RUBRICA “BENI COMUNI”, 31. MAGICI TONDI

di FRANCESCO CORRENTI ♦

 

Magici tondi e cerchi magici: roundabout, rotatorie, rotonde o rondò nella storia urbanistica di Civitavecchia

Un reportage sull’ultimo numero (Anno XII, n° 2, febbraio 2023) di “Touring”, la rivista del Touring Club Italiano, alle pp. 34-41, affronta il tema delle rotatorie stradali, esaminando il fenomeno della loro grande diffusione in Italia e quello della loro crescente evoluzione in luoghi – se ci intendiamo sui termini che propongo – di esibizionismo localistico e di messaggistica pubblicitaria. Il duplice fenomeno è ben presente anche nella zona geografica di cui più assiduamente mi occupo in questa rubrica (e non solo) e ne tratteremo più avanti, mentre il servizio del Touring Club – Notturno padano. Tra la via Emilia e il kitsch. È il trionfo delle rotonde creative che con il buio sembrano installazioni d’arte, testo di Giorgio Falco, foto di Daria Addabbo – si addentra nei casi riscontrati in Emilia-Romagna, ricavandone una descrizione molto attenta e un’ottima individuazione delle tipologie che si possono osservare.

Riporto qualche brano dell’articolo di Falco: “Da alcuni decenni la rotatoria è una presenza costante nel paesaggio italiano, o meglio, nel cosiddetto paesaggio italiano ordinaria, quello che, a partire dagli anni Sessanta, ha sostituito il paesaggio sublime che abbiamo ereditato dai secoli passati. Il paesaggio italiano ordinario è sempre più un processo dinamico, il rapporto tra la realtà e la costruzione mentale indotta da fattori esterni e percepita, più che vissuta, da ciascuno di noi. Il paesaggio italiano ordinario è stato creato sul modello di quello statunitense per soddisfare le esigenze del traffico veicolare. In molti tratti stradali la rotatoria ha sostituito il semaforo per agevolare, almeno in teoria, il flusso di mezzi. Ma la rotatoria è un punto di incontro, e quindi, secondo il linguaggio tecnico, è anche, potenzialmente, un “punto di conflitto”: è al centro dell’intersezione tra più strade, è il luogo in cui la strada principale concede a quelle laterali di partecipare al proprio corso. Giunti alla rotatoria potrebbero verificarsi problemi a stento stemperati della segnaletica stradale, dal diritto di precedenza. La rotatoria a volte è in piccola parte transitabili dai mezzi, ma quasi sempre è protetta da un marciapiede, dai bordi che la separano dall’asfalto, trasformandola in una sorta di isola. È come se, in un paesaggio antropizzato, artefatto, un paesaggio saturo di case, capannoni, cartelloni pubblicitari, cartelli stradali, fragili alberelli ornamentali, ciascuno di noi dovesse arrivare a un approdo provvisorio eppure inevitabile, dove rifiatare almeno per alcuni istanti.”

Fatta questa premessa che mi è sembrata pertinente, l’autore dell’articolo introduce l’argomento, l’impatto degli esempi più recenti di rotatorie sul paesaggio del Bel Paese e le loro forme, che opportunamente il Touring ha voluto prendere in esame: “Ecco che allora molte amministrazioni pubbliche, in accordo con aziende private e consorzi hanno pensato già da alcuni anni, di personalizzare quelle anonime aree circolari che si schiudono davanti ai parabrezza, interrompendo la monotonia del paesaggio italiano ordinario. In condizioni di traffico scorrevole, le possibilità che un automobilista guardi un monumento, anche di grandi dimensioni, posizionato all’interno della rotonda, sono davvero rare. E così, per paradosso, il traffico molto intenso ci regala l’opportunità, procedendo a passo d’uomo, di guardare ciò che svetta al centro dell’incrocio. In questi anni in Emilia abbiamo visto rotonde all’interno delle quali spiccava un gigantesco grappolo d’uva alto dodici metri, i grossi chicchi in vetro di Murano per alludere al lambrusco modenese; oppure a Spilamberto, nella zona di Modena, l’enorme goccia nera che rappresenta l’aceto balsamico. È una strategia commerciale diffusa: un consorzio di aziende investe avendo a disposizione uno spazio pubblico, così da gestire e curare una piccola area, il prato e i fiori della rotatoria. A volte la sponsorizzazione, come impone un certo tipo di pubblicità, coniuga il messaggio promozionale un messaggio sociale. Come per il monumento dedicato al camionista in una rotonda di Borgo Panigale, commissionato dall’associazione che rappresenta le piccole e medie imprese del trasporto merci.”

Dopo una dettagliata descrizione di questo monumento, che è “una gigantesca statua raffigurante un uomo che porta sulle proprie spalle il camion ribaltabile di una azienda olandese”, di cui apprezza il carattere gioioso e allo stesso tempo memore della fatica del lavoro dei montanari dei secoli passati, tanto da divenire “il simbolo del lavoro di ogni epoca e latitudine”, Giorgio Falco conclude la sua analisi: “A volte una rotonda accoglie un monumento che non allude a un prodotto tipico o a un’azienda, ma aspira ad avere una sua peculiarità indipendente dai marchi. Basti pensare al monumento di una rotonda alla periferia di Bologna costituito da pezzi di metallo riciclato. Sembra una sorta di cyborg [un essere con parti del corpo sia organiche che “biomeccatroniche” (!)] atterrato sul pianeta Terra e finito dentro la rotonda. […] Ogni rotatoria, perlomeno nella grande maggioranza del nostro pianeta è un tentativo di irrompere nel flusso di spazio e tempo. Nella maggioranza dei Paesi, ci immettiamo in senso antiorario, quasi a spezzare l’andamento tradizionale delle lancette d’orologio. È lì il vero ‘punto di conflitto’: interiore, non tanto esteriore. Trovare un pertugio di consapevolezza, di presenza nel tempo. Che poi, alla presenza, ci si arrivi tramite un grappolo d’uva di dodici metri, una goccia gigante di aceto, un cyborg di rifiuti riciclati poco importa: dobbiamo andare avanti, immetterci nella rotonda in senso antiorario e, nel caso del gigante che sorregge un camion sulle proprie spalle, non temere di dover attraversare la sua ombra, la nostra.”

Le fotografie – come ho detto, di Daria Addabbo – sono suggestive, anche perché scattate tutte di notte, e presentano le opere inserite nelle rotonde, a volte vere opere d’arte contemporanea, illuminate in modo da mostrare plasticamente gli effetti del gioco delle forme – è proprio il caso di dirlo – sous la lumière, anche se non sempre savant, correct et magnifique. Possiamo ammirare, così, la rotonda di Casalgrande e quella sull’asse della pedemontana che collega Casalgrande con Sassuolo, entrambe del giapponese Kengo Cuma; il monumento all’aceto balsamico, del 2011, nella rotatoria tra la SP 16 e la 623 a Spilamberto; la rotonda sulla tangenziale Vignolese di Modena dedicata al lambrusco, realizzata nel 2006 da Erio Carnevali, il monumento Ferrari Evoluzione di Franco Reggiani, del 2014, vicino alla stazione di Reggio Emilia; quella del Pilastrino a Bologna e quella, alta nove metri, di Borgo Panigale, opera dell’artista modenese Andrea Capucci, dedicata ai camionisti, sulle cui lodi da parte di Falco ci siamo soffermati in precedenza.

Chiudo, a questo punto, la rivista del TCI e passo a parlare di Civitavecchia. Le osservazioni di Giorgio Falco valgono perfettamente anche qui. I tipi di rotatoria o meglio, il tipo di “arredo” posto all’interno del perimetro più o meno circolare delle rotatorie, così come i materiali con cui sono realizzate, rispettano gli esempi citati dal Touring e quelli disseminati lungo la rete viaria italiana. Negli anni dopo il 2000, dopo un lungo periodo di scarsissima attività nel campo da parte degli uffici tecnici comunali, è subentrata una produzione di rotatorie quasi frenetica, con l’abolizione di altrettanti impianti semaforici dagli incroci cittadini. Va detto, per non trascurare l’aspetto pratico, che alcuni di questi impianti finalizzati alla maggiore sicurezza e scorrevolezza del traffico veicolare sono forse eccessivamente studiati a tavolino (o piuttosto, oggi, al computer) secondo schemi teorici, con una ridondanza di curve e controcurve negli spartitraffico di ingresso e di uscita, da creare qualche problema ai guidatori. Molti di questi impianti sono stati poi felicemente sponsorizzati e sono, in generale, ben mantenuti. Data l’originalità di alcuni sponsor, si sono avuti esempi analoghi a quanto abbiamo visto nell’articolo del Touring. Se lì si diceva Tra la via Emilia e il kitsch, si potrebbe qui accostare a quel tipo di “gusto” la via Aurelia e la sua traversa interna, cioè il viale Baccelli. Infatti, un lettore di “TRC giornale”, a luglio del 2012, scriveva “Che c’azzeccano Bacco e Venere con Civitavecchia?”, suggerendo lui stesso l’ipotesi che le due statue poste nella rotonda ad un incrocio del viale con una delle vie laterali di penetrazione ai quartieri del “nucleo urbano centrale” fossero un incompleto riferimento (un monito lasciato in sospeso?) al noto proverbio sulle sostanze che, in altri tempi, riducevano “l’uomo in cenere” (probabilmente, allora, la donna si salvava).

A novembre del 2007, la stampa ha riportato la notizia dell’istituzione, in Comune, della “Commissione di lavoro per il Piano delle Rotatorie”, su iniziativa dell’assessore alla Viabilità Attilio Bassetti, formata da rappresentanti delle Circoscrizioni, dai dirigenti del settore Viabilità e dei Lavori Pubblici e dal Comando della Polizia municipale.

Fin dalla prima riunione – scriveva il cronista – la Commissione ha “tentato di individuare gli incroci e gli snodi viari più appesantiti dal traffico dove poter col-locare eventuali rotatorie” e l’assessore alla Viabilità ha dichiarato che “sono la soluzione migliore e più moderna per risolvere il problema del traffico cittadino: vogliamo realizzare le nuove rotatorie coinvolgendo gli uffici ma anche chi opera e vive sul territorio quotidianamente, quindi è fondamentale l’ausilio del Comando dei Vigili Urbani e delle Circoscrizioni, che saranno il referente dei cittadini. L’obiettivo – concludeva l’assessore – è comprendere le reali esigenze per ricercare i finanziamenti utili alla realizzazione e per dare uniformità urbanistica.”

Non si sono avuti, a quanto so, rotonde su cui siano apparsi i noti “nanetti” di Biancaneve, che una volta passeggiavano in qualche giardinetto condominiale ed erano additati al ludibrio dei raffinati, mentre oggi potrebbero apparire colte citazioni proprio di quei notissimi testi dei critici dell’arte e maestri del pensiero che ci hanno insegnato a sentirci accapponare la pelle nel vedere le suddette espressioni di ingenuo artigianato provinciale. Se pure piccole figure umane sono apparse in qualche aiuola dei rondò (scritto nel francese d’origine rondeau al singolare e rondeaux al plurale, con plurimi significati), si tratta non di nani ma dei Giganti della storia artistica e letteraria centocellese, Calamatta, Cialdi e Guglielmotti, che da quelle isole stradali innalzano il loro canto silenzioso ma ugualmente ammaliatore, per attirare in via Piave i nostalgici della città d’antan:

Sarà quel canto delle sirene in una notte senza lume,

a riportarci sulle nostre tracce, dove l’oceano risale il fiume?

(adattamento del testo scritto da Francesco De Gregori)

D’altra parte, in tema di rotatorie, la città portuale ha nei suoi archivi burocratici parecchio materiale. Prima di addentrarmi tra quegli scaffali ormai polverosi, voglio precisare alcuni fatti. Questa rubrica non vuole avere e non ha carattere partitico, non ha carattere confessionale e neppure sportivo o di altro tipo, che non sia quello di offrire spunti di riflessione sul tema dei “Beni comuni” ad un gruppo di persone libero ed aperto ma che sono animate da un comune sentire, cioè da sentimenti comuni tuttavia abbastanza caratterizzati e orientati culturalmente. Altrimenti non perderebbero tempo a leggerli quegli spunti di riflessione. Quindi, mezzi di dialogo con i lettori della rubrica, a mio parere, devono essere la ricerca, lo studio e la diffusione degli studi nei diversi settori della cultura, con particolare riferimento alle conoscenze che riguardino il territorio in cui maggiormente operiamo, la sua storia, il suo ambiente naturale ed antropico, la sua gestione e ogni attività d’interesse pubblico e collettivo, sulla base del principio di sussidiarietà, allo scopo di migliorare la qualità della vita, incentivare la partecipazione democratica alle scelte, contribuire alla maggiore conoscenza dei diritti e dei doveri civici, curare il patrimonio collettivo e la conservazione dei beni comuni e della memoria storica per le generazioni future. Queste attività e le loro finalità sono (cercano di essere) ispirate a principi di pari opportunità tra uomini e donne e rispettose dei diritti inviolabili della persona, e nel rispetto delle norme costituzionali nell’osservanza e per la promozione dei principi della Costituzione della Repubblica Italiana. In questo, ritengo che alla base di ogni forma di esternazione del pensiero e dei rapporti interpersonali debbano esserci la correttezza e la lealtà verso tutti e il rispetto per idee di tutti, rigettando ogni forma di discriminazione, di censura e di discredito, la diffusione di opinioni preconcette prive di validità scientifica e il culto della personalità, incentivando – per quanto è possibile fare attraverso la rubrica – l’introduzione di buone pratiche nell’amministrazione della cosa pubblica ai vari livelli e le conoscenze scientifiche aggiornate. Un tentativo in questo senso fu fatto durante l’estate del 2017, dopo aver ammirato la soluzione che vedete qui nel mio disegno.

Ho scritto, a margine dello schizzo: “Stupenda rotatoria nel porticciolo di Palinuro, Comune di Centola, perfetta ed esemplarmente economica. Cosa buona e giusta prendere esempio.” Aggiungendo prima della firma e della data, 4 luglio 2017, “F.C. su Fb, mart. 4 luglio alle 21:00” perché avevo provato – appunto anche con un dibattito tramite Facebook – ad introdurre, nella prassi degli uffici comunali che facevano riferimento al mio Ufficio Consortile Interregionale, forme di “installazioni” che non costassero all’ente pubblico (cioè ai cittadini) cifre che sarebbero state sufficienti per un fabbricato di edilizia residenziale con alloggi per numerose famiglie oppure per realizzare un giardino pubblico con attrezzature di gioco e tempo libero o ancora per restaurare un qualche antico manufatto, opera d’arte, monumento. Erano aspre, infatti, in quei giorni, le polemiche che si intrecciavano da più parti sul rifacimento della rotatoria di Porta Tarquinia.

Più di recente, ad aprile dell’anno scorso, un altro piccolo, modesto ma utile dibattito si è sviluppato allo stesso modo per riprendere il tema della nuova rotatoria che era in corso di realizzazione all’ingresso Sud del Porto, cioè nella zona tra la fine del viale Garibaldi e largo Plebiscito, a monte del quale inizia il corso Centocelle e c’erano un tempo le due Porte Romane “numero 2 e numero 3”. Ma per adempiere alle promesse della rubrica esplicitate nel sottotitolo ed ai “doveri” di informazione storica che mi competono, ho piacere di ricordare che le prime rotatorie sono state introdotte nella pianificazione del Comune di Civitavecchia e poi nella realizzazione concreta proprio da me, e precisamente nel Piano dei settori produttivi del 1974. A parte quella illustrata sulla copertina e sulla figura qui allegata, cioè la grande rotonda sulla mediana della zona cosiddetta industriale dove si innesta via Angelo Molinari, ci sono poi voluti circa trent’anni per vederle attuate su tutte le principali strade cittadine. Eravamo nel febbraio del 1974, il sindaco era Mario Venanzi, l’assessore all’Urbanistica Roberto Tamagnini (proprio in quei giorni abbiamo partecipato insieme alle Giornate di studio sui problemi dell’inquinamento del Mediterraneo, organizzate al “Palais des Festival” di Cannes dal CMIRNU/Centre mondial d’information et de recherches appliquées aux nuisances urbaines). Grazie a loro, amministratori esemplari e amici cordiali e rimpianti, a gennaio dell’anno prima avevo trasferito la Ripartizione Urbanistica nei nuovi uffici al Parco della Resistenza, nell’ex Casale Antonelli.

FRANCESCO CORRENTI

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