall’altra. Mescolare i due aspetti ha un solo significato: tutti gli atti atroci sono storicamente identici, ovvero, nella guerra i contendenti fanno tutti le stesse cose. Il conto è sempre pari: aggressore ed aggredito sono parificati.
Questa parificazione deve essere accettata in termini di dramma umano, ma non lo può esserlo in termini di categoria storica.
Chiariamo, dunque, cosa si intenda con la categoria storica.
La categoria dei genocidi è presente in tutta la storia (per Paolo Portinari la Shoah ha evidenziato come la storia sia fitta di genocidi). Si pensi ai genocidi coloniali, ai genocidi religiosi, ai genocidi razziali, ai “democidi” (eliminazione dei propri cittadini indesiderati).
Le cause del genocidio sembrano essere tutte concentrare nella intenzionalità economica. Ma questa lettura , certo valida, appare riduttiva se non si affianca ad essa l’”antropologia del sacrificio”.
La storia è affollata di vittime sacrificali ( Il Sacrificio, Grottanelli). Il sacrificio è quel meccanismo volto a difendere l’incolumità di una comunità dalla violenza e dal disordine interno facendo convergere su una “vittima sacrificale” lo stesso disordine. In altri termini, si inganna il desiderio di violenza latente in ogni comunità fingendo che la vittima più affascinante sia quella designata al sacrificio dalla comunità per questioni di razza, di cultura, di invidia economica. La ritualità del sacrificio del capro espiatorio libera la comunità dal perseguire tensioni interne, solidifica l’identità, rende coeso il gruppo. Sin qui niente altro che l’antropologia del sacrificio (ben descritta da Renè Girard nel suo Il Capro Espiatorio) che appare una concettualizzazione valida per tanti scenari storici.
La Shoah presenta fortemente questo effetto che caratterizza tanti altri eventi nella storia ebraica.
Tuttavia, è questo il punto chiave, la Shoah nell’ambito dei genocidi storici nei quali è anche presente l’elemento sacrificale si presenta con una sua specificità non per il numero delle vittime, elevatissimo, ma per un aspetto “qualitativo” unico che andiamo a descrivere..
Nel caso nazista il “fattore di successo”, meglio dire in modo ancora più stucchevole, “la competenza distintiva” è stata una sola: l’industrializzazione dell’evento.
La costruzione meticolosa di una strategia produttiva volta a massimizzare l’efficienza dei fattori produttivi in modo da permettere una organizzata catena di montaggio per l’eliminazione totale di un “capro espiatorio”. Ed ancora, la messa a punto di una logistica per il reperimento della “materia prima” estesa ed efficace perché si avvaleva anche di partners (il ruolo del fascismo e delle sue leggi razziali). Questo ostentato modo economicistico di trattare l’evento infernale vuol significare l’assoluta diabolica anti umanità, la spaventosa indifferenza verso la vita. Non l’atto rabbioso di uccidere, di vendicarsi del torto subito, della rivalsa vendicativa ma la “banalità”del male ( Hannah Aredt), la spaventosa ragioneria del fare il male. In quel preciso momento l’uomo ha perso ogni animosità, ogni impeto, ogni cupio dissolvi, si esegue il soffocamento, la cremazione del cadavere, l’annientamento, il lasciar morire di fame il neonato con la diligenza del buon padre di famiglia, sine ira ac studio. In quel preciso momento si attua una luciferina kenosis, uno svuotamento dell’umano e della stessa animalità: né umano né animale, semplicemente una mera “banalità”(ho usato di proposito un termine teologico per mostrare l’eccezionalità dell’evento).
Nell’ambito dei numerosi stermini sacrificali di tutte le ere e di tutti i popoli questo “modo” di procedere è una unicità! Come tale va considerato e nessun altro evento atroce può con esso essere confrontato. Ogni accostamento in proposito è atto di ignoranza e come tale va respinto in termini non di emotività o di partigianeria, ma di semplice logica storica (si potrebbe dire contro il negazionismo o la parificazione: il vero male è il “pensare male”).
Straziare il cuore ,in un campo di sterminio, di una madre fino alla follia o gettare nella gola del mostro una famiglia legata col filo spinato in una agonia di ore e, forse, di giorni è devastante per ogni coscienza che voglia dichiararsi umana.
Ma le due atrocità fanno parte di categorie storiche “qualitativamente” differenti.
L’atto di equiparare le categorie assume il significato di strumentalizzare il dramma umano a servizio di una ideologia, di una mera partigianeria.
Distinguere le categorie non esclude nella maniera più assoluta il disgusto per ogni atto atroce e l’assoluto rispetto verso ogni vittima, qualunque sia il suo colore, la sua individualità, il suo credo, il suo stato sociale.
E’ con questo spirito e questa consapevolezza che rendiamo un doloroso ossequio alle vittime delle foibe istriane.
. . .
Circa il termine OLOCAUSTO (offerta sacrificale totalmente bruciata) non ho qui la possibilità di approfondire. Accenno solo che il termine accettato nella cultura ebraica “prevalente” è SHOAH (violenta tempesta, regione devastata, improvvisa calamità). Come si nota una differenza enorme che spero di chiarire in futuro.
CARLO ALBERTO FALZETTI
Caro Carlo, non si può relegare il tuo saggio con un breve commento, sarebbe ingiusto, come sarebbe ingiusto fare un’analisi della situazione attuale in Europa e dell’ Europa orientale senza prendere in considerazione la tragedia che il continente ha attraversato dopo la seconda guerra mondiale.
Per tale motivo io penso e spero che il tuo saggio diventi fonte di ispirazione per il proseguo del nostro Blog Spazio Libero. Tanti sono gli aspetti che tu prendi in considerazione e che potrebbero dare l’ avvio ad una compiuta riflessione sulle ” colpe” che ognuno di noi si porta dietro, io, in particolare, come docente di storia contemporanea.
C’ è necessità di letture critiche che ci diano nuovi aspetti riguardo alla shoah, al gulag ,alle foibe. Ci appelliamo all’ Europa, ma non sappiamo quali siano gli eventi che hanno caratterizzato la storia più recente dell’ Europa orientale.
Rimane fermo il concetto che lo sterminio ebraico non ha pari , secondo la categoria storica; ma in Europa orientale, dopo il crollo del comunismo , non si pensa più così, ” troppo male ha portato l’ Armata Rossa”.
Reputo, dopo il tuo scritto, che si apra un leale discussione sul Blog sugli ” usi politici della storia” di cui gli statisti, i leaders politici ed anche noi stessi, come produttori di cultura, ci siamo serviti.
Mi alleo al tuo coraggio, Paola, prof.
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Comunque se no ci fosse stato il fascismo non ci sarebbero state le foibe; semplice, elementare, sicuramente banale ma innegabile
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Fu Gianfranco Fini che fece un uso politico delle foibe, più che ricordare il dramma umano usò il Ricordo per propaganda patriottica, come accade in Europa con altri drammi, con i rinnovati nazionalismi e sovranismi.
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Mi spiace Rosamaria.
Non bisogna adeguarsi alla bestia.
Il risentimento slavo si può certo giustiziere con l’oppressione fascista.
Ma
La bestialità no!
La modalità non può trovare spiegazione
Fare questo significa equiparsi alla bestia .
Abbiamo lottato per la democrazia proprio per allontanare la belva.
Non ha alcuna importanza il colore della Bestia.
Si può essere opposti, nemici politici.
Si può cacciare il nemico dalla terra occupata.
Si può uccidere.
Ma c è il limite.
Senza quello non apparteniamo al consorzio umano.
Noi abbiamo lottato contro il fascismo per evitare che l’uomo finisse come la bestia non per imitarlo.
Era questo che ho voluto dire .
Al diavolo i colori: la bestia è bestia.
Punto!!!!
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La semplice realtà é che siamo tutti tifosi, chi più chi meno, e su questi temi lo siamo particolarmente, anzi direi che più ci coinvolgono e più siamo tifosi. Non siamo, occorre riconoscerlo, capaci di considerare le cose per quel che sono, ma lo facciamo sempre o quasi sotto i fumi del nostro tifo di cui, regolarmente, neghiamo di essere vittime. Dal non equiparare al giustificare il passo é assai breve e mal celato. Qualcuno, molti anni fa, alla domanda “perché a scuola non si spiega la storia recente” mi rispose: “perché é troppo recente”, ed in effetti é evidente la quantità di tifo presente nell’attualità delle vicende ucraine.
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