RIFLESSIONI SULLA SHOAH

di CARLO ALBERTO FALZETTI 

Avrei  voluto parlare di Etty Hillesum.

Della sua “resistenza esistenziale”: la risposta al male fondata sull’amore.

Apprendere da lei il fatto che, se si ama veramente la vita, essa va amata così come essa è, come accade. E non amare il poter essere.  Quel suo hegeliano guardare in faccia il negativo e sapersi soffermare presso di lui. Quel coraggioso volgere tutto verso il bene nonostante tutto sia intriso di dolore.

Una ragazza di appena ventotto anni certa di dover morire che intuisce dovunque l’armonia del mondo, tra le baracche del campo, tra il fango, la devastante tristezza. L’armonia rappresentata dal gelsomino che riesce ad emergere nello squallore.

Ma, poi, la pietra d’inciampo ha bloccato tutto.

Etty prova a scrivere una lettera ad una donna, una madre che ha visto morire nel campo i suoi figli.  Etty le comunica  con una lettera che il dolore che la schiaccia deve essere sopportato senza contrapporgli  l’odio. L’odio perpetua l’odio, solo l’amore sconvolge questa spirale.

Per un attimo ho pensato a quella madre e non sono più riuscito a seguire  Etty.

 Ho tentato di immaginare la scena di  una madre che sta salendo sul carro col suo bimbo fra le braccia.

 Il portellone si chiude.

Nel buio, nella calca, nel fetore, nei pianti quella  mamma cerca di calmare il suo bimbo.

Le spiega che è solo un viaggio scomodo, che presto si arriverà e tutto sarà finito e lui potrà giocare, come sempre.

Per attenuare la fame e la sete lo distrae, tenta di farlo sorridere, gli ricorda le cose belle d’un tempo.

Lui ride tra i lacrimoni che scendono lungo le gote.

Il cuore della mamma è schiacciato dal peso di dover mentire, di  fingere laddove il suo impeto sarebbe quello di urlare tutta la pazzia che le sconvolge la mente.

Il dolore raggiunge il suo punto massimo quando il portellone si apre e la luce invade il carro. Che cosa può fare la belva umana! C’è qualcosa di “sopranaturale” in questo, sopranaturale perché non appartiene alla Natura, è oltre di essa esprimere livelli così sublimi e luciferini di crudeltà .

La Mater Dolorosa ha visto il Figlio appeso alla Croce, ma era un uomo adulto, autonomo.

Si può immaginare, invece, la nostra madre in quel preciso momento  senza più l’abbraccio di quelle manine, senza più ascoltare quel battito del cuoricino, di quei sussurri d’amore e di consolazione?

Si possono immaginare quelle braccia tese e le urla verso un cielo muto e vuoto.

Perché andare oltre?

Questa la belva!

Pensiamo veramente, da ingenui oppure da esseri in malafede che la belva alberghi solo da qualche parte e non sia, invece, ovunque, indipendentemente dai luoghi, dai popoli, dalle culture, dalle ideologie politiche?

Il compito del vero umanesimo è uno solo: tenere a bada la belva che può scatenarsi in ogni momento se le condizioni sono ad essa favorevoli.

Il “potere che trattiene” (katéchon) è l’antica legge che permette alla belva di essere assopita. Ma avere questa capacità “catecontica” non è facile, come oggi ben sappiamo in un mondo pieno di guerra.  

CARLO ALBERTO FALZETTI

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