GIU’ LE MANI DA DANTE
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
L’argomento sollevato dal ministro Sangiuliano sulle radici ideologiche della Destra nell’opera di Dante non dovrebbero meritare commenti: una emissione di suono delle corde vocali che la cui falsificazione è in sé!
Ed allora perché parlarne e con ritardo?
Semplicemente perché Repubblica ha pubblicato un commento (“Giù le mani da Dante”) sulla riedizione di un testo del’39 del grande Etienne Gilson, Dante e la filosofia. Ebbene, è solo alla luce di questo testo che merita accennare alla questione, seppur in modo rapido e sintetico.
Quale è il nucleo rivoluzionario del lavoro dantesco nel campo politico (in particolare il De Monarchia)?
Nella seconda metà del 1200 e gli inizi del Trecento il dibattito più acceso riguardava il rapporto fra filosofia e teologia, fra fides e ratio.
Tre posizioni distinte su tale argomento :
- Aristotelici (in particolare Averroè): necessità di sostituire la teologia con la filosofia. Quest’ultima deve essere indipendente perché è essa sede della verità. Non esiste doppia verità, la fede tratta di simboli imperfetti che solo la ragione può illuminare.
- Agostiniani : posizione opposta alla prima dal momento che la filosofia non può reggere il confronto con la verità rivelata di Dio. Dunque, deve esistere un principio chiaro, ovvero philosophia ancillae theologiae!
- Tomisti: via mediana tra le due posizioni dal momento che se fides quarens intellectum è pur vero che intellectus quarens fidem. Insomma, dice Tommaso, necessita “pensare” la Rivelazione e non “star sopra” o appesi al dato rivelato. Nello stesso tempo, però, è altrettanto vero che il pensiero da solo non esaurisce tutto ciò che si può conoscere. Fede e ragione rimandano l’una all’altra senza possibilità di imporre fra di loro subordinazione.
Perché tutta questa dotta disquisizione ?
Perché per Dante da questa disputa dipende la modalità di orientarci nel dominio della politica.
Innanzitutto di fronte alle tre posizioni Dante pensa che esista netta indipendenza sia della filosofia che della teologia. Dunque: separazione netta fra i due ambiti, uguali per dignità ma diversi per natura .
Ebbene questo posizione autonoma si riverbera anche nel dominio della politica. Questa irriducibilità ad assumere una delle tre posizioni nel campo filosofico-teologico (avvicinandolo a Duns Scoto) lo porta a separare nettamente l’Impero dal Papato.
Come si vede, Dante sfugge ad ogni possibile posizionamento avendo di mira la “giustizia” quale punto di riferimento universale nel dominio della politica.
Bastano questi scarni accenni per comprendere la follia di trovare in Dante radici dei nostri sistemi ideologici.
Perché, allora, si tentano queste disperate iperbole?
Le radici dei nostri sistemi politici affondano nel complesso della Rivoluzione Francese e non oltre. Il problema è quello della scarsità di pensatori che sono presenti nel Pantheon della Destra. Anche quei pochi che si pensano essere numi tutelari del pensiero reazionario e tradizionale sono essenzialmente studiati ed esibiti da studiosi progressisti (si pensi ad Heidegger, Mircea Eliade….).
Da ciò una affannosa ricerca delle radici in personaggi di grande rilievo che forniscano una estetica più elegante a quel fondamento che distingue una ideologia caratterizzata semplicemente dal “reagire contro” l’evoluzione progressista del mondo.
Ricerca di radici che, realizzate dall’attuale incarnazione della Destra italiana, portano (come per molti altri argomenti) a sgangherate emanazioni concettuali.
CARLO ALBERTO FALZETTI
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Il panorama culturale offerto dalla nostra destra è sconfortante. A noi è mancato un pensiero conservatore all’altezza della sfida con la modernità. Un ministro della cultura incapace di situare criticamente nel suo tempo storico una figura eponima come quella di Dante – per piegarla a logiche di propaganda politica – si commenta da solo.
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